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TESTIMONIANZE, RICORDI, RIFLESSIONI - di S. Vaccaro, N. Angelucci, E. Ribet, R. Ciani

TESTIMONIANZE, RICORDI, RIFLESSIONI - di S. Vaccaro, N. Angelucci, E. Ribet, R. Ciani

Partimmo dal voto / 3 - Lucia, ultranovantenne romagnola che ha frugato nella sua memoria, Kwanza, Simona Baldelli, Igiaba Scego, Marica Di Pierri ci affidano le loro considerazioni sul 70° anniversario del voto

Sabato, 28/05/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2016

Un anniversario è occasione per le celebrazioni e stimolo per fare il punto a 70 anni dalla ‘nostra prima volta’. Abbiamo interpellato alcune donne chiedendo loro un’opinione sul senso del voto, oggi. Oltre a Lucia, ultranovantenne romagnola che ha frugato nella sua memoria, Kwanza, Simona Baldelli, Igiaba Scego, Marica Di Pierri ci affidano le loro considerazioni. Insieme contribuiscono a scattare un’istantanea da incorniciare e da guardare di tanto in tanto, come si fa con le foto di famiglia. Le giovani di seconda generazione sono ferite dalla negazione di un diritto su cui, invece, nutre dubbi chi può esercitarlo normalmente. Concordano nell’osservare la distanza tra la politica e il sentire comune. E che le donne nelle istituzioni non ‘fanno la differenza’.

UN DIRITTO-DOVERE DA NON SPRECARE


Kwanza23 anni, è responsabile Organizzazione ‘Questa è Roma’. È nata in Germania da papà brasiliano e mamma bolognese.


“Settanta anni è un ottimo traguardo per i diritti alle donne, quello che però dovrebbe oggi far riflettere dopo così tanto tempo è che, superata la fase degli anni '70 - in cui le donne, italiane in particolare, sulla scia dei moti studenteschi ed operai, hanno ottenuto notevoli successi a livello legale per il raggiungimento di diritti che ci spetterebbero per natura (vedi leggi aborto o divorzio) - dagli anni '80 in poi i cambiamenti sono stati scarsi, come se fossimo in un periodo di stallo. Ma c'è anche da far notare che, intanto, i politici e negli ambiti istituzionali, oltre che in televisione, la donna continua ad essere utilizzata e rappresentata come oggetto. E le donne che ci dovrebbero rappresentare in Parlamento e nelle Assemblee elettive sono spesso succubi. Rientrano perfettamente nel disegno di un sistema costruito da e per la supremazia maschile, in modo non più ostentato come nei secoli precedenti, ma più sottile e apparentemente impercettibile. Inoltre la donna per ‘competere’ con l'uomo e farsi riconoscere alla pari, si è ritrovata a cercare di assomigliargli sempre di più invece di lottare con le proprie armi valorizzando l'essere donna come arma vincente. Infine il valore simbolico del voto alle donne temo stia perdendo via via la sua importanza perché le giovanissime generazioni sono troppo disinteressate alla storia contemporanea. Non possiamo permetterlo. Non possiamo lasciare che questa conquista venga devalorizzata. Il diritto al voto è una questione che a noi di ‘Questa è Roma’ interessa da vicino. La Rete G2 nel 2005 ha intrapreso una battaglia precisa: concedere la cittadinanza (e quindi il diritto al voto) ai figli degli immigrati nati e/o cresciuti in Italia. Sembra incredibile che dopo più di dieci anni di battaglie, proposte di legge di iniziativa popolare, manifestazioni e campagne di ogni genere, oggi siamo ancora in attesa di una concessione, ma per meglio dire un riconoscimento legittimo agli italiani di fatto, cresciuti e pasciuti dal Bel Paese, che considerano casa propria. Sono fermamente convinta che le battaglie delle donne del '46 abbiamo molto in comune con quella che portiamo avanti noi nel 2016. Il diritto al voto oggi è sottovalutato, devalorizzato, sprecato, snobbato, semplicemente perché non si conosce o si è dimenticato il privilegio e il potere che ne deriva. Ritroviamo quel valore, costruiamo la società più adatta ai nostri bisogni, utilizzando tutti gli strumenti legittimi che ci sono concessi, a partire dal diritto-dovere del voto".


