L'altra metà delle targhe urbane - Un tour urbano alla scoperta della storia di Alessandro Manzoni e della sua famiglia
Lorenza Minoli Venerdi, 02/10/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2015
Targhe, iscrizioni, lapidi murarie nella città di Milano non appaiono molto numerose. Forse in tutto il nostro paese non è una tradizione così radicata e diffusa come in altri ambiti europei. Penso ad esempio all'Inghilterra e in particolare a Londra dove, passeggiando per le vie della woolfiana Bloomsbury, notai che la candida sequenza delle facciate vittoriane era animata dai racconti di piccole targhe a ricordo di qualcuno o di qualcosa.
Quasi superfluo a dirsi è che il numero delle dediche a soggetti femminili in città è ancora più esiguo. Lo studio di questi rari esemplari che presuppone una precedente ricerca da Sherlock Holmes in gonnella per individuarli, appare comunque interessante per il legame che si evidenzia tra i personaggi e i luoghi. Connessione che non è nelle intestazioni viarie che per lo più sono attribuite, o meglio "disseminate" in città, a prescindere dal luogo fisico in cui si è svolta la vita oppure l'opera dell'intestatario.
Occasione intrigante e spunto per ampliare il patrimonio delle conoscenze nell’ambito del rapporto luogo/biografia è la focalizzazione proprio sulle targhe maschili, davanti alle quali interrogarsi sulle vicissitudini esistenziali di chi accanto al personaggio celebrato è vissuto condividendone, oltre alla vita e agli affetti, i medesimi luoghi, edifici e interni domestici. Spazi che in molti casi questi "angeli" senza storia hanno contribuito personalmente a governare/rigovernare/manutenere.
Qui di seguito riporto un’esemplificazione tratta da alcune tappe del tour urbano "Itinerari sulle tracce delle donne a Milano", da me progettato, realizzato e guidato tra maggio e giugno 2015 per la Casa delle donne di Milano. Arricchito e corredato da varianti e alternative di tracciato verrà riproposto al Convegno lombardo di Toponomastica femminile in programma per il 16 ottobre prossimo a Milano, Palazzo Reale.
VIA BRERA 6 - La facciata tardo neoclassica dell'edificio situato in via Brera 6, a Milano, realizzata nella prima metà dell’Ottocento su un preesistente palazzo settecentesco, reca sul lato destro una targa che ricorda Cesare Beccaria.
TARGA CESARE BECCARIA - In questo palazzo nacque e certamente trascorse l'infanzia e la prima giovinezza Giulia Beccaria (1762 - 1841), futura madre di Alessandro Manzoni.
GIULIA BECCARIA - Fu la primogenita dell'illustre giurista ed economista Cesare Beccaria (1738-94), uno dei massimi rappresentanti dell'illuminismo nazionale, autore tra l'altro del celebre trattato Dei delitti e delle pene (1764). Frutto del matrimonio d'amore del Beccaria con una donna di condizione sociale inferiore, la bella e rossa Teresa de Blasio (o Blasco) della quale si era innamorato, cosa quasi riprovevole all'epoca. Giulia trascorse l'infanzia nella residenza paterna fino alla prematura morte della madre (1774). Teresa Blasioforse non si era molto occupata della piccola né della figlia secondogenita, più attratta dalle occupazioni mondane e dagli amanti. Pare che il marito, per gelosia non ingiustificata, lasciasse in tutta fretta Parigi dove si era recato nel 1766 con Pietro Verri, dopo la traduzione di Dei delitti e delle pene, ed era stato accolto con grande calore e grandissimo interesse dagli ambienti intellettuali. Benché innamoratissimo della prima moglie, dopo la sua morte, Beccaria non lasciò passare più di tre mesi per convolare a nuove nozze, sempre per amore! All'arrivo nell'abitazione di via Brera della seconda moglie, Anna dei conti Barnaba Barbò, la dodicenne Giulia fu relegata nel collegio annesso al convento delle suore di San Paolo, dove rimase in pratica abbandonata per sei anni. Soltanto il fedele amico di famiglia Pietro Verri si recava a trovarla. La giovane ritornò nel palazzo di via Brera solo a diciotto anni. Era bella e soprattutto molto desiderosa di vivere. Anche se non molto colta, aveva però una mente aperta, vivace e ricettiva e un carattere molto forte. Frequentando il salotto dei Verri si innamorò del più giovane dei fratelli, Giovanni, un trentaseienne che aveva già maturato molte esperienze che lo rendevano particolarmente attraente agli occhi di Giulia. Iniziò una relazione prestamente troncata dal padre, che temeva per il buon nome della famiglia e dall'altra parte dal fratello maggiore che invece temeva, nel caso di un’unione legale, la dispersione del patrimonio familiare. In breve tempo si combinò un matrimonio conveniente al padre, che voleva risparmiare sulla dote e accettato dalla figlia, desiderosa di lasciare al più presto la casa paterna, non avendo un buon rapporto con il padre. Il conte Pietro Manzoni, austero vedovo, abbiente, di età già matura che abitava in via San Damiano fu visto come marito ideale. Le nozze furono celebrate nel 1782. Le impressioni di Giulia al suo primo ingresso nel palazzetto di via S. Damiano n.16 non furono per nulla positive. Lo trovò poco accogliente, anzi tetro. Nel 1785 venne alla luce il piccolo/grande Alessandro, riconosciuto dal padre Pietro nonostante le dicerie e i pettegolezzi che ne mettevano in dubbio la paternità biologica. Una targa apposta sul lato destro della facciata ricorda che proprio nel palazzo di via San Damiano n. 16 nacque Alessandro Manzoni.
