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Teatro del Lavoro

Teatro del Lavoro

Intervista a Georgina Castro Küstner - Uno spazio traboccante di stupende figurette in attesa di animarsi al primo tocco

Mirella Caveggia Lunedi, 21/09/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2009

Georgina Castro Küstner, direttrice gentile e vivace del Teatro Alegre, ha appena concluso il festival internazionale di teatro di figura “Immagini dell’interno”, che con marionette, burattini, ombre e diavolerie artigianali ha portato spensieratezza, divertimento e soffi di poesia in piazze, cortili, chiesette e teatrini di Pinerolo, nella provincia torinese. Dal 22 al 29 settembre sarà ancora lei con il suo compagno di vita e di arte Damiano Privitera ad assumere la direzione artistica della sezione “Piemonte dal vivo” al Festival Mondial des Théâtres del Marionnettes di Charleville-Mèsières, la più importante manifestazione internazionale di un genere teatrale delizioso e poco conosciuto.



Prima di questa vetrina tutta piemontese in Francia, il festival molto corposo di Pinerolo, come l’ha lasciata?

Sono molto soddisfatta. Ammetto di non aver visto tutti gli spettacoli in precedenza. Ma sono piovute belle sorprese, come “Ragazza seria conoscerebbe uomo solo max 70enne” di una ragazza di Torino, Carla Crucci, che si è rivelata fantastica nella sezione giovani. E anche belle conferme, come i lavori del gruppo argentino El Chonchon, forse il migliore.



Dopo alcuni spettacoli pregevoli, siete diventati impresari ...

La frequenza delle creazioni si è diradata, per gli impegni organizzativi e la realizzazione di un teatro tutto nostro. Due anni fa, inseguendo questo sogno, abbiamo puntato su un vecchio magazzino privato nel pieno centro di Pinerolo, a due passi da casa nostra. Finalmente abbiamo uno spazio per il nostro lavoro, tutto nuovo, in un cortile d’epoca: un teatro, un salone sovrastante e un miniappartamento di fianco per allestire gli uffici. Mentre per il Festival abbiamo il sostegno di enti pubblici e banche, in questa impresa abbiamo agito in autonomia totale, ci siamo buttati con un po’ di incoscienza, senza l’aiuto di nessuno, caricando tutto sulle nostre spalle, con un contributo regionale da restituire entro quattro anni.



Lo spazio, grazioso e accogliente, lo avete chiamato Teatro del Lavoro. Non è un nome un po’ severo per il genere?

Si è voluto precisare che questo mestiere da tutti creduto divertente richiede un impegno intenso, individuale e collettivo. Lo dimostra anche il loro laboratorio, gremito di stupende figurette realizzate a mano e in attesa di animarsi al primo tocco: un angolo magico dove tutti si cimentano, se lo vogliono, e si impadroniscono di qualche segreto del mestiere.



A quali compiti siete addetti, voi due insieme da un ventennio e genitori di tre belle figlie, dotate di talento artistico e musicale?

A me tocca il coordinamento, nei festival, dell’ospitalità di tanta gente. Noi siamo i soli ad invitare le compagnie durante tutto lo svolgimento. Gli artisti alloggiano tutti insieme in una foresteria, fanno belle tavolate, assistono agli spettacoli. Si crea una comunità allegra e compatta. Contribuiscono i volontari del servizio civile europeo che ci ha fornito cinque giovani: una coreana, una statunitense, un inglese e due turchi. Della cucina si è occupata la nostra amica marocchina Najat.

Qualche delusione?

Lo devo dire: le stanze lasciate alla cura dei volontari dopo le partenze erano in condizioni deplorevoli. Peccato. Ho due figlie nelle orchestre giovanili che girano il mondo e anche lì c’è la stessa incuria.



Questi artisti tendono a vestirsi in modo un po’ dimesso e sbrindellato.

È vero, forse perché spesso si deve montare, smontare, caricare, sedersi in terra.



Quando hai scelto questo lavoro? Lo rifaresti?

Me lo sono trovato per caso a Barcellona, dove ventenne ho lavorato due anni in una compagnia. Lì ho conosciuto Damiano, un pinerolese d’origine siciliana. Siamo rimasti insieme e dividiamo i compiti: a me spetta la scelta delle compagnie, i contatti, l’organizzazione, progetti. A lui competono la costruzioni delle scene, dei burattini, la regia degli spettacoli, la scrittura, la grafica, la scelta dei titoli, sempre immaginifici: Immagini dell’interno, La terra galleggiante, Il teatro del lavoro.



La crisi, la famosa crisi vi ha raggiunto?

Non abbiamo dovuto apportare modifiche sostanziali.



Dal teatro di figura si può trarre sostentamento?

Sì, ma non grandi ricchezze e non sempre abbastanza per vivere agiatamente o per comprarsi una casa.  In compenso questo lavoro porta allegria.



Che il teatro di figura sia un’arte e un lavoro che va diritto al cuore e lì si insedia, lo conferma anche Sandra, una ragazza di Bologna, folgorata da questi linguaggi durante i suoi studi all’Accademia delle Belle Arti. Con l’amica Stefania hanno costituito Nasinsù, un’impresa piccola ed efficiente animata da personaggi buffi ed espressivi, pieni di anima, che concentrano nei loro corpiciattoli strampalati gli stupori, le immaginazioni dei bambini ma anche le emozioni dei grandi che hanno conservato un cantuccio infantile.





(21 settembre 2009)

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