Martedi, 16/01/2018 - Articolo di Giovanna Badalassi pubblicato in www.ladynomics.it
Giusto per rimanere sul pezzo, e dire la nostra sull’argomento del giorno, ammettiamolo subito: la prima reazione di fronte a questa proposta è stato: ma non c’era niente di più importante di cui parlare in una delle più confuse e cialtrone campagne elettorali della nostra storia?
Anche escludendo i temi femministi a noi più cari una penserebbe, chessò, in ordine sparso, a: il nostro drammatico debito pubblico, la corruzione dilagante nel nostro paese, la burocrazia che impiomba qualsiasi tentativo di crescita, la mafia (esiste ancora eh), lo ius soli, il lavoro per i giovani, le scuole fatiscenti, il disastro sociale ed economico del mezzogiorno, il rancore degli italiani (vedi l’ultimo rapporto Censis) l’invecchiamento galoppante della popolazione, la prossima fine delle pensioni, lo smottamento della sanità e del welfare, le infrastrutture che si sbriciolano…..robette così.
E invece no.
Le tasse universitarie.
Lo so, qui a Ladynomics siamo dei cuori di pietra. L’argomento non ci ha commosso. Niente lacrime. Neanche un fremito di palpebra. Uno sniff. Niente. Vabbè. Colpa nostra che non siamo sensibili e non capiamo. Però, intanto, che si fa?
Tasse si o tasse no?
Una rapida ricerca sul web ci porta a questo ottimo contributo del Keynes Blog che vi consigliamo caldamente di leggere, se vi va di approfondire l’argomento secondo il (pare) superato principio di realtà, del quale noi siamo invece ancora fan accanite:
In sintesi: né si né no. Bisognerebbe comunque farlo bene, con numeri e simulazioni alla mano, evitando che la soppressione della tassa non si traduca in aumento della fiscalità generale e in un indebito e ulteriore arricchimento degli studenti più ricchi.
Ah. Qualsiasi forma di riduzione di queste tasse costerebbe sempre un botto. Amen.
E comunque, essendo Ladynomics, e dovendo pur sempre fare il nostro sporco lavoro di femministe tignose, vale la pena scorrere la sintesi per l’Italia di “Education at Glance 2017” dell’OECD (2017), la più importante ricerca mondiale sull’Istruzione, pubblicata lo scorso settembre, che trovate qui: e della quale vi riportiamo paro-paro quello che si dice dell’Università italiana e delle donne e degli uomini che la frequentano (così lo dice l’OECD, fonte non sospetta..)
“I campi di studio preferiti in Italia sono le belle arti e le discipline umanistiche, le scienze sociali, il giornalismo e l’informazione con la quota più importante tra i Paesi dell’OCSE (30%) di adulti che hanno conseguito la laurea come titolo di studio più alto (25-64enni) e le discipline, note come STEM1, nel campo della scienza, tecnologia, ingegneria e della matematica (24%) appena inferiori alla media OCSE.
Alla stregua di tutti i Paesi dell’OCSE, gli uomini rappresentano la grande maggioranza dei laureati di primo e secondo livello nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (79% di primo livello e 86% di secondo) e in ingegneria, produzione industriale e edilizia (69% e 73%). Le donne sono sovrarappresentate nel settore dell’istruzione, delle belle arti e delle discipline umanistiche, nelle scienze sociali, nel giornalismo e nell’informazione; nonché nel settore della sanità e dei servizi sociali, sia nel primo che nel secondo livello di laurea, e anche in scienze naturali, matematica e statistica a livello magistrale, rappresentando più del 60% dei laureati in questi campi. L’Italia registra il divario di genere più pronunciato tra i Paesi dell’OCSE a riguardo delle lauree nel settore educativo: le donne rappresentano il 94% dei titolari di una laurea di primo livello e il 91% di una laurea di secondo livello.
I tassi di occupazione degli adulti laureati in Italia variano dal 71% per gli adulti che hanno studiato nel campo delle belle arti all’84% per i laureati nel campo delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni e all’85% per i laureati in ingegneria, produzione industriale e edilizia, e nel campo della sanità e dei servizi sociali. I tassi di occupazione sono più elevati nei settori in cui la maggior parte degli studenti è di sesso maschile, salvo nel settore della sanità e dei servizi sociali.
Gli studenti che si laureano per la prima volta hanno generalmente meno di 30 anni di età (88%) e si laureano in media all’età di 25 anni. In Italia il 59% degli studenti che conseguono una prima laurea è di sesso femminile, registrando una percentuale simile alla media dell’OCSE del 57%.
In Italia, l’80% dei 25-64enni con un’istruzione terziaria ha un lavoro, ma il tasso di occupazione è molto più basso tra i giovani adulti (64%). L’Italia è uno dei pochi Paesi in cui le prospettive di lavoro per i 25-34enni con un livello di studi terziario sono inferiori rispetto ai diplomati dei percorsi di studio professionali della scuola secondaria superiore
I Paesi dell’OCSE e i Paesi partner tendono a registrare una relazione inversa tra la quota della popolazione che ha raggiunto un livello d’istruzione terziario e il vantaggio retributivo per gli adulti laureati. Tuttavia, in Italia questa relazione ha un comportamento anomalo, registrando sia un tasso di conseguimento di titoli di studio a livello terziario relativamente basso, sia retribuzioni relativamente basse per le persone che hanno un livello d’istruzione terziario. Le retribuzioni annuali degli adulti laureati sono superiori del 41% rispetto agli adulti che hanno completato la scuola secondaria superiore mentre le donne con una qualifica terziaria guadagnano in media l’equivalente del 72% delle retribuzioni degli uomini, 2 punti in meno rispetto alla media OCSE.
In Italia, per gli uomini, gli incentivi destinati a incoraggiare il conseguimento di un titolo di studio terziario sono relativamente bassi. Il costo contenuto del conseguimento di un titolo di istruzione terziaria, inferiore del 27% rispetto alla media OCSE è altresì associato a benefici relativamente bassi (inferiori del 22% rispetto alla media OCSE), traducendosi in ritorni finanziari netti relativamente contenuti (circa 200 000 dollari statunitensi, ossia il 79% della media OCSE). Entrambi i costi e i benefici sono ancora più bassi per le donne, traducendosi in ritorni finanziari netti di 108 000 dollari statunitensi (equivalenti al 65% della media OCSE e al 54% della cifra suindicata per gli uomini).
E per oggi è tutto. Vediamo quale sarà la prossima proposta elettorale hard che ci toccherà commentare.
Intanto, prepariamoci che qui bisogna tenersi forte eh…
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