L’Aquila, il sisma - Le catastrofi naturali potrebbero essere pretesto per ripensare le priorità della spesa pubblica, invece prevale la retorica e il populismo. E anche questa volta...
Giancarla Codrignani Martedi, 28/04/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2009
Ci sono terremoti metaforici e terremoti terribilmente reali. In Italia siamo soggetti ad entrambi e sembra che siamo bravi ad incassare sia gli uni che gli altri.
Il dolore. Il dolore dei morti, delle case distrutte, delle conseguenze. I telegiornali riescono a farlo crescere, come cresce il senso dell'impotenza di fronte a disastri che sembrano ineluttabili. Terremoti, tsunami, incendi, straripamenti, gelo, siccità si impongono da sé, li subisci, ti ci arrendi. Puoi pregare Dio se ci credi o trovare una ragione per non crederci: è la crudeltà della natura. Ma le domande idiote o per lo meno abusate e inutili dei cronisti che piazzano i microfoni davanti a vittime che di tutto hanno voglia fuor che di rispondere a sciocchezze hanno aumentato in chi ascoltava da lontano il senso di impotenza che genera quasi sempre indifferenza, anche se abbiamo sofferto tanto e continuato il pranzo guardando il telegiornale.
Tutti, uomini e donne, vittime di un male non minore della scossa tellurica, la solidarietà ridotta - escludiamo il caso dei generosi che sono volati sul posto ancor prima dei giornalisti - a scattino del cellulare per versare due euro liberatori a favore delle vittime.
Invece il terremoto, questo che ha devastato l'Abruzzo, ci interpella in bel altro modo. Nel dolore e nella solidarietà. Non si soffre se non si pensa e non si è solidali se non si fa qualcosa. Forse siamo troppo esigenti: dobbiamo riconoscere che non siamo onnipotenti... Ma non è solo questione di introiettare il senso del limite (che sarebbe già molto ) per far funzionare le giuste reazioni positive, almeno per quanti non sono già a contatto diretto con la sofferenza. E' necessario mantenere il controllo sulle situazioni e non lasciarsi andare acriticamente dietro le proposte di soccorso diversamente orientate.
Dicono che bisogna individuare fin d'ora un canale, una grande associazione seria (?) nel tentativo di evitare i furbi, e destinare a quel collettore tutti gli aiuti. Basta trovarla, D'altra parte non sì può essere solo spettatori. Ognuno è chiamato a far la propria parte. Anche accogliendo l’invito della CEI che, dopo aver stanziato 3 milioni di euro, ha indetto “una colletta nazionale, da tenersi in tutte le chiese italiane il 19 aprile 2009, domenica in albis, come segno di solidarietà e di partecipazione di tutti i credenti ai bisogni materiali della gente abruzzese”. Ma, sentendo le varie cifre di offerte, collette, autotassazioni ecc. come non pensare a un’altra cifra: quella dei 14 miliardi che l’Italia dovrebbe spendere da qui al 2026 per gli aerei da guerra F 35?” Sono le parole di don Renato Sacco, un prete di Pax Christi, che ci ricordava - ma chi ne era informato?- che il Parlamento è chiamato a esprimersi su uno stanziamento di 14 miliardi di Euro per un aereo da guerra che non serve per combattere il terrorismo e neppure per difendere i confini. Com'è che gli Stati Uniti non possono più permettersi di comprare l’elicottero presidenziale US101 (perché da 6 miliardi è arrivato a 13 miliardi di dollari e “il costo appariva troppo alto per il contribuente americano”) e, quindi, hanno rescisso il contratto con l'italiana Finmeccanica, pagando regolare penale? In Italia abbiamo la crisi e allora potrebbe essere davvero l’occasione per tutti, maggioranza e opposizione, per dire: “Scusate, su questa spesa così alta ci fermiamo, ci pensiamo su”. Non sarebbe visto come cedimento a un ‘pacifismo a senso unico’, ma un gesto di buon senso.. di non spreco. E poi questi aerei, una volta in funzione avrebbero come scopo colpire gli obiettivi e ridurli come le case che abbiamo visto a Onna e L’Aquila. Un cumulo di macerie. Perchè non lasciare prevalere questo ri-pensamento?.... Viene in mente Raoul Follereau, l’amico dei lebbrosi, che nel 1954 scrisse ai capi delle due grandi potenze: USA e URSS: “Datemi un aereo, ciascuno di voi un aereo, uno dei vostri aerei da bombardamento. Perché col costo di questi due velivoli di morte, si potrebbero risanare tutti i lebbrosi del mondo... Non credete che sia questa una bella occasione ‘per fare qualche cosa?’ Due bombardieri! E si avrebbero tutte le medicine necessarie per guarirli! Il problema non ne sarebbe ugualmente risolto? Lo so. Ma datemi intanto due aerei: e vedrete come si schiarirebbe. E quale speranza nascerebbe allora in milioni di poveri cuori che non saranno soltanto quelli dei lebbrosi…!”. Ragionamenti da prete alla vigilia di una Pasqua in mezzo ai terremotati? Lasciamo perdere: a noi bastava utilizzare le spese risparmiate unificando la data del referendum al 7 giugno. Ma il ragionamento più vero è un altro: se si fanno i conti in momenti di tragedia nazionale, perché non incominciare a ragionare sugli sprechi? Ma sul serio, da casalinga che ha perduto la casa e sa bene quali sono le priorità dei bisogni umani. Ed è ragionare di vita quotidiana e di ruoli.
