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teresa: la contraccezione negata.

teresa: la contraccezione negata.

teresa deve nascondere la sua realtà affettiva non può trovare una soluzione alla sua infelicità nella morale, che ha violato, ha bisogno d’altro, che trova fuori dalla chiesa.

Venerdi, 29/06/2012 - Teresa: la contraccezione negata.

Di Averardo Brinati.

Se una donna frequenta la chiesa, assiste alla messa, il suo atteggiamento è buono e caritatevole verso il prossimo, per la chiesa è una fedele praticante.

La stessa donna; sotto il comportamento “religioso”: che la unisce alla chiesa, conduce un’altra esistenza, che non può rivelare; in questo caso, gli uomini della chiesa riuscirebbero a vedere: la sua inquietudine?

Capirebbero il suo nervosismo?

Affronterebbero; e con quale preparazione, una discussione “reale e aperta” sull’infelicità di questa donna?

Ammettiamo, pure che un uomo della chiesa fosse capace di confrontarsi apertamente con i reali problemi di questa donna, alla fine, quale soluzione le proporrebbe?

Quella suggerita dalla sua morale o dal suo cuore?

Proprio perché ha dovuto nascondere la sua realtà affettiva, questa donna non può trovare una soluzione alla sua infelicità nella morale, che ha violato, ha bisogno d’altro, che trova fuori dalla chiesa.

Teresa è una donna che ho conosciuto, (Teresa non è il nome della donna di questa storia è un nome di fantasia).

La storia di Teresa si sviluppa proprio intorno alla necessità di nascondere e vivere due realtà parallele.

Era un’insegnante d’Italiano molto devota, la sua vita si svolgeva tra lavoro, casa e chiesa, sembrava che non le interessasse altro.

Il mattino, prima di recarsi a scuola, assisteva alla messa e, quando terminava il suo lavoro, rientrava a casa o si recava in parrocchia.

Era disponibile verso chi avesse bisogno di: conforto, una parola buona, o di un aiuto concreto, aiutava i ragazzi in difficoltà e quando era richiesto, faceva la spesa per alcuni disabili, impossibilitati a uscire da casa.

Apparentemente la sua vita seguiva schemi; prevedili e monotoni, viveva sola, la sua famiglia stava in un’altra Regione.

Nella scuola e in parrocchia; che erano gli unici luoghi dove si svolgeva la sua vita sociale, i conoscenti la consideravano poco socievole, ma non rilevavano niente di anormale nel suo atteggiamento.

Solo a un osservatore più attento non poteva sfuggire: la sua inquietudine e il suo smarrimento; quando parlava con qualcuno, non riusciva a guardarlo negli occhi, il suo sguardo “ fuggiva” e si fissava per terra.

Non poteva stare ferma un attimo; neanche sulla cattedra, se dialogava con un familiare o con una persona amica, doveva mentire, ed era abbastanza evidente.

Che cosa turbava Teresa?

Era l’amante segreta di un uomo sposato, padre di tre figli, in otto anni di relazione ha abortito tre volte.

Teresa non era emancipata come quelle donne che di notte si recano ai pronti soccorsi degli ospedali a chiedere la pillola del giorno dopo, loro non hanno difficoltà ad ammettere un rapporto sessuale.

Teresa, invece doveva nasconderlo, la sua educazione e la sua religiosità non le permettevano di parlarne, appariva “integra” sua madre la voleva così.

L’integralismo religioso, l’educazione e i suoi genitori eccessivamente rigidi, avevano “marchiato” la vita di questa donna, è interessante notare che per uscire dalla sua rigidità morale, l’unica via praticabile fosse trasgredire.

L’educazione cattolica non le permetteva di esternare il suo amore per un uomo sposato; l’apparenza di una donna devota che si era costruita “addosso” sarebbe crollata.

Per vivere un lampo di felicità, doveva nascondere i suoi sentimenti.

La chiesa manifesta l’atteggiamento ostile verso le donne emancipate, consapevoli, responsabili, che prevengono gravidanze con i contraccettivi.

Mentre accoglie, elogia e incoraggia donne come Teresa, impossibile, per chi la frequentava, non notare l’infelicità “che si trascinava addosso”, trasudava da tutti i suoi pori.

Non so se in parrocchia dove “Teresa era di casa” avessero notato la sua infelicità, e con quali “occhi” l’avessero guardata, certo è che era una fedele esemplare: pia e disponibile ad aiutare chi ne avesse avuto bisogno.

Inoltre era una fedele “praticante” non perdeva una messa ed era presente a tutte le cerimonie religiose.

Impossibile, per lei, confidarsi con un sacerdote, era troppo impegnata a sostenere la sua bella immagine timorosa di Dio.

Inoltre l’istinto le faceva percepire la lontananza tra il mondo della parrocchia e il suo amore per un uomo sposato, sapeva di doverlo difendere, l’unico modo per viverlo era tenerlo nascosto, non poteva certo reggere un confronto.

Troppo fragile, in lei, l’autostima, sentiva che i suoi sentimenti e soprattutto i suoi desideri; se li avesse esternati; non sarebbero sopravvissuti, sarebbero stati travolti da una valanga di motivazioni: giuste e logiche, “degli altri”, perciò lei, teneva le sue emozioni ermeticamente chiuse in sé.

Da buona cattolica non prese mai in considerazione nessun contraccettivo neanche il preservativo.

Teresa seguì un modello che le sue nonne e le bisnonne, nei secoli passati, hanno impresso con l’emozione del dolore, nei loro inconsci collettivi: gli aborti clandestini.

Rimase incinta tre volte, cui seguirono tre aborti, lei non si espose, come succedeva alle sue nonne all’opera di un macellaio che usava ferri da calza, poteva contare su un ospedale, il suo corpo fu tutelato.

Come le sue nonne, dovette provare la paura e il sentimento di colpa, reso più duro da un’immensa e incolmabile solitudine.

Non parlava al suo uomo della sua gravidanza, aveva paura che lui tentasse di convincerla a portarla avanti, anche l’eventualità di rendere evidente il suo stato di adultera la spaventava, la soluzione era sempre quella: nascondere.

Teresa, sola sapeva di essere incinta, prendeva accordi con l’ospedale, il mattino dell’intervento vi si recava, il suo uomo sapeva che lei andava al lavoro, alla stessa ora degli altri giorni tornava a casa con la variante che la accompagnava un taxi, stava chiusa in casa tre o quattro giorni, poi ricominciava la vita di sempre.

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