Martedi, 07/07/2009 - Anche se le verdeggianti ondulazioni collinari sono state sostituite dagli spazi urbani, uno dei più bei festival teatrali dell’estate ha mantenuto la sua denominazione: Festival della colline torinesi. Nella sua quattordicesima edizione conclusa a fine giugno, la rassegna ha mantenuto il suo intento: l’esplorazione del teatro sperimentale italiano e straniero e dei nodi multimediali stretti intrecciati fra l’arte drammatica e le espressioni artistiche dei nostri giorni.
Una gabbia-specchio di Michelangelo Pistoletto, simbolo delle costrizioni di oggi e dei riverberi dell’attualità nel teatro, è il segno grafico di questa interessante e sempre sorprendente vetrine curata da Sergio Ariotti e Isabella Lagattolla, che in tredici edizioni ha sviluppato tutte le sue qualità e continua a offrire sorprese nel suo snodarsi in un’area metropolitana, più consona ai temi indicati nel suo titolo specifico: “Creazione contemporanea”.
Senza un filo conduttore che li lega, i temi degli spettacoli, italiani e stranieri, riflettono le inquietudini del nostro tempo: il terrorismo, l’eutanasia, la corruzione, la politica, il riscaldamento globale, lo spopolamento e il flusso dell’emigrazione che lo contrasta. I linguaggi, sempre connotati dall’originalità, per lo più sono quelli sorprendenti, stimolanti, inquietanti, provocatori della ricerca sperimentale. Il pubblico che ama questi incontri, specialmente quello dei giovani che ogni anno si dispongono in lunghe file davanti ai botteghini dei diversi teatri (Astra, Cavallerizza, Casa del Teatro ragazzi e giovani, Fonderie Limone), ha sempre condiviso in questa iniziativa l’osservazione della contemporaneità, non ha mai distolto lo sguardo dagli argomenti poco confortevoli e dal linguaggio dell’innovazione, cifra del festival. Anche in un momento spinoso di crisi come quello che attraversiamo ancora una volta gli spettatori affezionati alla rassegna annuale aderisce volentieri alla complessità di un teatro di approfondimento, divertente ma non di evasione, che contribuisce a rendere più acuta la percezione dello spettatore.
Il festival reca 16 compagnie, 61 recite, 20 spettacoli, molti di importanza primaria provenienti da Festival storici. Si è aperto con il linguaggio rivoluzionario dei Motus che nello spettacolo multimediale Racconti crudeli della giovinezza, ha imposto un affresco sconcertante e di impressionante efficacia della reazioni della gioventù del nostro tempo al deserto che li circonda. L’omaggio al gruppo romagnolo ha addotto anche Crac e Let the Sunshine_in. Nella cavalcata successiva, Roberta Bosetti e Renato Cuocolo, artefici di performance lievemente inquietanti in case private e nelle stanze di alberghi, fino al 26 invitano ancora una volta un singolo spettatore in un appartamento torinese per penetrare i segreti di storie inconfessabili (The persistence of dreams); la Societas Raffaello Sanzio manifesta l’inesprimibile con la danza; un testo di Antonio Tarantino, Stranieri, evoca con la “non scuola” del Teatro di Alba i fantasmi xenofobi; l’argentino Federico León ha tessuto con Yo en el futuro l’incontro di tre generazioni in una piccola meraviglia di spettacolo accolto con applausi commossi; il marsigliese Hubert Colas, una rivelazione, dal Festival di Avignone trasferirà a Torino Le livre d’or de Jan. Eccezionale poi l‘idea di Mauro Avogadro che nell’incanto stellato, questo sì collinare, del planetario di Pino Torinese, ha evocato le suggestioni della Vita di Galileo di Brecht. E tutta da scoprire, la locale Piccola Compagnia della Magnolia porge in questi giorni uno studio sulla voracità in HAMM-LET, lettura personalizzata con maliziosa genialità di una nota tragedia.
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