“La globalizzazione viene adattata ai sogni e desideri dei turisti. Il suo secondo effetto, il suo effetto secondario, è la trasformazione di molti altri in migranti. Il primo effetto alimenta e gonfia il secondo, in modo indomabile e irrefrenabile. Il secondo è il prezzo del primo. Il problema è come far scendere questo prezzo”. Zigmunt Bauman nel suo saggio “Globalizzazione e glocalizzazione”, con un’immagine calzante, descrive turisti e migranti come due facce della stessa medaglia. Da un lato uomini e donne benestanti guidati dalla sete di conoscenza e dal piacere di viaggiare, dall’altro gli ultimi della terra partiti a causa di guerre e miseria. Poveri da sostenere, di cui farsi carico, o, nel migliore dei casi, forza lavoro da sfruttare sotto costo.
Arrivano in tanti sulle coste siciliane, dopo aver trascorso mesi o anni a camminare nel deserto o viaggiando su mezzi fatiscenti, spesso dopo lunghi periodi passati in carcere in qualche paese di transito. Tempo impiegato a raccogliere i soldi necessari a pagare il viaggio via mare. Tappe intermedie che devono sembrare eterne, perchè dominate da totale incertezza. Unico obiettivo giungere a destinazione, ai piedi dell’Europa. Non tutti riescono ad arrivare. Per molti il mare si trasforma in una tomba.
Anche questi giorni, sebbene il massacro dei palestinesi a Gaza e le morti in Iraq facciano scivolare nella timeline dei quotidiani le notizie sugli sbarchi, uomini e donne, prevalentemente africani e medio-orientali, continuano ad approdare sulle coste siciliane, spesso recuperati in mare aperto. Numerosi arrivano, altri continuano a morire. Il prezzo di cui parla Bauman non solo non scende, ma ogni giorno cresce a dismisura. Oltre diciannovemila i migranti che hanno perso la vita in mare dal 2000 ad oggi. Un conto umano mostruoso che però non sembra trovare nella politica italiana e comunitaria uno spazio adeguato per la discussione e la rivalutazione di scelte e azioni politiche evidentemente inefficaci.
A causa della politica assente o inadeguata, molto dell’accoglienza e dell’assistenza ai migranti è affidato agli uomini e alle donne di buona volontà, membri e dipendenti di associazioni e ong che garantiscono ai migranti il necessario. Pasti, vestiti, tutela legale, supporto linguistico, sia nella fasi di emergenza successive agli sbarchi, sia durante la loro permanenza in Italia, breve o lunga che sia.
Accade talvolta che anche il mondo della cultura e dell’arte decida di misurarsi con le storie di questi viaggiatori coraggiosi. Succede quest'anno a San Miniato alla 68esima Festa del teatro. Lo spettacolo Finis Terrae, scritto da Gianni Clementi, su un’idea di Antonio Calenda che ne curerà anche la regia, metterà in scena l'arrivo di un barcone semidistrutto carico di persone con le loro storie, le loro povertà, i loro sogni e le loro speranze. Un cast multietnico, formato dagli attori italiani Nicola Pistoia, Paolo Triestino e con Francesco Benedetto e da musicisti e ballerini africani. Le musiche sono state firmate da Germano Mazzocchetti, le scene sono di Paolo Giovanazzi ed i costumi di Domenico Franchi. L’opera è frutto di una coproduzione tra Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato, guidata da Marzio Gabbanini, e Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, di cui Calenda è direttore.
“Il tema dell'emigrazione è un tema antico e noi abbiamo la possibilità di portare sul palco una questione aperta che affligge la società, una problematica forte. Sono contento di aver lavorato con questi ragazzi perché insieme abbiamo messo in piedi uno spettacolo di grande intensità spirituale”, ha dichiarato Calenda. Il debutto è previsto in anteprima per la stampa giovedì 17 luglio nella Piazza del Duomo di San Miniato e le repliche continueranno fino al 23.
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