TARGA NASCITA ALESSANDRO MANZONI - Come le premesse potevano già fare supporre, l'unione non fu per nulla felice. Giulia, precorrendo i tempi, chiese la separazione legale, che ottenne nel 1792 a condizione di lasciare il figlio al padre.
#foto5dx#GIULIA BECCARIA E ALESSANDRO MANZONI - Nel frattempo aveva conosciuto il vero amore della sua vita, il conte Carlo Imbonati, che aveva tutte le qualità per farsi amare. Bello, molto ricco, di animo generoso e innamorato. Con lui lasciò Milano e visse nella capitale francese il periodo più felice della sua vita, frequentando i salotti intellettuali di tradizione illuministica ed enciclopedistica, fino all'improvvisa morte di lui (1805). Poco prima del tragico evento, il giovane Alessandro, allora ventenne, aveva raggiunto la madre accogliendone il ripetuto invito. Fu una rivelazione per entrambi. Tra madre e figlio si ritrovò una comunanza di idee e di sentimenti che fece sì che Giulia da quel momento divenisse il perno della vita familiare dello scrittore, stimolandolo nel lavoro, curandone le amicizie e gli interessi anche dopo il primo e il secondo matrimonio. Con la prima moglie, Enrichetta Blondel, che lei stessa aveva contribuito a scegliere come compagna per la vita del figlio, ebbe un ottimo rapporto. Ne accettò i fervori religiosi, arrivando a condividere la scelta della conversione al cattolicesimo. Seguì da vicino i nipoti, occupandosi della loro educazione, specialmente al momento della morte della loro giovane madre. Non altrettanto felice fu la convivenza con la seconda moglie Teresa Borri vedova Stampa, che mal sopportava le ingerenze della suocera nella vita familiare. Ciò amareggiò forse un poco gli ultimi anni della sua esistenza che, benché a momenti travagliata e difficile al punto da richiedere scelte coraggiose e controcorrente, fu tuttavia o forse proprio per questo, ricca di esperienze e di affetti. Fu sepolta nell'amata Brusuglio (Mi). La famiglia Manzoni si trasferì nel palazzo sito al n. 1 di piazza Belgioioso a Milano nel 1814 e vi rimase fino alla fine della sua esistenza.
Il grande scrittore era rientrato a Milano dal quinquennale soggiorno parigino, che come si è detto lo aveva riavvicinato intellettualmente e affettivamente alla madre Giulia Beccaria, da allora sempre presente nella vita e nelle dimore dello scrittore. Anche dopo il primo matrimonio con la giovane Enrichetta Blondel e il secondo con Teresa Borri vedova Stampa.
