Sulla ricerca della specificità femminile nella scrittura si discute molto. La Critica continua a essere divisa tra i detentori degli studi di genere e i detrattori...
Lunedi, 04/02/2013 - Sulla ricerca della specificità femminile nella scrittura si discute molto. La Critica continua a essere divisa tra i detentori degli studi di genere e i detrattori, che ritengono la questione della matrice letteraria sessuata, assolutamente inopportuna. Comunque la si voglia intendere, accade che, sia in un caso sia nell’altro, quando a essere messo sotto esame è il libro di una donna, la faccenda della “femminilità” riaffiora, fino a essere rimarcata con valenze arricchenti o sminuenti, a seconda delle occasioni. Personalmente, credo, come ho ribadito nel saggio “Le ragazze della scrittura”, che la qualità di qualsiasi creazione artistica vada indagata a prescindere dalla sua entità cromosomica. Contemporaneamente, non sottovaluto il lavoro di tutte quelle studiose che, da anni, si interrogano sulla “femminilità” dei testi. Anzi, mi domando da dove scaturisca l’esigenza di argomentare una specificità femminile nella scrittura, considerato che non si è mai dibattuta un’ equivalenza al maschile.
La recherche delle peculiarità diviene materia, nel momento in cui anche le donne entrano nell’Olimpo delle Lettere, scombinando da un lato l’assetto della regnante, unica e indiscussa tradizione virile, dall’altro imponendo l’avvento del “temibile” termine di paragone. Le scrittrici sollevano il problema, non foss’altro per il fatto che sentono nella contingenza, imminente l’urgenza di affrancarsi dai modelli maschili, per tentare una via a esse più consona. In questa misura, il perché del perché di una specificità femminile, si intuisce in modo limpido e si può, a ragione, interpretare al pari di uno slancio di libertà, testimoniato dal perenne, trasmutante racconto affidato alla parola: la parola delle donne, che è altra rispetto a quella degli uomini, poiché l’esperienza su cui si fonda è differente. Proprio l’esperienza, dunque, mi pare sia lo spartiacque ideale per setacciare il concetto (vasto) di una specificità letteraria, femminile come maschile. Il corpo, l’esperienza del corpo -individuale e collettivo, simbolico e reale- per quanto ridondante possa risultare, rappresenta una prerogativa, la prima, dello scrivere donna e accompagna innegabilmente le nostre autrici, non come uno scudo dietro il quale nascondersi, ma come uno specchio dentro cui vive e si rinnova il bisogno di ri-conoscersi e dir-si. Oserei dire di più: che il corpo (con tutto l’immaginario che calamita), sia la chiave universale e meglio esplicativa della natura della scrittura femminile, capillarmente centripeta.
Sì, anche gli scrittori danno conto del corpo. Ma lo fanno –come è ovvio- diversamente, perché diverse sono le ragioni storiche, antropologiche, sociali, intrinseche che li attraggono a questo “argomento”.
Se l’esperienza -maschile-femminile- (con tutte le sue implicazioni) può suggerire un legittimo punto di partenza con cui visitare le opere sui generis, possiamo persuaderci che il secondo tassello, indispensabile in una analisi delle specificità, è quello che chiama in causa le leggi estetiche. Le stesse leggi estetiche, poggiate sulla tensione conoscitiva dell’infinitudine e sostanziate dall’espressione vibrante delle percezioni, orgogliosamente difese e ardentemente spronate dalla nostra Sibilla Aleramo, al principio del Secolo scorso, affinché le giovani Muse si incamminassero verso il sentiero di una letteratura di Madri e non oltre di Padri.
Lo sguardo sul mondo, la resa di quello, “specifico”, sguardo: potremmo epilogare con questa immagine plurivalente la voce delle donne, che spazia e si declina negli innumerevoli luoghi di cui ci rende ospiti. Il rimosso della maternità; il ritorno alle origini, sulla traccia di antiche genitrici; l’appello all’oralità, che nelle narrazioni femminili è pure risorsa capitale, elemento precipuo; i mille e uno “pozzi neri” (non solo di ginzburgiana memoria), le mille e “una stanza tutta per sé” (non solo di woolfiana memoria); e, ancora, la cronaca delle “Odissee” viaggiate dalle protagoniste di tanti romanzi… Sono queste alcune delle geografie, spesso inesplorate, appena sfiorate, talvolta inaccessibili (agli uomini), che ci svelano l’altra metà in ombra, di questo nostro straordinario volto umano e terreno. Forse non l’ultimo tassello, che rende merito a una letteratura tanto densa e autentica, quanto ancora troppo poco valorizzata.
Lucia Ravera
(L'ARTICOLO è STATO PUBBLICATO SULLA RIVISTA ATELIER, N° 68, DA CUI è STATO TRATTO.)
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