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Torniamo a tessere la tela

Torniamo a tessere la tela

Dopo il referendum/ Il naufragio della laicità - Di fronte a governi e istituzioni non ossequenti alla religione o ai suoi valori, bensì a un Vaticano che fa politica in proprio senza più delega a un partito cattolico, noi donne siamo sole. E qualcuna

Giancarla Codrignani Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2005

A dire il vero nessuna di noi si aspettava "questo" risultato. Tuttavia, quelle che si erano impegnate di più, proprio perché poco ottimiste, non sono confortate da ciò che sta venendo avanti sul piano della critica. Ha vinto Ruini; ma neanche lui può illudersi sul piano sostanziale della fede, che dovrebbe stargli a cuore più del potere. Il Vaticano è ricorso ad una campagna a favore dell'astensione senza neppure un confronto consultivo con la Conferenza dei vescovi e senza un documento che sancisse l'incompatibilità per il credente della pratica della fecondazione assistita: una campagna, quindi, tutta politica e non morale, come sarebbe stato l'appello a favore del no. Ma la fedeltà dei cattolici (delle cattoliche, soprattutto) restava dubbia senza la possibilità del controllo.
D'altra parte l'obbligo dell'astensione ha incoraggiato a fare fronte comune con gli indifferenti.
Incominciamo, dunque, a parlare delle giustificazioni. I difensori del non obbligo del voto referendario dovrebbero indicare dove la Costituzione dice che il voto si diversifica: il ragionamento è pericoloso, perché basta enunciarlo, e si può non votare anche alle elezioni politiche. C'è chi si confessa incompetente sulle questioni proposte: farebbe bene a chiedersi perché si sottopone a capire le nuove tecnologie e non i problemi politici, destinati a diventare sempre più complessi. Non mancano, poi le donne che si chiamano fuori perché non vogliono subire, oltre a quello della legge, l'imperio della scienza: facciano i loro conti, perché significa che gli va bene la legge 40.
Continuiamo, allora, con i commenti: il naufragio della laicità (e/o del laicismo)? Diciamo la verità: governi e istituzioni non sono ossequenti alla religione o ai suoi valori, bensì a un Vaticano che fa politica in proprio senza più delega a un partito cattolico. Forse le parti laiche moderne sono più "prudenti" di quelle antiche: la decisione di scendere in campo dietro ai radicali è venuta perché si credeva che non si sarebbe riusciti a raccogliere le firme e ci si è espressi per i quattro sì (o l'astensione) nell'ultimo mese, perché si sfogliavano margherite in attesa di scegliere fra il Vaticano e le donne. Si doveva lasciare la palla alla Corte costituzionale? Bastava dirlo (e farlo); se, invece, si decide di accettare una sfida, si agisce conseguentemente. Si sapeva che le questioni investivano l'origine della vita, la definizione dell'embrione, l'invasività della scienza, l'etica, la religione? Proprio per questo era necessario un lavoro più lungo che investisse il Paese. Finiamo con il timore: che si cerchi di passare l'estate per poi far conto di niente, dato anche il tono soft di Ruini che nega di voler attaccare la 194 (tanto qualcuno lo farà per lui). Eppure, i problemi difficili sono quelli più carichi di possibilità di crescita culturale per il paese: forse ci si rende conto oggi dei danni di non aver proseguito, dopo il divorzio, l'analisi sulla famiglia e, dopo l'aborto, quella sui rapporti uomo/donna e la procreazione responsabile. Oggi dovrebbe diventare prioritario fare i conti con "i principi", proprio perché l'orizzonte è ovunque perturbato (qualche analogia preoccupante si può istaurare anche con i referendum francese e olandese sull'Europa) e la qualità delle dirigenze politiche nei diversi paesi non è tale da suscitare ondate di consenso da parte del "popolo sovrano", che è tenuto costantemente disinformato.
Allora, noi donne? Noi siamo sole. E qualcuna è stanca; o confusa. In anni lontani abbiamo lungamente discusso del rapporto con la natura, che non significa essere naturiste; e abbiamo ragionato su una scienza che tenta di espropriarci della corporeità. Tuttavia, oggi si tratta di non assumere i risultati delle discussioni di dieci anni fa come verità acquisite, per non fare ideologia anche del femminismo. Occorre tornare a Penelope, a tessere tela senza illuderci che torni Ulisse o un altro principe più o meno azzurro a farci mogli. Le intellettuali aiutino a filare i nostri pensieri, ma facciamo che i tessuti prodotti abbiano impresse le ragioni di tutte e rappresentino le lavoratrici, le studenti, le pensionate, la madri e la figlie e i problemi specifici e comuni di tutte e siano oggetto di iniziativa politica autonoma, che recuperi Ulisse dalla sua voglia di non tenere conto delle donne. Altrimenti Ulisse, da solo, va ancora una volta alla deriva.

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