Torchi e stampa al seguito. Le tante forme della libertà di stampa
In un libro che ripercorre il lungo cammino della stampa autoprodotta all'interno di vicende sociali e politiche. Nuovi particolari sulle origini di NOIDONNE
Lunedi, 09/01/2017 - “Fare il giornale, problema dei più ardui del periodo clandestino. Se le nostre donne avessero conosciuto la fatica di fare uscire un solo numero della “Difesa della donna” ciclostilata l’avrebbero certamente letta con più attenzione. Ogni numero costava fatiche immense, qualche volta anche la libertà di qualcuna di noi”.
Comincia così, a firma di Gennarina, un racconto pubblicato nel numero del giugno 1945 di Noi Donne, allora organo piemontese dell’Unione Donne Italiane, il primo non clandestino in quella regione dopo la Liberazione. Il racconto autobiografico continua soffermandosi soprattutto su un aspetto: la difficoltà e i grandi rischi connessi alle operazioni di stampa del giornale clandestino, che implicavano non solo la stesura del testo ma il possesso e l’utilizzo di macchine per riprodurre in varie copie i fogli da distribuire.
“Mentre mettiamo insieme articoli e corrispondenze ci diamo alla ricerca ostinata di un locale per mettervi il ciclostilo. I più anziani consigliano: cercate un negozio, una merciaia, una pettinatrice che dà meno nell’occhio della polizia”.
Dopo un mese il “ciclo a manovella viene impiantato presso una merciaia, il giornale esce, ma la merciaia cambia idea, il marito non vuole e si cerca un’altra sede, fino a che “ Martina accetta di ospitare in cucina il “mobile pericoloso”. Il problema diventa il trasporto ma quando vanno dalla merciaia il ciclostile non c’è più perché nel frattempo la questura ha fatto un sopralluogo e lo ha requisito. Si recupera allora un vecchio ciclo a rullo che stava in una cantina, che però richiede una manualità particolarmente difficile con risultati di stampa irregolari. “E cominciano le fatiche per fare funzionare il ciclo a rullo”.
Questo racconto vero ci ridà tutto il senso e l’eroismo pratico di tante donne che nelle Regioni occupate dal nazifascismo negli anni 1944 - 1945 si sono impegnate a scrivere, editare e diffondere fogli clandestini pensati e diretti per le donne, di cui la grande maggioranza aveva come testata il nome “Noi Donne”.
A questo ed ad altri episodi sulle condizioni di stampa dei numeri clandestini di Noi Donne è dedicato un intero capitolo del libro appena uscito “Torchi e stampa al seguito”, di Alessandro Corubolo e Maria Gioia Tavoni edito da Pendragon. Un libro apparentemente rivolto a un pubblico di appassionati della storia delle modalità e delle tecniche di stampa, ma che in realtà, avendo scelto un filone molto particolare di indagine, quello della cosidetta “stampa a seguito”, offre informazioni interessanti e un nuovo punto di vista su come il processo di stampa si è coniugato nel tempo con un suo uso sociale e politico.
La “stampa a seguito” infatti è tutta quella esperienza di stampati che, grazie a macchine e torchi facilmente portabili, venivano prodotti durante e all’interno stesso degli avvenimenti e dei contesti, privati e pubblici, per i quali erano pensati: nelle campagne di guerra ad uso della comunicazione e della propaganda dei capi militari e politici (Napoleone portava sempre con sè una macchina per stampare scritti e messaggi per i soldati), nei processi rivoluzionari (la rivoluzione francese ma anche i moti di indipendenza in Italia e Europa) per la diffusione di idee e per coinvolgere le masse, in avvenimenti religiosi per fornire a caldo supporti alla fede.
Lunghi capitoli, di grande interesse anche umano, sono dedicati all’importanza della presenza dei fogli e giornali di guerra, prodotti dai soldati sugli stessi scenari di combattimento, nelle trincee, grazie alla disponibilità di macchinari di stampa facilmente trasportabili. Una produzione, a volte ad uso e consumo della propaganda bellica ed eroica ma anche espressione diretta degli stessi soldati, di diverse classi sociali, e spesso anche di carattere umoristico su vicende e personaggi della guerra.
Nella parte dedicata alla stampa clandestina prodotta e diffusa nella lotta antifascista e nella Resistenza il libro dà una particolare attenzione alla esperienza della stampa antifascista delle donne e quindi alle radici del giornale Noi Donne, dando un contributo importante di informazioni aggiuntive e approfondimenti su un aspetto non del tutto chiarito fin’ora sulle origini precise di questa testata.
E’ infatti stato scritto più volte e testimoniato da molte delle donne che furono protagoniste della Resistenza che il primo numero di NOIDONNE uscì a Parigi nel 1936. Ma di queste pubblicazioni non si era saputo poi molto. Seguendo ancora più attentamente testimonianze e nuove documentazioni di carattere privato il libro completa la ricostruzione delle origini di Noi DonneE, chiarendo che Teresa Noce fece uscire a Parigi nel 1935 per le donne antifasciste italiane “La Voce delle Donne” (la Fondazione Feltrinelli ne conserva alcune copie),giornale che aveva già anche graficamente tutti i connotati di quello che sarebbe diventato successivamente Noi Donne.
Noi Donne quindi fu fondato a Parigi nel 1937 come sviluppo di quella esperienza e essendo Teresa Noce andata in Spagna la pubblicazione antifascista per le donne fu affidata da lei stessa a Xenia Sereni che, con il nome di Marina Sereni in sostanza fonda NOI DONNE, di cui “fu direttrice, redattrice, impaginatrice, amministratrice”.
Il nome di Noi Donne riapparirà poi nella grande produzione dei fogli clandestini promossi dai Gruppi di Difesa della Donna che uscirono nel 44-45 nelle diverse Regioni occupate dal nazifascismo, in grande parte stampati con il ciclostile o con mezzi grafici essenziali. Nel luglio 1944, con la Liberazione di Napoli, Noi Donne esce in edizione legale, per iniziativa di Nadia Spano e con la direzione responsabile di Laura Bracco, con una impostazione grafica già più curata.
E’ interessante ricordare quello che disse la stessa Nadia Spano, in una iniziativa promossa nel novembre 1979 sulla” terza nascita” di Noi Donne. “Quando in una Napoli oramai liberata si pensò di ideare un giornale femminile, molti furono i consensi ma anche le incertezze. Non si avevano idee se non questa ben coraggiosa, tenendo conto della realtà dell’Italia in quel momento. Il Sud liberato che non aveva conosciuto la lotta di Liberazione, un’Italia del Nord sconvolta e ancora occupata e allora il nome e la formula noi li andammo a cercare nel passato…nella prima vita, nella vita passata in un altro periodo in Francia”.
Un altro gesto coraggioso di quelle donne per guardare avanti, conservando la consapevolezza delle radici, che ha consentito una esperienza straordinaria per la libertà delle donne. (di Costanza Fanelli)
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