Martedi, 28/07/2009 - La tratta delle Nigeriane. Una storia di inganni, di false promesse, di violenze sistematiche e di torture vissute durante un viaggio lungo e drammatico di cui l’Italia rappresenta solo l’ultima tappa. Dalla Nigeria, attraverso Niger, Chad giovani donne vengono condotte fino in Libia dove si infrange per sempre il loro sogno di una vita migliore. Qui infatti vengono immesse per la prima volta nel mercato della prostituzione e successivamente imbarcate per Lampedusa. E’ quanto racconta il dossier presentato, martedì 28 luglio alla casa internazionale delle donne, da “Be Free”, cooperativa sociale contro tratta, violenze e discriminazioni, impegnata in prima linea, attraverso l’attività di uno sportello di consulenza psicosociale e legale, nel sostegno alle donne nigeriane trafficate attraverso la Libia e trattenute presso il C.I.E di Ponte Galeria. Realizzato nell’ambito di “Prendere il volo 2” – progetto finanziato dal Dipartimento per le Pari Opportunità della presidenza del consiglio dei Ministri e coogestito da “Be Free” insieme ad altri partner tra cui l’assessorato ai Servizi Sociali e per la famiglia della Provincia di Roma – il dossier informa, attraverso le testimonianze delle donne trattenute nel C.I.E sulle nuove modalità che il meccanismo della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale ormai ha assunto. Le specificità dei trafficanti, le figure inquietanti delle adescatrici, le diverse e lunghe tappe del viaggio, l’organizzazione dei bordelli nelle città di sosta, le modalità di controllo nel Paese di destinazione configurano un’organizzazione criminale strategica di natura internazionale. Vittime di questo fenomeno in continua crescita e trasformazione sono donne orfane o prive di rete sociale; donne che subiscono maltrattamenti e violenza all’interno della famiglia; che tentano invano di affrancarsi da matrimoni forzati; ragazze senza alcuna risorsa economica o a rischio di vita in quanto sorelle, figlie o mogli di attivisti che lottano per il diritto alle terre confiscate. E’ a loro che attraverso la pratica dei respingimenti si nega il diritto di sfuggire alla repressione e alla schiavitù. Soggetti vulnerabili facilmente individuabili da persone del posto con la promessa di un riscatto dalle proprie condizioni di vita. A reclutarle è la maman, una sorta di fattucchiera che in alcuni casi gravita nei villaggi di origine, in altri è già residente in Italia e rientra ciclicamente in Nigeria per concludere l’ affare con i trafficanti. In altri casi ancora, le donne sono reclutate direttamente dai trafficanti nigeriani che le scortano nel viaggio fino in Libia, per poi costringerle a prostituirsi affinché paghino il “debito di viaggio” accumulato per gli spostamenti. La reclusione nei “bordelli” libici dura anche anni. Qui non possono rifiutarsi di avere rapporti sessuali con i clienti né di consegnare tutti i soldi ai loro sfruttatori; se oppongono resistenza vengono picchiate e torturate con il petrolio bollente. Sono molte le ragazze del C.I.E a recare segni evidenti di lesioni pregresse, cicatrici, bruciature sul corpo, conseguenza delle violenze subite. Spesso accade che rimangano incinte dei loro clienti poiché sono costrette ad avere rapporti sessuali senza preservativo e siano poi vittime di aborti clandestini, causati da calci nello stomaco e cocktail di medicinali da ingerire. Cedute nelle mani dei trafficanti libici vengono scortate fino alle coste di Lampedusa dove ad accoglierle è sempre la maman che provvederà a inserirle nel giro della prostituzione. Una catena di controllo che non si spezza nemmeno all’ interno del C.I.E. Lo dimostrano l’utilizzo di telefoni cellulari con scheda italiana, i continui contatti telefonici, le modalità di controllo agite da parte di alcune donne tese a limitare l’interazione e i colloqui con le operatrici dello sportello nei confronti delle donne appena giunte da Lampedusa, il prelevamento all’uscita dal C.I.E. “Di fronte ad un meccanismo così perfetto di sfruttamento dove la prostituta è solo l’anello debole è necessario modificare l’articolo 18, la misura che prevede un intervento umanitario a beneficio delle ragazze vittime di sfruttamento sul territorio italiano”. E’ quanto ha dichiarato Claudio Cecchini – assessore ai Servizi sociali e per la famiglia della provincia di Roma – accogliendo favorevolmente la proposta di “Be Free” di estendere la normativa anche alle donne che hanno subito e vissuto queste drammatiche vicende in altri paesi prima di arrivare in Italia. “ Sono pronto – conclude Cecchini – ad sostenere anche le proposta inascoltata del presidente della Camera Gianfranco Fini affinché venga creata una commissione internazionale che vigili sullo stato dell’applicazione dei diritti umani in Libia”. A fianco alle indispensabili modifiche legislative occorre per Oria Gargano, presidente di “Be Free” promuovere e sostenere misure di sostegno all’inclusione sociale e di accompagnamento all’inserimento lavorativo, cosi come sensibilizzare l’opinione pubblica affinché accolga e sostenga l’ampliamento delle normative nell’ottica di un' affermazione della cultura del rispetto dei diritti umani condivisa a livello internazionale.
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