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Suoni d’Irlanda

Suoni d’Irlanda

Cultura/ Poesia - “Otto voci femminili che si levano dal buio di una tradizione silenziosa”. “Donne dal passato muto e trasparente, sirene dalla lingua tagliata e dal corpo trasformato in nuvola”

Benassi Luca Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2005

Dopo lungo silenzio – poesia irlandese contemporanea a cura di Giovanna Iorio, edito dall’editore Mobydick (Faenza, 1997), è uno di quei rari libri che accomunano una scelta di testi dall’alto valore poetico ad un intento documentario rigoroso che getta luce su una letteratura, in questo caso quella irlandese femminile contemporanea, poco frequentata dalle nostre parti. La poesia dell’Irlanda coloniale e immediatamente successiva è prevalentemente maschile; la donna è vista nel ruolo di musa, oggetto e risorsa della fantasia maschile, e allo stesso tempo stretta dalle regole sociali, economiche e domestiche dettate dai padroni, la Chiesa e l’Inghilterra prima e il nazionalismo politico e culturale poi. A questo quadro, delineato da James Joyce all’inizio del secolo scorso, si contrappone un ultimo trentennio dove la donna è impegnata in una profonda transizione: da oggetto di letteratura maschile a soggetto e interprete di letteratura femminile. È questo un percorso complesso, una ricerca del senso nelle radici della mitologia, della storia nazionale e del vivere quotidiano. La poesia delle donne irlandesi è sospesa fra due tradizioni linguistiche, quella inglese e gaelica, sovrapposte e mai completamente fuse; essa diventa “ascolto di antichi suoni, recupero delle voci delle madri, e esplorazione di nuovi, inaccessibili territori” (Giovanna Iorio). È un gesto poetico che è ricerca della voce, della propria voce mutilata e zittita dalla storia e dalla tradizione, e che diventa punto di partenza dell’esperienza di queste poetesse. Non è un caso che il premio nobel Seamus Heaney abbia individuato proprio nella voce uno degli elementi centrali della poesia irlandese contemporanea.
“Uno degli obiettivi di questa antologia” scrive la curatrice “è mostrare come la poesia di un numero sempre crescente di donne, modificando forme e contenuti di un genere tradizionalmente maschile, schiuda le porte di una nuova epoca”. Delle otto poetesse antologizzate sono stati qui riportati i testi di quattro. Nuala Nì Dhomhnaill appartiene al gruppo di poetesse che ha iniziato a pubblicare negli anni ’60 e ’70: legate ad un immaginario rurale e alle antiche tradizioni, queste voci descrivono il quotidiano e il mondo interiore femminile che buca il silenzio di esistenze secolari vissute nell’ombra. Moya Cannon, Paula Meehan e Rita Ann Higgins appartengono alla generazione successiva. Gli anni ’80 e ’90 sono quelli della ripresa economica; l’Irlanda rurale ed economicamente indipendente si trasforma. Fa il suo ingresso nella poesia una nuova immagine di città, con le sue contraddizioni, le sue vittime, altre forme di emarginazione.
I testi sono riprodotti nella traduzione di Giovanna Iorio, senza il testo originale a fronte.


OSSO
Nuala Nì Dhomhnaill

Un tempo fui
un osso
nella pianura
tra gli altri scheletri.
In un deserto remoto
tra rocce e ciottoli.
Ero nuda, ero bianca.

Il vento venne,
un soffio d’aria
spinse l’anima
dentro di me.
Fui fatta donna,
forgiata da una
costola d’Adamo.

La tempesta venne,
soffiò con forza
sentii la tua voce
un richiamo nel tuono.
Fui fatta Eva
madre della razza.
Vendetti la mia primogenitura
per il bene dei miei figli.
Barattai una mela
per il più antico dei desideri.

Sono un osso
ancora.



ASCOLTANDO L’ARGILLA
Per Catriona
Moya Cannon

Ci sono suoni
ai quali poter
credere;

il vento forte tra gli alberi
il ticchettio dei sassi là dove la marea si ritrae
il pianto di un bambino nella notte.

Nessuno mai ha deriso questi suoni,
nessuno mai ha provato a comprenderli.
Troppo comuni per essere comprati o venduti,
sono qui da prima della parola,
e per legge non hanno senso.

Ripetuti all’infinito,
immutabili,
sono suoni senza storia.
Confortano e disturbano
la parte argillosa del cuore.



LA BAMBINA FERITA
Paula Meehan

Da qualche parte nella ragazza che una volta eri
si nasconde la bambina ferita. Trovala.
Devi trovarla.

È sola. Terrorizzata. Avvinghiata
ad una presa fetale in un luogo angusto,
singhiozza fuori il cuore. Il mondo

è un uomo con grandi mani
e denti affilati. Il mondo
è una tonnellata di mattoni, sabbia

nella sua bocca, un enorme peso
sul petto. Non ha fiato
per parlare di lui. Il suo destino

è una pagina bianca, silenziosa, muta.
Te la ricordi? Ricorda
il suo frantumarsi. Dille la verità.



LEGGERE
Rita Ann Higgins

Ad un gruppo di detenuti
in una stanza chiusa a chiave
con una gabbia dietro
e dentro un secondino
sdraiato su due sedie.

Quando si spazientiva
o gli veniva un languorino
camminava su e giù come un pavone
nelle sue scarpe nuove
(erano sempre nuove
perché quasi mai toccavano il pavimento).

“Un secondino stravaccato ascolta poesia
in posizione orizzontale”.

Un volontario
mi preparò del tè
mi offrì biscotti
al cioccolato.

Io leggevo,
loro ascoltavano
quello nella gabbia sbadigliava
uno sbadiglio indifferente alla poesia
(riconosco uno sbadiglio indifferente alla poesia
lontano un miglio: li traduco).

Ne lessi delle altre,
una raffica di domande,
alcuni commenti,
risate fragorose fuggirono
mille volte ancora.

La loro fame di conoscenza
andava furiosa tra i versi delle poesie,
dietro le vocali accentate,
dentro e fuori gli uncinati punti interrogativi,
sotto asterischi annoiati;
volevano sapere
volevano sapere.

I secondi galoppavano su di noi
I minuti rimbalzavano
due ore di spari,
fummo tutti feriti.

Il tintinnio delle chiavi
mi rese libera di andare
strette di mano, sorrisi
molte cose rimaste non dette,

la distanza tra di noi
alcune poesie, più brevi.

Temevo l’uomo nella gabbia.


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