Lunedi, 22/02/2010 - Con qualche stilettata d’ironia e fremiti allegri ma non troppo legati all’attualità, uno spettacolo-evento dallo scrosciate successo ha richiamato sul palcoscenico del Teatro Regio di Torino nientemeno che Galileo Galilei. La figura dell’imputato, convocato per essere sottoposto allo stesso processo - si fa per dire - condotto dal Sant’Uffizio nel XVII secolo e concluso con una condanna agli “arresti domiciliari” per eresia, era impersonato con la stessa controllata energia che oppone alle telecamere da Marco Travaglio. Per l’occasione, il giornalista torinese ha dipinto sul volto pallido la stessa espressione che doveva avere lo scienziato pisano costretto all’abiura dall’Inquisizione nel 1633, pena la tortura o la morte sul rogo.
La rivisitazione, proposta da una donna speciale, Laura Firpo, e animata da Bruno Gambarotta nelle vesti scanzonate del prologo, ha riempito in un batter d’occhio il Teatro Regio di Torino, dopo avere raccolto un primo successo clamoroso a Roma. Molto prestigiosi gli “attori” chiamati in questa occasione per mettere sotto osservazione critica la storia: Giancarlo Caselli, perfetto e impareggiabilmente composto nella toga del giudice; Gianno Vattimo, tessitore un po’ innervosito dell’arringa del difensore, il teologo Ermis Segatti, che con sapienti arzigogoli nel ruolo del pubblico ministero ha sottolineato il pensiero e le credenze dell’epoca del grande pisano.
Il pubblico, che seguiva con attenzione i passaggi, era chiamato a esprimere un giudizio di assoluzione o di condanna. Malgrado un sol voto contro, e chissà di chi, naturalmente Galileo è uscito indenne da questo grado di giudizio. Un po’ tardivo, certo, e inficiato da illuminate parzialità. Ma di grande interesse per l’accostamento fra fede e scienza, ha confermato senza appello le rivoluzionarie teorie dell’astronomo che sosteneva contro il principio tolemaico che la terra girasse intorno al sole.
Dalla spiritosa e libera ricostruzione sono usciti momenti saporosi e divertente, con accenni ai maltrattamenti odierni riservati alla giustizia, alle sue espressioni e alle sue emanazioni, con paralleli maliziosi e calzanti con le mascherate di bruciante attualità. Tutti gli interventi, ben argomentati, era un piacere seguirli. Gustose le interpretazioni. In particolare quella di Giancarlo Caselli, perché ha vissuto il suo ruolo nel palcoscenico come avrebbe fatto nella realtà.
Infine e soprattutto, grande merito a due signore. Pietra Selva, che ha indirizzato con la sua regia accorta un’evocazione scivolosa. E Laura Firpo, autrice del testo e artefice dell’associazione “Il libro ritrovato” che, animata dal suo slancio morale e civile, deve essere ricordata come la prima persona che ha fatto conoscere al Teatro Gobetti di Torino uno scrittore giovanissimo e ancora oscuro, portandolo sul palcoscenico a illustrare la sua opera. Il libro si intitolava “Gomorra” e l’autore, ancora oscuro, era un certo Roberto Saviano.
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