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Tra il quotidiano e la rivoluzione

Tra il quotidiano e la rivoluzione

Movimenti / 6 - Sesto appuntamento della riflessione su reti e associazioni femminili e femministe: una realtà di accoglienza e resistenza delle donne a Roma

Angelucci Nadia Lunedi, 06/12/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2010

Un viale alberato si apre su un cortile nel quale si affacciano due costruzioni. Un palazzetto anni venti e una costruzione tipo capannone che ricorda la struttura di un laboratorio. Siamo a Roma, veramente a due passi da via Tuscolana, una delle zone più caotiche della città, ma quando si varca il cancello di questo complesso sembra di entrare in un'altra dimensione. Siamo nell'occupazione gestita da Action A, collettivo femminista di Action.

Un'occupazione tutta al femminile nata l'8 marzo 2008 nella vecchia sottostazione del tram della Tuscolana. La struttura, abbandonata dall'Atac da molti anni e vincolata dalle Belle Arti in quanto patrimonio storico del quartiere, è stata riscattata dalle donne e restituita al vicinato nella sua funzione pubblica. “Innanzitutto uno spazio di accoglienza abitativa e sociale per le donne dalle donne – mi racconta Rachele, appena 21 anni, la più giovane del gruppo – e poi un luogo di resistenza, riflessione politica, organizzazione nel quale le stesse compagne possano elaborare autonomamente ed in gruppo percorsi di emancipazione ed autodeterminazione”.

Lucha y Siesta, questo il nome che si sono date e che racchiude il pensiero e l'azione di questo progetto: un luogo in cui si possa trovare accoglienza e riposo per poter ripartire nella lotta e nella resistenza. “Militando da anni in Action ci eravamo rese conto che le donne in difficoltà non trovano risposte nelle istituzioni. A Roma ci sono solo 4 centri di accoglienza per le vittime di violenza e hanno delle regole molto rigide; ad esempio non accolgono donne con un figlio maschio di età maggiore ai 13 anni. Qui da noi invece il ragazzo può fermarsi con la madre fino a i 18 anni, età in cui dovrà lasciare la casa e organizzarsi autonomamente”.

Il percorso individuale di ognuna sembra essere la regola che vige a Lucha; non esiste un tempo massimo di permanenza né un cammino obbligato; ogni donna ha la possibilità di ritrovarsi e scegliere il proprio futuro in tranquillità. Ancora Rachele ci dice: “Quello che cerchiamo di fare è costruire un luogo fisico di accoglienza ma anche di sperimentazione di una società altra in cui sia alla base la sorellanza, la solidarietà femminile, la definizione e ridefinizione del progetto di vita di ciascuna”.

E la fatica di riprendere in mano la propria vita la conosce bene Latifa, che incontro una sera piovosa a Lucha. In un tardo pomeriggio umido e silenzioso mi racconta la sua storia; sedute sul divano dello spazio comune della casa mentre, ogni tanto, passa qualcuna delle altre occupanti che discretamente ci saluta. Una vita 'normale': casa, lavoro, amore, due figlie. Poi il matrimonio non va, comincia una depressione, arriva un altro uomo che sembra essere la salvezza ma non lo è. E Latifa, dopo 23 anni in Italia si ritrova sola, con due bambine e nulla in mano. Nove mesi fa accetta una soluzione 'di fortuna' a Lucha, la stanza delle emergenze, poi riesce a passare in un'abitazione più comoda. “Certo all'inizio è stato difficile abituarsi a condividere tanto con le altre donne; non solo il bagno e la cucina che sono fisicamente in comune, ma lo stile di vita, le culture, le abitudini, gli orari. I primi tempi sono stati faticosi ma adesso sono orgogliosa delle due stanze che condivido con le mie figlie, del fatto che riesca mandarle a scuola, in piscina, e addirittura a studiare l'arabo, il sabato e la domenica; perché non perdano il legame con le proprie origini e perché è importante essere preparati al massimo per affrontare il mondo”. Il futuro è ancora molto incerto per Latifa. “Vorrei trovare un posto nella società” dice, ma le difficoltà sono molte, a partire dal lavoro, precario, malpagato, che sfrutta per arrivare alla disgregazione sociale, dalla casa con gli affitti irraggiungibili, e alla solitudine che solo qui è riuscita a mitigare grazie alle compagne: “A Lucha funzionano due assemblee, una di gestione della casa dove tutte le abitanti si confrontano sull'organizzazione delle attività e degli spazi comuni; è il luogo della quotidianità dove sorgono problemi legati alla convivenza e dove organizziamo i momenti comuni, le feste. Poi c'è un'assemblea politica che, devo dire la verità, all'inizio mi sembrava una cosa inutile. Con il passare del tempo però mi ha coinvolta sempre più e adesso posso dire coscientemente che anche io lotto, perché ci sono troppe ingiustizie. Ringrazio le donne della casa. Questa è una possibilità importante per quelle che si trovano in difficoltà. E' un appoggio grande. Spero di riuscire ad essere all'altezza di crescere insieme a loro.”

 





IL MANIFESTO DI LUCHA Y SIESTA



Una casa abitata e gestita da donne, aperta a tutti;

una casa da cui lanciare il nostro diritto all’abitare, che non è solo casa, ma anche reddito, uno sviluppo urbanistico più sensibile alle esigenze delle donne e dei bambini, la salvaguardia dei beni comuni e lo sviluppo di energie alternative;

una casa dove la violenza non ha le chiavi di casa;

una casa dove razzismo ed egoismo sociale non hanno cittadinanza;

una casa dove i nostri figli possano giocare e imparare ad essere cittadini consapevoli e solidali;

una casa dove costruire un’altra idea di famiglia, basata su rapporti veri e reali, qualsiasi essi siano;

una casa dove aprire uno sportello per le centinaia di donne che si trovano nella nostra situazione e che vogliono organizzarsi per riconquistare i loro diritti e condividere percorsi e pratiche di resistenza.

L’unica sicurezza possibile sono le donne che si organizzano.



Lucha y Siesta è a via Lucio Sestio 10 a Roma.



(6 dicembre 2010)



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