Martedi, 29/06/2021 - Teresa e le altre, il racconto di Matilde Tortora
Non si sarebbe potuto entrare. Era vietato.
Ma le porte restavano aperte per consentire a un poco di frescura di penetrare fin là dentro. Che, caso mai, qualche alito di vento vi si sospingesse. Quella città ha temperature roventi a volte, il fresco del tanto verde che pure è una delle sue altre, magnifiche prerogative, non ce la faceva proprio a penetrare in quelle sale, era davvero lontano dalla Sartoria.
Soprattutto durante il Festival, nei frenetici giorni inappuntabili, che pure loro contribuivano a rendere inappuntabili, pronte a intervenire anche all’ultimo momento con punti, spilli, ferri roventi.
C’erano stati nei mesi precedenti, in anni addietro, a cominciare già da ottobre, all’interno posati in verticali, addossati ai muri dei rotoli di stoffa la più varia, conniventi sembrava a mantenersi eretti, intenzionati a stare vigili, pronti a farsi srotolare, solerti anch’essi come le sarte che erano lì, tutte sarte selezionate per la loro bravura chiamate a lavorare mesi prima, che nel servirsene, nello srotolare, nel posizionare quei rotoli in orizzontale, prima di tagliare le porzioni di stoffa che occorrevano, davano carezze a quelle stoffe non solo per allisciarle e tagliare meglio, ma per lunga protratta prossimità.
E, certo, in quei mesi autunnali freddi come freddo sa essere l’autunno lì, a volte il rumore delle forbici azionate dalle loro esperte mani mandavano un rumore ghiaccio, forse perché erano fredde anch’esse quelle grosse forbici. E righe, righelli, puntaspilli sembravano avere la voce roca, a volte si poteva indovinare pure che erano anch’essi solidali con quelle maestre sarte tanto brave e infreddolite.
Poi giungevano i giorni del Festival, le porte della Sartoria del tutto aperte, a volte Giancarlo Menotti, lo vedevamo, sgusciare dentro, andava di persona a dire qualche parola loro, a sovrintendere che i costumi per la prima fossero pronti, inappuntabili e ogni volta si congratulava con loro.
C’erano costumi approntati di ogni foggia, di diversi colori, alcuni di seta impalpabili, altri di stoffe pesanti, guarnizioni meravigliose e che, a guardarle, sembrava impossibili che si fossero potuto fare ma del tutto fedeli alle carte e alle indicazioni dei modelli su cui le sarte avevano lungamente lavorato, sapientemente lavorato.
Non ci si pensa mai, ma dopo una recita anche i costumi possono essere stanchi, si gualciscono, a volte incorrono in piccoli strappi e ogni volta daccapo le maestre sarte a ridare loro vigore per essere di nuovo indossate, per le repliche. E inoltre, si sa, che non c’è stato interprete in tutti quegli anni che non le abbia ringraziato di vero cuore, per avere adattato, allargato, ristretto, accorciato così che essi potessero, indossandoli, dare il meglio di sé in palcoscenico.
Le sarte del Festival dei Due Mondi di Spoleto a fine festival ogni anno ricevevano le lodi di tutti, a cominciare da Menotti. La loro bravura era, dunque, in città proverbiale.
Il fato volle (o forse fu il mio grande desiderio di andarvi in quella Sartoria!) che mio fratello si fidanzasse con la figlia di una di quelle bravissime sarte, che Ella divenne presto sua moglie e io mi trovai a divenire in un certo qual modo imparentata con Teresa Morgnanesi Angeli una delle decane, una riconosciuta bravissima sarta del Festival.
Teresa maestra di fili, impunture, tagli sartoriali, cuciture inappuntabili, capace di tenere testa a quelle tele e stoffe di ogni spessore, di ogni colore, che contribuiva con la sua maestria a che tutti di lì a poco andassero in scena secondo gli intendimenti degli autori, dei costumisti, dei registi!
Imparentata con lei osai qualche volta far capolino, durante il Festival, da quelle porte aperte quando il custode era un poco più in là: Teresa aveva come tutte la testa china sul lavoro che stava svolgendo, col ditale argentato al dito, a volte col viso accaldato, a volte scorgevo una di loro in piedi china sul cavalletto da stiro orientare sul vestito di scena un sapiente, lieve gettito di vapore e con esso ridare vigore tale a quell’abito di scena da farlo brillare di vita propria lì in Sartoria e di lì a poche ore in Palcoscenico indossato da artisti dell’opera, da artisti di teatro, da attori provenienti da tanti Paesi.
Sono passati davvero tanti decenni, Teresa e le altre maestre, quelle mirabili donne che io sbirciavo quando mi affacciavo all’interno anche se era vietato, non ci sono più, restano quegli abiti bellissimi che, apprendo, ora in parte sono in “Frammenti di un percorso teatrale” a Palazzo Collicola, una Mostra curata da Piero Maccarinelli in questa Edizione 2021 del Festival dei Due Mondi di Spoleto e il cuore mi ha davvero fatto un balzo in petto quando, alla Conferenza Stampa d’apertura di questa Edizione ho ascoltato la mirabile Direttrice del Festival Monique Veaute dire che vorrebbe creare un Museo dell’Effimero e della Memoria a Spoleto.
Sarò tra le prime a visitarlo, ad amarlo.
E noi tutti nel visitarlo, non dribbleremo il guardiano, non ci affacceremo di soppiatto, non dovremmo sperare che un nostro fratello sposi una ragazza spoletina, avremo pieno accesso e, nell’accedervi penseremo a Teresa e a tutte le altre. E mi auguro che i loro nomi siano scritti e riportati tutti. Ma di questo mi rende certa l’appassionata dichiarazione di intenti di Monique Veaute.
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