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Tabù e i principi non negoziabili

Tabù e i principi non negoziabili

Chiesa e sesso - 'Oggi Benedetto XVI ha ripreso la tradizionale contrapposizione della Chiesa fra natura e contronatura...'

Stefania Friggeri Sabato, 15/01/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2011

Se l’ignoranza degli italiani regna sovrana sul Vangelo, non sorprende che sulla storia della chiesa conoscano poco più del caso clamoroso di Alessandro VI (un contemporaneo definì il suo pontificato intriso di “sangue e di sperma”). Ma dalla lettura di I papi e il sesso di Eric Frattini, si apprende che “la mostruosa lussuria” praticata in Vaticano dai Borgia non era straordinaria. Infatti, una volta salito al soglio, spesso attraverso il nepotismo e/o la corruzione, il papa poteva concedersi, come ogni monarca assoluto, qualsiasi lusso e licenza. Col tempo insomma Roma andò molto lontano dal rigorismo della Chiesa primitiva i cui seguaci erano così radicali da praticare persino l’autocastrazione. Fino al III secolo tuttavia solo i monaci erano obbligati alla castità e gli abitanti dei villaggi accoglievano malvolentieri i preti non sposati perché temevano che avrebbero avvicinato le loro donne. Se rileggiamo infatti la storia della Chiesa con gli occhi del XXI secolo si rimane sbalorditi: il Concilio di Ankara (314) condannò espressamente la zoofilia che, essendo diffusa nelle zone più isolate dell’impero, fino ad allora non era stata considerata peccato; al Collegio di Tours (567) furono presi seri provvedimenti contro l’omosessualità (si dorme in celle singole), contro la zoofilia (non si tengono animali nei conventi), contro l’inanellamento del pene (per evitare l’erezione); il Concilio di Toledo (694) riconobbe la sodomia come una pratica molto diffusa e pertanto Sergio I (687-701) stabilì pene severissime per chi praticava il “terribile peccato” che “fa discendere sulla terra la fame, la peste, il terremoto e un’infinità di mali che nessun essere umano potrebbe descrivere”; il Concilio di Reims (1049) decretò quali pene infliggere a chi si masturbava, a chi ingoiava lo sperma, a chi beveva sangue mestruale, a chi impastava il pane sul sedere nudo di una bambina (sic). L’estensione di una minuziosa casistica per guidare il confessore, ancora presente oggi, risale infatti ai tempi antichi: Gregorio I (590-604) scrisse diversi libri in cui argomentava in modo circostanziato sul sesso, chiedendosi, ad esempio, se l’eiaculazione spontanea fosse peccato, come la masturbazione, e se era più grave eiaculare durante il sonno o dopo un pasto abbondante; sempre Gregorio I riteneva che l’incesto, se il maschio eiaculava in vagina, fosse meno grave di un coitus interruptus e, analogamente, giudicava più grave sodomizzare una donna che una bambina, ancora incapace di concepire. Ovvero: da sempre il sommo magistero, nel binomio sesso- riproduzione, ancora oggi ribadito e confermato, vede l’unica salvezza dal peccato carnale (anche se oggi comincia a traballare di fronte ai milioni di morti di Aids e alle proteste degli omosessuali). Roma insomma emanava gli editti ma accadeva che chierici, sacerdoti, gli stessi monaci avessero mogli e amanti (Papa Ormisda,514-523, aveva approvato anche pubbliche relazioni con le schiave) o praticavano l’incesto (Gregorio V, 996-999, vietò ai religiosi di convivere con donne, comprese le madri, le sorelle e le zie). Invero le donne avevano accesso al Vaticano e alcune di esse, belle ma soprattutto dotate di eccezionale intelligenza , ebbero un enorme ascendente, fra le quali Marozia. Che, figlia -pare- di Sergio III (904-11), fu “amante, madre, zia, nonna, bisnonna e trisavola di Papi” e che, insieme a sua madre, è stata protagonista del “governo delle cortigiane”. Ma poi il Concilio di Girona (1068) decretò che “chi ha moglie o una concubina cesserà di essere prete, perderà ogni beneficio ecclesiastico” e Urbano II (1088-1099) ordinò ai preti di vendere le mogli come schiave. Ma permise loro di tenersi una concubina dietro pagamento di un tributo poiché era abitudine dei Papi, per rimpolpare le casse vaticane sempre esangui, indicare nel pagamento in denaro una forma di penitenza per ottenere l’assoluzione; anzi alle prostitute fu richiesta ripetutamente la “tassa del piacere” e Giulio II nel 1510 fece aprire anche dei postriboli maschili. Ad un altro Papa del Rinascimento, a Leone X, è attribuita la Taxa camarae (1517) in cui sono elencate le tariffe delle indulgenze i cui proventi dovevano rimpinguare la tesoreria papale. L’art. 2 tratta la zoofilia, aggiungendo: “Se l’ecclesiastico…avesse commesso peccato contro natura soltanto con bambini o bestie…pagherà solo131 libbre”. Nel 1536 viene presentato al Papa il “Consilum de emendanda ecclesia” ma ormai è troppo tardi: gli eccessi del papato, la corruzione del clero, la vendita delle indulgenze hanno portato Lutero alla Riforma Protestante. Che, pur suscitando dei cambiamenti dentro la Chiesa cattolica, non può certo liberarla dalla mentalità sessuofobica che condivide, e dunque proseguono le condanne contro i peccatori “carnali”, in forme di crudele sadismo se donne. Ad esempio venivano fustigate fino a quando non spicciava il sangue e infatti un religioso scrisse a Pio VI (1775-79): “Sono convinto che queste punizioni non sono inflitte per penitenza ma per semplice spudorato piacere”. Concludendo: come conciliare i precetti della Chiesa con l’evidente influenza che il contesto storico e sociale, l’ambiente e la sua cultura hanno avuto, e hanno, sul modo di sentire e di pensare del clero? Oggi Benedetto XVI ha ripreso la tradizionale contrapposizione della Chiesa fra natura e contronatura giungendo alla formulazione di diritti “non negoziabili” perché ad essi, iscritti nella natura, tutti gli uomini dotati di ragione devono inchinarsi. Ma se il Papa ritiene di essere il legittimo depositario del concetto di natura, chi non condivide la sua posizione sugli omosessuali, la contraccezione, il fine vita ecc. è contronatura?



(17 gennaio 2011)

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