L'attaccamento alla terra intesa come radici, presente e futuro,nonché fonte di sostegno, nell'Alta Irpinia della Seconda guerra mondiale durante l'oppressione fascista. Il ruolo forte delle donne irpine inneggianti alla rivolta.
Martedi, 26/01/2016 - “Se potessi barattare il destino vorrei rinascere rapace, vibrare in alto trascinato dal vento, assestare con forza il colpo alle ali, per volare lontano dall’aria spinosa del sospetto e dell’inganno”. Un desiderio-auspicio in cui è concentrato il senso del romanzo ambientato in Alta Irpinia durante la Seconda guerra mondiale. Il ritrovamento del diario del padre comunista emigrato in America rappresenta per il protagonista la maturazione di una coscienza antifascista, contro i soprusi e l’ingiustizia. Quel prezioso diario è l’occasione per ricostruire il passato, rievocando il tempo trascorso col padre nei campi del Formicoso (altopiano tra Bisaccia e Andretta, terra dove riscoprire le memorie) o nella sezione del Partito Comunista. Un gran pensatore, quel padre di cui rievoca i discorsi sul lavoro degli operai pagati male, sul capitalismo e la povera gente, i racconti delle lotte, gli scioperi fatti per difendere i salari di massari sfruttati nelle piantagioni pugliesi, stroncati dall’arrivo dei fascisti e dalle sentenze del Tribunale speciale. O dei mietitori che, sdraiati sui pagliericci di pietra delle piazze dei paesi, speravano di essere assunti alla giornata. O di quando gli narrava dell’incontro a Cerignola, con “Giuseppe Di Vittorio, il più coraggioso sindacalista, che parlava al cuore dei contadini in modo semplice, esortava a non entrare in conflitto con la polizia, ma a difendersi dalle aggressioni fasciste”. E alle domande del figlio sul perché ringraziasse Dio o si recasse in chiesa, rispondeva che “il Padreterno, proteggendo i più deboli e condannando la ricchezza materiale, e considerandoci tutti uguali di fronte al suo giudizio, non poteva che essere comunista”. Sarà sempre il padre a donargli Salario, prezzo e profitto, di Karl Marx alla sua partenza, allorquando gli raccomanderà di badare alla madre, essere un onesto cristiano e un buon comunista. Lo scenario in cui si dipana il racconto è completo: dalle figure più arroganti come il podestà, il segretario del fascismo, gli squadristi, gli usurai, alle spie e agli asserviti per necessità. Al centro notabili e professionisti, fino alle categorie più umili, soprattutto i contadini, vittime passive e ignoranti, che tentano di ribellarsi senza progetti e senza energie, nell’irrisolta Questione meridionale in cui il brigante, è diventato l’eroe degli oppressi. Le donne, terrorizzate dalla guerra, attendono la morte o il ritorno di figli e mariti, ma hanno un ruolo forte, in un’organizzazione sociale che non lo ammette palesemente, ma nei fatti si. Ci sono poi i preti che aiutano il popolo, distribuiscono viveri, vigilano sui fascisti e cercano di proteggerlo, e per questo vengono trucidati, ma soprattutto, i giovani, che non intendono rassegnarsi ai soprusi e alla mancanza di libertà e per questo vengono perseguitati con arresti, torture, esecuzioni o internamento in manicomio, per sindrome politicamente nociva. Così come non mancano eventi naturali drammatici come il terremoto del 23 luglio 1930, che portò la morte in Irpinia e Lucania. Senza contare l’arretratezza, fonte di speculazione e clientelismo per alcuni, e di disillusione per il popolo, che nella mancata realizzazione dell’acquedotto Formicoso-Bisaccia, vede svanire un’opportunità di progresso. Così come la mancata realizzazione della linea ferroviaria Ariano-Potenza, nonostante le pressioni di un comitato di 30 Comuni, mai costruita, seppur presente sulla mappa dei tedeschi in fuga. Contadini e braccianti vedono scomparire la terra del Formicoso promessa ai veterani tornati dalla guerra, nell’annoso scontro per il possesso, che li vede contrapposti a “galantuomini” e speculatori, favoriti grazie alla combutta col podestà. E allora scoppiano le rivolte capeggiate dalle donne, si racconta la storica “repubblica di Batocchio”, la resistenza al fascismo dei confinati politici, gli anni della guerra fino alla disfatta, al redde rationem finale (il re in fuga verso il sud, i tedeschi verso il nord, i fascisti, semplicemente in fuga), lo sbarco degli Anglo -americani, gli scontri violenti nelle contrade irpine, le ultime angherie di fascisti e tedeschi, che scappano come belve ferite, non senza rimostranze (i tedeschi che una volta allontanatisi dall’alto, squarciano le case coi cannoni), gli alleati che sbagliano i bombardamenti. Nel corso degli avvenimenti, si rafforza la coscienza politica del protagonista, il quale non dimentica mai i preziosi insegnamenti del padre, che gli suggerisce di non fidarsi mai “di chi agita la propria verità come una ghigliottina che decapita le opinioni altrui. Devi cogliere la percezione del dubbio e ricorda che le vittorie, non sono il calcolo di una persona, ma lo sforzo di tante. Di fronte al dissenso non emarginare, non è malafede, ma una visione diversa del problema. E se diventa cieca certezza, la politica rischia di rovinare in catastrofe. Il partito non è un colletto inamidato e prima o poi, è utile che ci si confronti anche con gli errori”. Nel racconto, che non manca di colpi di scena (soprattutto nella parte finale in cui si scopre il vero motivo dell’emigrazione e del lungo silenzio del padre, di quelle lettere mai giunte a destinazione), c’è anche la storia d’amore del protagonista con Lucia, che colpita dalla malaria, immagina come morirà e che dopo la morte come tradizione, le sarà messa della terra in bocca, perché la terra è vita. Tutto ruota intorno alla terra, a cui sia contadini che “galantuomini” sono visceralmente legati. La terra è vita, passato, presente, futuro: tiene attaccati gli uomini alle radici e non sanno vivere senza il contatto con lei. Scritto in maniera fluente, il libro trascina la mente nelle doviziose e accattivanti descrizioni dell’autore, che spesso si fanno poesia e pathos. Questo romanzo-verità è un inno alla speranza e alla libertà, alla ribellione all’oppressione, nonché una testimonianza storica rilevante per la memoria, perché la conoscenza del passato è premessa indispensabile per evitare che in futuro si reiterino gli stessi nefasti percorsi.
Floriana Mastandrea
Nota su Pasquale Gallicchio L’autore è nato e vive a Bisaccia (AV), è giornalista professionista e appassionato di politica. Ha ricoperto diversi incarichi per il Partito democratico ed è stato protagonista di battaglie civili sulla sanità, trasporti, ambiente, sociale. Nel 2000 ha collaborato col regista Gianni Amelio a La terra è fatta così, sul terremoto del 1980 in Irpinia. Nel 2001 ha fatto parte del coordinamento editoriale della CGIL di Avellino L’occupazione delle terre in Alta Irpinia 1945-1950, con la prefazione di Sergio Cofferati. Nel 2006 ha curato la raccolta Difendiamo la Costituzione, con la prefazione di Nicola Mancino, l’introduzione di Pietro Ciarlo e gli interventi di 10 presidenti di regioni italiane. Nel 2007 ha pubblicato un saggio di politica, Passaggio democratico, con l’introduzione di Walter Veltroni.
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