Venerdi, 28/07/2017 - Non è necessario lavorare su tutto. Anzi diventa dispersivo: abbiamo individuato con la sociologa Elena Monteleone in riunione il tavolo numero 5 "percorsi di fuoriuscita dalla violenza" perché riusciremmo a parlare sia di violenza domestica e di dinamiche relazionali relative al problema delle immigrate. Abbiamo pensato di partire da alcune domande e trovare possibili risposte collettivamente:
1. prima di parlare di fuoriuscita dalla violenza, capire come ci siamo entrate
2. perché permettiamo ad un'altra persona di limitare la nostra libertà di movimento?
3. dipende da: cultura, estrazione sociale, educazione familiare, vergogna?
4. Perché assistiamo al controllo non solo del compagno, ma anche madre che subisce il controllo del figlio, fratello su sorella?
5. il problema è del mondo occidentale e paesi in via di sviluppo allo stesso modo?
Possibile risposta alla domanda N° 1 del gruppo Carosino (Ta). Altri gruppi di “Non una di meno Taranto e provincia” potrebbero approcciarsi su altre domande e possibili risposte.
Come siamo entrate nel tunnel della violenza, della offerta gratuita di ogni diritto inalienabile della persona al proprio compagno, marito, fidanzato è cosa alquanto difficile da spiegare, considerando le tante testimonianze di chi ne è intrappolato.
Intanto la possessione che limita la libertà dell’individuo, viene scambiata per amore folle, per totale trasporto del compagno verso la donna, che ne rimane fortemente lusingata, sentendosi al centro del mondo. Ma non è il centro del mondo, è aderire mortificandosi, al mondo dell’altro. Appena si fa un passo fuori da lì è la tragedia, la donna madonna diventa battona, poco di buono, inadeguata, piena di mille pretese; bisogna rispondere alle esigenze e direttive del compagno se si vuole essere degne del suo amore. E qui scatta la vita vischiosa di chi non riesce ad uscire da un mondo di lusinghe e privazioni. Come facenti parte del gruppo “Non una di meno” ci troviamo di frequente ad ascoltare situazioni in cui le vittime inizialmente animate da una forte motivazione, accolgono l’aiuto legale o psicologico, dopodiché, improvvisamente, fanno un passo indietro per ritornare tra le braccia di chi le ha diffamate, calunniate, maltrattate. Questo perché l’uomo maltrattante usa la strategia del perdono, delle lacrime inconsolabili, per far tornare la donna a casa. L'uomo manifesta pentimento per il gesto e mette in atto comportamenti riparatori. Un ciclo si è così concluso ma un altro sta per iniziare. Ricomincia a poco a poco dopo una apparente luna di miele, a covare risentimento, gelosia, possessione per la propria donna fino ad esplodere di nuovo. E poi ancora pentimento. E poi l’ennesimo perdono della vittima. La violazione ripetuta e protratta delle regole del vivere dignitosamente all’interno della relazione conduce al maltrattamento. Se da una parte c’è un individuo che viola le regole (il maltrattante) dall’altra parte c'è una persona che dovrebbe esigere il rispetto di tali regole (la donna maltrattata). Questo va fatto, e se non si riesce da soli va affrontato un percorso con un esperto sulle relazioni di coppia, o un percorso individuale, se l’abusante non ha alcuna intenzione di intraprenderlo. Quando una donna riceve per la prima volta uno schiaffo e non vi si oppone o non da’ a tale gesto l'importanza che merita, è come se autorizzasse l'uomo a farlo nuovamente. E infatti questo avviene. Quando ci si trova in una situazione dolorosa da cui si tenta di fuggire ma non c’è corrispondenza tra gli sforzi compiuti e i risultati ottenuti, è probabile che si sviluppi un senso d’impotenza, caratterizzato da apatia, perdita della speranza, incapacità di reagire. Questo modello permette di dimostrare che la sfiducia al cambiamento può essere conseguenza della violenza, e spiega quindi il perché la donna non riesca a sottrarsi al maltrattante.
Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna i principali ostacoli che possono rendere difficoltosa l’interruzione della relazione con l’abusante/maltrattante sono ascrivibili a 3 categorie:
1. Il comportamento del maltrattante che può minacciare di uccidere la vittima e/o i figli qualora lo lasciasse o di commettere suicidio, o diffamare pubblicamente la vittima, anche con fantasmi che sono nella sua testa.
2. Ostacoli socioeconomici come ad esempio non avere accesso al denaro, non avere un impiego.
3. Il forte senso di fedeltà e dedizione, la percezione di essere responsabile dei problemi all’interno della coppia e il dubitare di poter essere autosufficiente o di poter avere un’altra relazione.
L’intervento psicologico è importante in questo caso dato che avrebbe l’obiettivo di aumentare i livelli di consapevolezza della donna, sostenerla nella richiesta di aiuto, incrementare la propria autostima.
Occorre consapevolezza di sé e non rinunciare alla propria libertà. Molte donne non immaginano che ci si possa ritrovare senza, pur essendo state cresciute con questo inalienabile valore in famiglia. E questo leso diritto non fa sconti per nessun ceto sociale. Nessuno.
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