Giovedi, 16/02/2023 - Esce stasera nelle sale italiane, THE QUIET GIRL di Colm Bairéad (An Cailín Ciúin, il titolo in lingua gaelica irlandese, idioma di origine celtica), opera prima indipendente del regista/sceneggiatore/produttore dublinese Colm Bairéad.
Forse, nel titolo, da parte del regista viene adombrato un ulteriore omaggio al gaelico irlandese che nel 1952 aveva fatto il suo debutto a Hollywood con “The Quiet Man –Un uomo tranquillo”, capolavoro diretto da John Ford ed interpretato dalla dublinese Maureen O'Hara (insieme con John Wayne), probabilmente la prima protagonista irlandese che introdusse negli Stati Uniti la propria lingua sul grande schermo.
Da molto tempo il lavoro del giovane cineasta, classe 1981, è fortemente sostenuto da TG4. I suoi cortometraggi in lingua madre han conseguito premi in tutto il mondo e la sua vasta produzione di documentari gli ha fatto meritare numerose ‘nominations’ e vittorie agli Irish Film & Television Academy Awards. Ha pure ricevuto un riconoscimento dalla Screen Directors' Guild of Ireland per il suo appassionato ‘lavoro eccezionale come regista irlandese’.
Il film è stato premiato al Grand Prix of the Generation al Festival internazionale del cinema di Berlino 2022. Ha ricevuto una candidatura come Miglior Film Internazionale alla Notte degli Oscar del 12 marzo prossimo (prima volta in assoluto per un film in lingua irlandese, vero momento di svolta per la cinematografia indigena) e due ai BAFTA come Miglior film britannico e Miglior sceneggiatura non originale.
E’, infatti, tratto da “Foster”, un romanzo breve, del 2010, di Claire Keegan, una scrittrice irlandese, del 1968, dèdita in particolare alla narrativa breve, come la sua ultima raccolta pubblicata da circa un anno per Einaudi, “Piccole cose da nulla - Small Things like These”.
La scrittura delicata e lieve della Keegan è stata ben interpretata visivamente dal regista, nel suo diverso linguaggio per immagini.
Il ‘plot’, apparentemente non incisivo, è ambientato nell'Irlanda del 1981 e narra la storia di una bambina di nove anni mandata a vivere, per un periodo di tempo, con dei lontani parenti.
Il suo uscire forzato – deciso dai grandi, due genitori solo in grado di metter al mondo figli per poi, semplicemente, non amarli, non farli sentire vivi – dal proprio ‘entourage’ pur sempre familiare, praticamente per fame, è raggelante.
Il padre che di malavoglia l’accompagna per una momentanea nuova vita, nuova coabitazione, vuole solo liberarsi di lei, in realtà.
Tant’è vero che si scorda di lasciar la valigia coi suoi pochi stracci, mentre si allontana in fretta con l’auto e mette kilometri tra sua figlia e quella ‘nuova’ casa.
E la piccola, una deliziosa e bravissima Catherine Clinch, rimane in silenzio quasi totale, per molto tempo, finché il vero amore genitoriale dei due nuovi adulti maturi che l’han accolta con semplicità, ma con grande comprensione umana, ‘buca’ la sua corazza di dolore e solitudine mal sopportati e la rendono una creatura d’amore perché amata.
Anche la triste scoperta che farà – un loro segreto più intuito che narrato – non potrà che render ancora più autentico e solido il suo legame con quella splendida coppia di sposi che si amano e che ancora e nonostante riescono a darlo, l’amore.
Il rapporto con un figlio si costruisce, giorno per giorno, con il sentimento, anche se non è del proprio sangue.
Semplice come una poesia breve, ma profonda, la pellicola è, in realtà, una vera elegia.
Sorretta da una fotografia pure lieve e da una lirica glossa sonora, al pari della narrazione, la recitazione dei vari comprimari, eccellenti interpreti di come una vita possa esser vissuta anche solo con la semplicità del vero amore.
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