Poesia/Barbara Carle - Essenzialità di forme come accensione e incandescenza
Benassi Luca Lunedi, 03/10/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2011
Non c’è ingegnere svizzero che potrebbe migliorare la perfezione primordiale di una ciotola o di un bicchiere, la compiutezza di una forchetta, l’essenziale praticità di un pettine. Vi sono forme apparentemente connaturate all’essere umano, in grado di travalicare millenni e civiltà, penetrando nel contemporaneo tecnologico con forza e funzionalità immutate. Sembra questo il nocciolo di “Tangible Remains - Toccare quello che resta”, l’ultimo libro della poetessa americana Barbara Carle, nel quale una realtà frantumata come da un gigantesco blackout lascia le tracce di forme, sapori e odori a essa legati. Cinquanta poesie, ognuna ispirata a uno o più oggetti, cinquanta tasselli, reliquie che “esistono da centinaia o migliaia d’anni e sono sopravvissute ai vari crolli di civiltà” compongono un mosaico di vitale compiutezza. Più che uno spoon river degli oggetti e delle cose, questo libro pare costituito come un romanzo imploso, lacerato in pezzi fatti di profumi, sogni, desideri, colori. Ogni oggetto, infatti, è colto come relazione con l’umano, come aggancio per una riflessione che distanzia questa poesia dal minimalismo tanto comune nella letteratura contemporanea italiana. Ne emerge una poesia fatta di continue discese, di osservazioni e rapporti con le cose, come mezzi di contrasto per far emergere emozioni, inquietudini, attraverso il filo della narrazione quotidiana. Nei versi di Carle, vi sono un rigore linguistico, un’essenzialità di forme che è accensione e incandescenza, profonda discesa dentro se stessa. Domenico Adriano, nella breve nota al volume, parla di “feroce eleganza” come tratto distintivo, in grado di rendere questa voce “subito riconoscibile”; in effetti, in questi versi vi è la capacità di modellare il linguaggio come l’acqua dentro l’anfora. Ecco allora poesie verticali e puntute, se parlano di una penna o un candeliere; e versi che si dispiegano mollemente in lunghe volute, quando descrivono un broccato o il colore di un fiore. Tutto però si coagula intorno alla capacità di sentire, toccare e vivere il nocciolo delle cose, con profonda, coraggiosa umanità.
Barbara Carle è poeta, traduttrice e critica. È docente alla California State University di Sacramento. Ha pubblicato “Don’t waste my beauty/Non guastare la mia bellezza” (2006, traduzione di Antonella Anedda), “New Life/Vita nuova” (2006), “Tangible Remains/Toccare quello che resta” (2009).
Lascia un Commento