Silvia Vaccaro




 


DISEGNARE IL MONDO IN CUI VIVREMO

Simona Baldelli, scrittrice, autrice del libro “La vita a rovescio.


“Mi pare che Turati dicesse di essere contrario al voto alle donne, anche in contrapposizione a certe aperture del suo partito, perché prima o poi avrebbero finito per votare il padrone. E credo che già all’epoca abbia sollevato una questione di non poco conto. C’è, infatti, una tendenza che non viene curata, che non viene corretta, e che riguarda l’educazione delle bambine e quindi delle donne, che ci spinge ad essere sempre compiacenti, accondiscendenti, e finisce per rendere drammaticamente vera questa affermazione. È forse questa una delle cause per cui le istanze femminili, non solo da quando le donne hanno diritto al voto ad oggi, ma anche da prima, sono disattese. Per questo credo che ci sarebbe bisogno di una profonda rilettura politica a partire dalle scuole, dalla moda, dai costumi, dai libri di testo sui quali ci formiamo. Penso che ci sia ancora una maniera di raccontare la vita quotidiana che è molto lontana dalla realtà e da quello che la realtà potrebbe essere. È anche vero che c’è grande difficoltà di rappresentanza: quando arriviamo al voto, noi donne in particolare, ci chiediamo a chi dare questo voto, ci chiediamo chi sarà in grado di farsi carico delle nostre domande e di prendersi cura dei nostri problemi. Perché non vedo una grande differenza di sensibilità di percezione della politica. Non vedo la differenza di genere. Ci sono esigenze e bisogni che da troppo tempo chiediamo che vengano soddisfatti. A volte sento quasi di dover andare su barricate femministe non essendoci andata da ragazzina. Per questo credo che sia necessario tornare alle origini di questo percorso, tornare alle esigenze, alle istanze che ci hanno spinte a chiedere il voto perché decidere per chi si vota non significa solo dare un volto ad il mondo in cui viviamo ma anche disegnare il mondo in cui vivremo. Significa decidere se avremo accesso all’educazione, alla sanità, alla democrazia partecipata. Non sono convinta che le donne ragionino in questi termini e mi sembra che abbiamo perso la forza di pretendere delle cose che siano legittimamente ed eticamente giuste, come fu per il voto”.


Nadia Angelucci




 
VOTA ANCHE PER ME, PERCHÉ IO NON LO POSSO FARE

Igiaba Scego, scrittrice italiana di origine somala.


“Poter votare è una grande fortuna, speriamo di poterlo fare sempre. La democrazia, certamente, non è perfetta, dobbiamo lavorarci su, ma perderla sarebbe peggio. Per questo bisogna tenersela stretta, fare in modo che funzioni e farlo presto. Quando ero piccola ho visto la dittatura di Siad Barre. La Somalia ha votato due volte, poi c’è stata la guerra. Ora la gente non vede l’ora di andare a votare. È un diritto non scontato, che si può anche perdere, ha un valore serio: possiamo fare delle scelte, anche se non ci piace un partito. Il voto è una cartina di tornasole e spero che la gente riconosca il merito di chi ha combattuto e di chi combatte ancora oggi per poter votare. Vedo gente non votare qui, in Italia; vedo figli di migranti che non hanno mai votato; fra loro c’è chi sogna di fare politica, chi sarebbe perfetto per la politica, ma ne è escluso. Il voto è molto importante, non devi andare dall’altra parte del mondo per capirlo: io ci penso ogni volta che qualcuno mi dice “vota anche per me, io non lo posso fare.

C’è un grande scollamento fra la popolazione, fra chi siamo tutti noi, e le persone che ci rappresentano. Anche i discorsi sulle rappresentanze per età, sesso, seconde generazioni di migranti, spesso sono solo spot, quasi come se i giovani, le donne o i migranti fossero ospiti sgraditi; essi ci sono, ma non c’è una legge di cittadinanza. Nei partiti c’è una sottovalutazione dell’Italia multiculturale, che non è rappresentata mai, nemmeno nei movimenti. Eppure, a guardar bene la storia, l’Italia è da sempre multiculturale, e ancora parliamo di consulte, anziché aprire all’organizzazione politica. La stessa cosa capita per le donne. Molte sono riuscite a fare delle battaglie, ma il problema non è solo esserci, ma stare bene. Mi ha preoccupato sentire tutti quegli insulti e commenti sessisti rivolti alla Presidente della Camera Laura Boldrini.

