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Sul burkini e dintorni, un'opinione

Sul burkini e dintorni, un'opinione

Se ammettiamo l’esistenza di un ordine maschile sul mondo, difficilmente la scelta delle donne può definirsi 'libera'...

Martedi, 30/08/2016 -
Una premessa è d’obbligo. C’è chi sostiene che data la gravità della situazione in Siria, con la sua Aleppo denominata la nuova Sarajevo e i suoi bambini nativi di guerra, sporchi di polvere e sangue, parlare del burkini sia superfluo, addirittura sciocco, oltre che decisamente da insensibili. Siccome, invece, mi reputo una persona sensibile, decido di trattare l’argomento pubblicamente. Infatti, è quantomeno da 'Le tre ghinee' di Virginia Woolf che sappiamo che il tema della condizione femminile non può prescindere dallo stesso ordine patriarcale che le guerre le procura, siano esse guerre a tutto campo o guerre contro la metà dell’umanità.



Fatta la premessa del caso, che mi autorizza a spendere parole su una questione per alcuni tanto frivola senza sentirmi un mostro, vorrei subito entrare nel merito del tema “burkini”.

Se ammettiamo l’esistenza di un ordine maschile sul mondo, dobbiamo anche accettare l’idea che la gran parte delle scelte che una donna compie avvengano tra una rosa di opzioni date coerenti con l’ideologia dominante. Non fanno eccezioni quelle di indossare un ingombrante burkini o uno striminzito bikini. Difficile, quindi, parlare di libertà di scelta perché è quasi sempre relativa e quindi impropriamente libera. Chiamiamola piuttosto emancipazione negativa, come già faceva Simone de Beauvoir, o similfemminismo, come Lidia Menapace, o cooptazione di quote di donne da parte del sistema androcentrico in cambio di brandelli di potere, come si legge in un recente documento dell’UDI. Che potere dà quello di indossare un burkini? E che potere dà quello di indossare un bikini? Il medesimo, quello di stare in spiaggia potendo, voce del verbo potere …, sentirsi approvate socialmente. Bourdieu spiega questo meccanismo egregiamente ne Il dominio maschile quando afferma che, per partecipare del potere del gruppo dei dominanti, le donne devono necessariamente condividerne il “discorso” tramutando le proprie azioni in atti di “riconoscenza”, piuttosto che di “conoscenza”, nei confronti dell’ideologia imperante. E’ quanto avviene nel caso del fenomeno del velinismo, della prostituzione non coatta, della gestazione per altri, e di tutte quelle circostanze che porterebbero a difendere, in nome dei diritti, la libertà di scelta delle donne, se non fosse che di libertà presunta si tratta. Il grado di difficoltà nell’affrontare argomenti simili ce lo dà Caterina Soffici quando nel suo Ma le donne no si domanda: “Come chiamarla subordinazione se è scelta, perseguita e perfino desiderata dalle donne?” (pag.12).



Ma perché quello che fanno le “altre” dovrebbe interessarmi? Perché mi sento minacciata in prima persona? Perché più sono le donne che aderiscono al patriarcato e più sarà difficile per chi abita il margine, quello descritto da bell hooks, trovare il proprio spazio di movimento.



Detto questo, il burkini mi fa orrore: non in quanto tale, ma in quanto opzione data. Se non fosse un’opzione data, dubito fortemente che le donne lo indosserebbero con 40 gradi sotto al sole o addirittura in acqua, ma questo è un altro discorso. A onor del vero, mi trovo impacciata a indossare anche un bikini e voler allo stesso tempo giocare con le mie figlie sulla sabbia, o giocare a beach volley, o leggere comodamente il giornale sulla sdraio senza che si veda tutto. Non dico che il bikini mi fa orrore forse solo perché rientra nei miei parametri culturali: semplicemente ci sono più abituata. Allora, diciamoci che tanto il burkini quanto il bikini sono opzioni date alle quali le donne faticano, e a ragione, a sottrarsi pena una sanzione. Così come faticano a sottrarsi al trucco, ai tacchi, al push up e, in generale, al vestirsi in un certo modo a seconda delle situazioni.



Va bene, anche ammettendo che quello che io abbia scritto sia condivisibile, che fare? Aboliamo il tacco 12, il bikini e il tanto temuto burkini? Rispondo con un argomento di Luisa Muraro che dice ne L’anima del corpo “Il punto non è d’impedire agli esseri umani di fare cose […] stupide o sbagliate. Il punto è di non accettarlo, di pensare a quello che facciamo, pensarci anche prima e non giustificare il malfatto né farci l’abitudine. […] Qui non si tratta di proibire, si tratta di non sbagliare. […] Ci sono possibilità [sempre voce del verbo potere] che non bisogna cogliere” (pag.19). Lo scrive a proposito del dibattito sulla surrogata. Non è un caso che venga buono anche per il dibattito sul burkini. Che quello che dice sia un invito a boicottare il discorso dominante per produrne uno nuovo, creativo, valido per sé, a misura di ogni singola donna e della sua particolare e libera libertà? Io credo di sì.



Serena Ballista, formatrice esperta in studi di genere, scrittrice e presidente UDI Modena



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