Al momento dell'acquisto, il palazzetto si presentava in uno stato abbastanza fatiscente, per cui il proprietario dovette provvedere a un primo restauro. L'aspetto attuale però si deve a un intervento successivo (1864), affidato all'architetto A. Boni, che realizzò la versione rinascimentale lombarda, secondo i desideri del committente. Di volume apparentemente modesto, se rapportata alle due imponenti strutture neoclassiche di palazzo Belgioioso e di palazzo Besana che si affacciano sulla medesima piazza, ma compatta e unitaria, ha fronte simmetrica imperniata sull'asse portale d'ingresso/soprastante balcone. È arricchita dall'uso del cotto per bordare le aperture, segnalando ulteriormente quelle del piano nobile con un motivo aggiuntivo soprafinestra. In cotto sono anche le fasce marcapiano di cui quella intermedia, con effetto quasi trompe-l'oeil, richiama l’idea di una balconata continua a livello del piano nobile, mentre quella terminale sottogronda è decorata con motivi a grottesche. L’intonaco è trattato a graffito. La pianta è articolata intorno ad un cortile porticato, sul quale si affacciava lo studio dello scrittore, più vicino dunque agli accessi dall'esterno. Gli ambienti per la famiglia erano invece più defilati, al piano superiore. Il palazzo attualmente è sede della Società storica lombarda e del Centro nazionale di studi manzoniani, cui si deve la conservazione di parte degli arredi originari. È normalmente visitabile, ma al momento è sottoposto a un intervento di restauro. Enrichetta Blondel (1791-1833) nacque da una famiglia ginevrina di industriali tessili, di religione calvinista. Il padre trasferitosi in Italia a Casirate (BG) fondò un'industria tessile e lì nacque Enrichetta, che ebbe altri sette fratelli. Appena sedicenne, conobbe Alessandro Manzoni, che rimase subito colpito e conquistato dai pregi del suo carattere. "... un carattere molto dolce, una notevole rettitudine morale e un grande attaccamento ai genitori... Penserete che ho corso un po’ troppo, ma dopo averla veramente conosciuta, ogni rinvio mi è sembrato inutile" confida in un carteggio poco prima di decidere di sposarla. Il matrimonio venne celebrato a Milano nel 1808 e poco dopo i giovani sposi ripresero il cammino per Parigi. Nella capitale francese, dove ormai Alessandro era di casa, oltre ai salotti intellettuali di tradizione illuministica ed enciclopedistica, già frequentati con la madre, i giovani sposi presero confidenza con ambienti giansenisti. In quest'ambito Enrichetta, molto interessata e sensibile alla questione religiosa, maturò la riflessione critica sulla propria religione arrivando a decidere l'abiura del calvinismo e la conversione al cattolicesimo, coinvolgendo anche Alessandro e persino la suocera Giulia.
Tornata a Milano la famiglia prese alloggio dapprima in via San Vito al Carrobbio, poi nell'avito palazzo Beccaria in via Brera e infine nel Palazzo di piazza Belgioioso, angolo via Morone. La giovane sposa continuò a osservare, anche secon grande fatica e sacrificio personali, i rigorosi canoni dell'abate francese nonostante la sua vita fosse già di per sé faticosa, come era tipico delle donne dell'epoca ma forse per il suo organismo fragile e minato dalla tisi ancora più a rischio. Ebbe, infatti, dodici gravidanze, secondo alcuni storici o quindici, secondo altri e dieci parti. Sopravvissero inizialmente nove figli ma due mancarono prematuramente negli anni successivi. Intanto, nel 1833, dopo anni di malattia e semicecità, Enrichetta si spegneva lasciandoli orfani. A lei il marito addolorato, e per alcuni anni inconsolabile, dedicò l'Adelchi. Fu sepolta a Brusuglio (Mi).
Pochi anni dopo la scomparsa dell’amatissima prima moglie, Enrichetta Blondel, mai dimenticata, lo scrittore conobbe Teresa Borrivedova Stampa, madre di un figlio, chesposò nel 1837. Teresa condivise con il marito l'interesse per la ricerca linguistica, collaborando con lui alla toscanizzazione della lingua italiana. Tuttavia, anche se molto attenta alle esigenze e ai gusti del marito, per cui pare nutrisse una quasi venerazione, e del figlio che le fu affezionatissimo, non seppe essere altrettanto accogliente con i figli della prima moglie e quindi assumereil ruolo di nuova madre di cui avevano ancora bisogno.
Perciò essicercarono di abbandonare la casa paterna al più presto.
Due figliescelsero di sposarsi ancora molto giovani. Il grande pittore romantico Francesco Hayez, amico di famiglia, ne fermò l'immaginein due diversi momenti della vita:giovane vedova con il figlio, la madre e il fratello e in seguito più anziana e austera nell'abbigliamento, nella medesima posizione del ritratto del marito.
Ancora peggiore fu il rapporto con la ormai attempata suocera Giulia Beccaria, che trascorse gli ultimi anni molto amareggiata per questo motivo.
A sua volta Teresa, diventando anziana, si ripiegò sempre più su se stessa e le sue malattie. Anche per questo i coniugi fecero frequenti e lunghi soggiorni nella villa di Lesa sul lago Maggiore, unico luogo in grado di ritemprarla per qualche periodo. Per Alessandro però il vero rifugio era nell'altra villa, che la madre aveva ereditato dal conte Carlo Imbonati, a Brusuglio (Mi).
* LORENZA MINOLI, architetta progettista, studiosa del rapporto architettura - storia delle donne dagli anni '70. Ha pubblicato tra l'altro "Margarete Schutte-Lihotzky. Dalla cucina alla città" (F. Angeli, Milano 1999) sulla vita e le opere della grande architetta austriaca, madre dell'architettura moderna, inventrice della cucina razionale moderna.
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