Idee - In democrazia la politica significa partecipazione. Una democrazia politica non può definirsi tale se non è sostanziata dalla partecipazione.
Iori Catia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2006
In democrazia la politica significa partecipazione. Una democrazia politica non può definirsi tale se non è sostanziata dalla partecipazione.
E che le donne partecipino, con grande passione civica ai consigli comunali, ai partiti, ai consigli di quartiere, al mondo dell’associazionismo e del volontariato credo sia fuori discussione.
Il problema è che l’Italia è una democrazia in cui la donna cittadina non si sente affatto partecipe perché scarsamente rappresentata (del resto il modo usuale di fare politica è più imparentato con la contrattazione e con la spartizione del potere che non con la partecipazione a decisioni di comune interesse). Se si partisse dal territorio, cioè dai consigli comunali e dalle giunte, sarebbe più facile formare una classe dirigente di donne.
Parallelamente nel mondo del lavoro resta da capire come le donne, colte, determinate e sanamente ambiziose quanto gli uomini, continuino a rimanere svantaggiate nell’occupazione. E l’Italia, secondo il rapporto del marzo 2006 presentato al vertice di Barcellona, è la maglia nera d’Europa per l’occupazione femminile: dal 1995 al 2005 l’Italia è stata scavalcata da Grecia e Lussemburgo ed è ora il paese con lo scarto più ampio nel tasso di attività -oltre il 27% fra uomini e donne- con retribuzioni più basse del 37% e possibilità di carriera praticamente dimezzate.
La spiegazione peraltro accreditata dalla sociologia può essere una sola: è il cosiddetto soffitto di cristallo, quell’ostacolo invisibile ma esistente che non permette alla maggior parte delle lavoratrici di sfondare, ossia di superare un determinato livello e di entrare in maniera cospicua nella rosa di coloro che detengono il potere e diventare dirigenti e candidate politiche. E' stato detto che le riserve ledono la dignità di una donna, ma è poi possibile a una donna farcela senza meccanismi di sostegno? Sto parlando delle famose quote che potrebbero garantire nel minore, se non nel migliore tempo possibile un accesso più paritario. Dall’altra è vero che perché le donne aumentino nelle istituzioni, nel Parlamento, nei luoghi decisionali debbono aumentare anche la visibilità, una discutibilità pubblica tra maschile e femminile?
E qui c’è un problema culturale che riguarda i modelli simbolici offerti alle donne per la costruzione della propria identità. Le donne rischiano di trovarsi intrappolate tra la prospettiva di mimare il maschile per l’accesso al potere (l’autorevolezza femminile non è rappresentata: nella politica scarseggiano figure di donne di spessore) e quella che caratterizza le minoranze che corrono il pericolo di restare prigioniere dell’identità di gruppo, femminile in questo caso.
Con un problema in più: quello del rapporto tra identità sul lavoro e identità domestica: un doppio carico di identità con molte conseguenze. Mi chiedo e vi chiedo: se non partiamo con una politica delle donne, senza un’adeguata rappresentanza familiare, riusciremo mai a fare una politica per le donne, declinata al femminile con la tutela dei bisogni e delle esigenze delle donne, e delle donne madri che lavorano?
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