Martedi, 18/05/2010 - Dario Fo, principe della sberleffo dialettico e polemico, e Franca Rame, “ragazza schiva” dalla bellezza rimasta perfetta, al Salone del Libro di Torino hanno presentato al pubblico “La Bibbia spiegata ai villani”, un bel volume che ripercorrendo gli anni eroici delle loro battaglie, illustra la fede vissuta un tempo dal popolino, dai poveracci e dai contadini : una visione semplice, talvolta carnale e ridanciana, dove la storia sacra colorita dall’ironia e dall’improvvisazione si rianima in chiave comico-grottesca. Il libro, edito da Guanda, è arricchito da stupende illustrazioni realizzate a mano da Dario Fo, che animano con arguzia quel mondo antichissimo e dimenticato.
Sollecitato da un altro spirito mordace - il simpaticissimo e serioso Bruno Gambarotta - l’attore Premio Nobel, uno dei fiori all’occhiello della grande Festa del Libro, ha spiegato qualcosa che non tutti sanno: la Chiesa Cattolica Apostolica Romana (Dario Fo la chiama così, con tutto il suo lungo nome) nel medioevo ha proibito che si traducessero in volgare Le Sacre Scritture e ha imposto che solo persone in grado di leggere in latino avessero la possibilità di tramandarle in altra lingua. E chi si azzardava a farlo senza il permesso delle autorità ecclesiastiche incorreva in pene severissime. Per fortuna, a dispetto dell’inaudita censura che pose quel veto, qualche brandello popolare di un tesoro enorme andato in fumo si salvò e del materiale in volgare che la Chiesa con attenzione e metodo si era adoperata per distruggerlo, qualcosa è trapelato. E questo grazie al popolo, che però non ha mai risparmiato irriverenze e gran risate. Dunque proprio la censura ha favorito l’invenzione di una forma profana e impertinente delle sacre rappresentazioni classiche. E per fortuna nostra, con la loro paziente ricerca Franca e Dario ce ne consegnano oggi una piccola, gustosa raccolta.
La rievocazione delle vicende di quelle narrazioni alle prese con l’oscurantismo del medioevo è stata puntuale e dotta, anche se punteggiata di maliziosi accostamenti con l’attualità. Ma poi, per interpretare e comunicare il genuino sentire popolare, Dario Fo si è alzato per recitare come nessun altro sa fare uno dei suoi racconti, intitolato “La presunzione del maiale”. Si tratta di un dialogo fra il Signore e un porco subito dopo la Creazione. Il confronto si intreccia con il folgorante grammelot, una lingua inventata e omomatopeica, ispirata ai dialetti della piana del Po, che raggiunge tutti e a tutti piace.
Questa è la trama: il Padreterno, fierissimo della sua creazione, girando lo sguardo compiaciuto su tanta bellezza, vede un maiale imbrattato di porcheria (che però “fa qualità”) e molto puzzolente, il quale gli chiede di avere un paio d’ali per volare insieme alla sua femmina. Facendosi gioco di lui, il Creatore gliele concede, ma le incolla con la cera. Per non fare la fine di Icaro, il porcello parte nei cieli di notte con addosso la sua maiala, a cui le ali sono state negate. Dopo un volo esaltante la coppietta arriva in paradiso. Non finirà bene, perché il Signore, indispettito per l’intrusione, fa splendere il sole in anticipo sull’orario solito e lascia precipitare il porco con le ali e la sua signora, per fortuna su un mucchio di cacca che li salva. Ma i loro nasi e quelli dalla progenie rimarranno schiacciati per sempre.
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