Quanto è accaduto dovrebbe ricondurci fuori dall'antipolitica e imporci un ridimensionamento dei nostri desideri. Non è così: la gente meno sprovveduta non vuole essere individualista, ma ha incominciato da tempo a usare - come se fossero categoria del "politico" - le espressioni che un tempo si sarebbero dette qualunquiste del mi piace, non mi piace. E anche del con queste posizioni non vado a votare. Certamente le situazioni in cui siamo immersi erano inimmaginabili vent'anni fa; tuttavia si ha la conferma vissuta che la storia non serve a nulla. Anche in Parlamento l'astensione dovrebbe essere un caso limite formalmente identificabile perché scelte già discusse e, quindi, definitive non consentono altro che un voto favorevole o contrario. La scelta dell'Aventino fu nobile, ma non esemplare. Tuttavia oggi c'è una cultura ideologica del voto: se si desse il caso di un ballottaggio tra due personalità di destra con esclusione della sinistra. Un caso-limite dell'astensione, ma più politico il voto al candidato, anche non "proprio", migliore: il fine è il bene della città, anche se "non mi piace".
Tuttavia non possiamo votare contro i terremoti. Oppure non è così vero che dobbiamo solo subire, anche negli sconvolgimenti naturali?
La nostra lenta evoluzione storica ci consente ambiti sempre più ampi di prevenzione. La globalizzazione vieta l'ignoranza, "naturale" anche pochi decenni fa giustificava l'ignoranza di un Giappone e dei suoi sommovimenti quotidiani. Invece i costruttori italici non solo non si aggiornano sulle tecniche antisismiche, ma anzi pensano che il cemento migliora se integrato con la sabbia: qui le difficoltà si fanno enormi, per l'impossibilità dell'architetto che firma progetti o del sindaco che assegna gli appalti di farsi responsabili dei subappalti. E' cronica la carenza nel nostro paese non solo di un sistema di controlli e collaudi, ma anche della consapevolezza della loro vitale (vedi il caso Abruzzo) necessità. Per questo la scelta di partecipare alle scelte dei candidati amministratori è un dovere politico dell'elettorato, che, anche quando dice "mi piace", non sa bene "per fare che cosa". Se il terremoto distrugge gli edifici moderni, gli amministratori debbono sentirsi in colpa.
Anche nei soccorsi dovremmo essere esperti: siamo il paese europeo che ha avuto il numero più alto di terremoti devastanti e, di conseguenza, il recupero più "patriottico" della solidarietà sociale tragica. La "fierezza" di farcela da soli è un atteggiamento poco sensato. Quando Berlusconi ha invitato gli altri governi a non mandarci cibi e coperte, ma a vendersi tali derrate casa loro per mandarci i soldi, ha espresso la solita cafonaggine; ma ha rivelato involontariamente la necessità di riformare la cooperazione con i paesi poveri scambiando il piano dell'assistenza con quello dei diritti. Sono, infatti, sempre i ricchi ad avvantaggiarsi, da un lato producendo prodotti e vendendoli agli stati e agli enti assistenziali, dall'altro lasciando ai poveri il malfunzionamento della macchina produttiva e dei servizi. Ma il nostro Primo ministro ha ancora alimentato consenso servile invitando ad andare al mare "dove ci sono tanti alberghi belli che aspettavano gli sfollati a spese dello stato" (con gli albergatori dubbiosi dei tempi del rimborso); mentre la stampa estera pubblicava articoli feroci sulla "vergogna" del nostro presidente. Punti di vista. Ma anche altri terremoti culturali.
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