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Tra Nonnella e Paparone  - di CATIA IORI

Tra Nonnella e Paparone - di CATIA IORI

LA DANZA DEL SE’, di Luciana Vasile (Ed Prospettiva), un libro prezioso

Domenica, 26/05/2013 - La danza leggera di una bambina sulle note amate dal nonno ci fanno vedere il volteggiare sicuro e ispirato di un’anima tersa, sempre in ricerca ma approdata a un porto sicuro e certo. È il sé della piccola Luciana, così aperto al mondo da identificarsi con esso, senza rimanerne inquinato. Un sé vivace, appassionato, delicato che si immerge nel quotidiano per scoprirsi poi chiamato a rampicarsi su vette inimmaginabili di profondità spirituale. Un diario interiore che si traduce in un gioioso dono del suo germe più vero, senza mediazioni di sorta, con quella fiducia bambina che muove i primi passi nel giardino di casa “con orto pollaio conigliera e piccionaia”. Gattini neonati sotto cataste di legna, un cane lupo sempre al laccio che, se liberato, inseguiva ansimando minaccioso, sbavando… C’è tanta vitalità in quelle immagini così primigenie da farci vivere in prima persona i batticuori dell’autrice che si esprimeva in quegli slanci e salti emozionati , in spaccate, ruote, capovolte e ribaltate. Quei fotogrammi di movimenti piroettanti sono fisici e concreti ma stilemi in embrione di altri voli e svolazzi, quelli dell’anima che con gli anni si fanno reali. Corpo e anima sono un tutt’uno in armonia perfetta, l’uno a dare slancio all’altra, in un movimento perpetuo e ritmico di leggerezza e cadute. La domanda è quella di sempre: Chi siamo? Che siamo venuti a fare? Che senso ha il nostro cammino? Dove andiamo e perché? Un diario narrato che segue il fil rouge di una vita dai primi anni dell’infanzia fino alla maturità, volando verso quell’Oltre a cui tutti siamo destinati ma che molti mancano di perseguire. È in questa ostinata audacia di ridefinizione di sé e della propria chiamata a “essere vera” che Luciana esprime il meglio del suo cuore, una vocazione unica come unica è la sua irripetibile esperienza umana. Ci parla di istinto, di ascolto del proprio mondo interiore ma noi sappiamo che solo con un’attenta analisi della propria vita si può arrivare a essere pienamente se stessi. Non a caso si arriva al disvelamento del proprio mondo più autentico: occorre stare su se stessi, camminare con le proprie gambe, intercettare i moti spesso incontenibili del cuore e farli propri. Occorre cercare la propria libertà di esistere, camminare lungo strade talora impraticabili ma profondamente “nostre” per arrivare quasi a un umanesimo “cristiano”, che è poi la scoperta dell’infinita tenerezza da cui siamo avvolti da sempre e per sempre. Sentirsi amati nel profondo ci autorizza a “vivere pienamente” senza essere schiacciati da convenzioni perbeniste o da false certezze: ci chiama a diventare ciò che siamo chiamati a essere da sempre. Con la speranza di chi ci vuole “realizzati” non secondo i comuni dettati sociali ma in adesione alla nostra natura più profonda in risposta a un amore che ci precede, da sempre. Anche se non lo ammette mai, l’autrice che si definisce una laica non praticante esprime una profonda religiosità: una tensione verso l’Assoluto che per una donna attiva come lei, decisa, sensibile , attenta al suo io più profondo si traduce in un cammino di una Samaritano al femminile dei tempi nostri. Lontana anni luce dalle ipocrisie di certi perbenisti ma saldamente ancorata alla necessità di fermarsi nel “barrio” della periferia di Managuo, di intrattenersi col cuore con i galli nica, scrutare le loro sofferenze averne compassione. Non solo stare in mezzo e partecipare ma ritornare per continuare. Non vuole limitarsi alla buona azione di penetrare quegli occhi spaventati ma rassegnati, quelle profonde rughe di vecchi che hanno combattuto con epidemie, con la malevola natura, con le conquiste sanguinarie con la miseria più dura e avvilente. Vuole la nostra Luciana iniziare la profonda relazione con l’uomo, con uno di questi. Fermarsi, avvicinarsi, prodigarsi, assicurarsi: non vi sembra che in questo rimbocco di maniche ci sia molto di più di un distaccato silenzio? Sono le quattro colonne della civiltà dell’amore. Il cui clima è la gratuità. Il cui frutto è la gioia della vita come un grande con-vito. Il dolore non ha orari. E nei casi urgenti non tollera rinvii. Tutto il possibile è da mettere in atto per soccorrere l’immediato bisogno. Ci vorrebbero leggi e politiche, ma intanto non si può rinviare il fratello oppresso alle programmazioni e alle legislazioni più umane. Bisogna accoglierlo nel pronto soccorso del nostro cuore: quello che Luciana apre, caloroso come un termoforo, operoso come un impianto elettronico. Immergersi nell’anima, ancorché liquida, avere occhi nuovi che scoprano la bellezza che ci circonda: lì sta la felicità. Quello stesso canto alla luna che le aveva ispirato i primi passi di danza col suo amato Paparone.



Catia Iori

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