Serve un percorso a tutto campo, nei media, nelle scuole, nella cultura. Vedo un paese bloccato, dove una persona della cosiddetta seconda generazione non può fare nemmeno l’autista del bus. Londra ha il suo primo sindaco musulmano, Sadiq Khan; qui tutti si scandalizzano, ma lì l’hanno votato perché è bravo. A me ha colpito di più che sia figlio di operai: è un traguardo per una società classista come quella inglese”.


Elena Ribet




 SCELTA, PARTECIPAZIONE E CONTROLLO SOCIALE

Marica Di Pierri. Attivista per la giustizia ambientale e sociale.


“La democrazia rappresentativa sta attraversando una crisi profondissima. Fondata sull'idea che la sovranità popolare si sostanzi nella scelta dei propri rappresentanti istituzionali, essa ha visto nei decenni slabbrarsi sempre più la cinghia di trasmissione tra società e istituzioni, tra popolazioni e élite dirigenti. Nell'assetto attuale, che non prevede più neppure il voto di preferenza, votare equivale a firmare una delega in bianco a chi vincerà, decisamente eccessiva in assenza di strumenti correttivi (quali istituti di partecipazione e controllo sociale).

Di certo i padri costituenti non immaginavano il degrado cui sarebbe giunto il nostro sistema politico, e non hanno di conseguenza disposto di controbilanciare i poteri dello stato con strumenti che permettessero ai cittadini di intervenire non solo ad abrogare norme infauste, ma anche, ad esempio, a dare indicazioni e a fare proposte. La necessità di un dibattito su questo tema è sentita da molti, ma trova la sua perfetta antitesi nel progetto di riforma costituzionale su cui (contro cui) saremo chiamati a votare ad ottobre.

In Italia il voto universale maschile fu introdotto nel 1912. Prima di allora votavano solo le classi agiate. Per attendere l'estensione del voto alle donne si dovette aspettare fino al 1946. Il suffragio universale ha allargato la base della democrazia rappresentativa e eliminato discriminazioni intollerabili. Pur consci dei limiti strutturali del modello di governo esistente, scegliere di abdicare al diritto al voto non ha in alcun modo effetti benefici per la tenuta democratica. Anzi. Il voto resta non solo un dovere ma anche e soprattutto un sacrosanto diritto, non negoziabile in alcun caso. Questo non esclude la necessità di spingere affinché alla scelta di chi ci rappresenta si associ una profusa attività di impulso e di controllo nell'agire pubblico da parte dei cittadini”.




Elena Ribet




ERAVAMO TANTE DONNE IN FILA


Lucia Matteucci. Ha 95 anni, è una delle donne più anziane di Granarolo Faentino.     


“Non sapevo che il 2016 è il settantesimo anniversario del voto alle donne e dovuto pescare nella memoria. Pian piano mi sono tornati alcuni ricordi. La cosa che più mi è rimasta impressa è che si votava al primo piano di quella che era allora la casa comunale. C’erano tre rampe di scale e tante donne, ma tante, tutte in fila sugli scalini per salire e tante che aspettavano. Stavamo dalla parte del corrimano per consentire alle altre di scendere. Ricordo bene questa animazione. Votavano anche gli uomini, ma quando andai eravamo tutte donne. Che poi eravamo ragazze. Se qualcuno mi aveva convinto ad andare al voto? Io mi convinsi da sola, anche se, adesso che ci penso, mio padre era di tendenza socialista, ed anch’io, dentro di me, stavo da quella parte. Però va detto che il voto fu preceduto da una grande propaganda dei partiti che, come adesso, litigavano tra loro. Ma più che altro mi è rimasta impressa quella fila indiana sulle scale”.


Rossella Ciani




 




 


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