Mondo/ Argentina e Brasile - La vittoria di Nestor Kirchner e Cristina Fernàndez in Argentina. In Brasile, invece, il referendum voluto da Lula è risultato negativo
Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2005
Domenica 23 ottobre si sono svolte due importanti prove elettorali in Argentina e Brasile. Nello stato con capitale Buenos Aires sono stati eletti 24 senatori su 72 (1/3) e 128 deputati su 257, la metà, mentre nello stato carioca si è svolto un referendum sul commercio delle armi.
Entrambe le prove rappresentavano un test importante per i due presidenti progressisti in carica Nestor Kirchner e Luiz Inacio Lula da Silva ed entrambe le consultazioni elettorali hanno confermato il trend dell’ultimo anno.
In Argentina continua l’ascesa di Kirchner, divenuto presidente un po’ per caso, per mancanza di una classe politica. Quella che c’era è stata travolta dalla crisi economico-finanziaria culminata nel 2001. Kirchner ha saputo risollevare l’Argentina affossata da Carlos Menem e dall’applicazione alla lettera delle politiche “neoliberali” del Fondo Monetario Internazionale. Proveniente dal settore di sinistra di quel variegato mondo erede del peronismo, Kirchner ha fatto ritrovare ai suoi concittadini la fiducia nella politica, ha riattivato il settore produttivo e si è opposto con fermezza all’ingordigia delle multinazionali e ai capitali finanziari presenti nel Paese. Il 23 ottobre ha raggiunto una grande vittoria, ottenuta con il sostegno di due donne forti, la sorella Alicia e la moglie Cristina Fernàndez, entrambe leader importanti e candidate vincenti del nuovo raggruppamento kirchneriano “Frente para la Victoria”; il Frente ha, ora, tra il 40 e il 45% dei seggi del parlamento, con possibilità di allearsi sui singoli provvedimenti legislativi con gli altri gruppi di centro e di sinistra presenti nelle due camere; l’attuale presidente ha sconfitto l’ala conservatrice del partito Justicialista di Duhalde e ha ridotto ai minimi termini la rappresentanza legata a Carlos Menem.
Nella recente tornata elettorale si è rafforzato il ruolo di Cristina Fernàndez che ha stravinto nella provincia di Buenos Aires, la più popolosa della nazione, arrivando a raccogliere quasi la metà dei voti e distanziando di 26 punti percentuali la sua avversaria peronista-conservatrice Chiche Duhalde (anche lei moglie di un ex presidente e leader del partito Justicialista Eduardo Duhalde). Nel caso in cui Kirchner non dovesse ricandidarsi sarebbe lei la leader naturale di questo nuovo blocco progressista. Si tratta di una conferma della politica di freno alla globalizzazione finanziaria, di recupero della dignità nazionale e della forza dei gruppi produttivi e dei lavoratori, di una possibilità di tessitura di alleanze con gli altri paesi dell’area. Una buona prospettiva in vista della prossima battaglia presidenziale, per la quale le forze di destra stanno riaffilando le armi e hanno già trovato nell’impresario Macri, presidente della più importante squadra di calcio argentina, il mitico Boca Juniors di Maradona, il candidato dal volto nuovo e presentabile, già definito il Berlusconi della pampa. Macri, arricchitosi ai tempi delle privatizzazioni degli anni di Menem, si presenta come l’antipolitico che scende in campo per ridare fiducia alla classe media e alla gente comune ma Kirchner ha rafforzato il suo blocco e la storia degli ultimi anni dell’Argentina sembra aver insegnato molto alla gente sugli abbagli dell’arricchimento spianato dall’economia costruita sulla finanza spregiudicata.
In Brasile, invece, il risultato del referendum per decidere se il commercio delle armi dovesse essere proibito o no nel paese non ha aiutato Lula ad uscire dai problemi degli ultimi mesi. Hanno vinto i No all’abolizione del commercio con il netto vantaggio del 64% contro il 35%. E’ vero che molti cittadini hanno disertato le urne (quasi il 21%), ma è da sottolineare che i vincitori hanno ribaltato sondaggi di mesi favorevoli al Sì ed hanno convinto i cittadini, nonostante il calo del 15,4% del numero di morti da armi da fuoco dopo l’avvio della campagna contro la vendita, voluta dallo stesso presidente. Siamo così di fronte a un’altra battuta d’arresto dell’ex operaio Lula, su un provvedimento che tendeva a un superamento delle più antiche paure sulla sicurezza e sulla fiducia reciproca in una nazione dalle sproporzionate differenze sociali e con un altissimo numero di poveri. La riduzione della circolazione “facile” delle armi, insieme al programma “Fame Zero”, alla regolarizzazione delle misere abitazioni delle favelas e alla difficile riforma agraria, spinta soprattutto dal forte MST (Movimento Sem Terra), rappresentava, per Lula, una parte della politica sociale e di integrazione delle classi marginali brasiliane. La sconfitta del fronte del SI si somma alle già grandi difficoltà in cui naviga l’esecutivo dopo le denuncie, esplose degli ultimi mesi, di casi di corruzione dal parte di membri del partito di governo e di suoi alleati. Una delusione per coloro che, in Brasile e in tutta l’America latina, credevano in Luiz Inacio Lula da Silva e nella sua possibilità di creare una società più giusta in maniera democratica. Nonostante questa battuta d’arresto l’ascendente di Lula sulle classi popolari resta ampio ed esistono i margini per poter uscire da questa congiuntura critica.
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