Mercoledi, 02/12/2020 - La critica americana - e non solo - non ha amato troppo la versione cinematografica del romanzo autobiografico di J.D. Vance “Hillbilly Elegy” (Elegia americana) (trailer), firmata dal premio Oscar Ron Howard (ex attore dai capelli rossi in “Happy Days” e regista noto per molti film, tra cui ‘Cocoon’, ‘Apollo 13’, ‘A beautiful mind’, ‘Il Codice da Vinci’), criticandone le modifiche al testo originale per una resa più divulgativa (quale film non lo fa?), lo scarso approfondimento politico e dei sistemi che creano povertà negli Usa, e concentrandosi invece sulla ‘banalizzazione’ del sogno americano a lieto fine, quello appunto vissuto da J.D. Vance.
In realtà il film, decisamente godibile, ha sicuramente alcune sbavature ma anche tanti pregi, risultando prima di tutto un’opera di intrattenimento per tutta la famiglia, e ponendo in luce un luogo e un ambito sociale poco noto sicuramente agli europei, quello della classe operaia delle regioni remote degli Appalachi e del midwest (pare che queste zone siano state un bacino di voti a favore di Trump nelle elezioni del 2016), abbandonate a se stesse e dimenticate dai servizi assistenziali, generatrici di giovani allo sbando, costretti dalla povertà a rinunciare ai propri sogni e facile preda della droga.
Tra questi ex-sognatori del sud dell'Ohio, talentuosi e pieni di rabbia sotterranea, c’è Beverly (interpretata da una Amy Adams che passa dai toni comici a quelli tragici con grande scioltezza), la madre di J.D. Vance, il protagonista della storia, una donna single con due figli, fragile ma intelligente e piena di vita, che cerca di gestire, tra un fidanzato inaffidabile e l’altro, il suo fallimento nella realizzazione personale (era la prima a scuola ma non ha potuto continuare per motivi finanziari), dedicandosi al lavoro di infermiera ed ai figli amati, finché l’eroina non si affaccia nella sua vita, in un percorso tutto in discesa, a causa del quale non è più in grado di tenere le redini familiari.
Una lite, un abbraccio e una richiesta di aiuto, Beverly rappresenterà, nella vita di J.D. più un problema che una risorsa, fino al giorno in cui, divenuto studente di giurisprudenza alla prestigiosa università di Yale, proprio sul punto di ottenere il lavoro dei suoi sogni, una crisi familiare lo costringerà a tornare nella casa e nel mondo da cui è fuggito. Il personaggio che salvò J.D. quando rischiava di perdere la rotta per la tossicodipendenza della madre, è sua nonna Mamaw, la donna forte, energica e intelligente (anche molto rude) che lo ha cresciuto da adolescente. Nel ruolo di Mamaw la grande attrice Glenn Close, che indossa felpe sdrucite, ha occhialoni giganteschi sul naso e fuma costantemente nonostante la malattia ai polmoni, un'interpretazione che diventerà un cult.
Se è vero che il film racconta la storia di un ragazzo, poi marine in Iraq e infine brillante studente a Yale, piace pensare che acconti anche e soprattutto la storia di due donne dalla vita difficile, la madre che fuggì dal Kentucky rimanendo incinta a 13 anni per cercar fortuna nell’Ohio, attraversando peripezie notevoli, fra cui un marito violento e la miseria, e la figlia, personaggio ambivalente che mostra come siano tanti i fattori di rischio nelle società ‘estreme’, dove sarebbe importante investire denaro in risorse per i giovani, per combattere la depressione e la droga.
J.D. nonostante tutto ce la farà, il romanzo è una storia vera, mai dimenticando l'impronta indelebile della sua famiglia nel suo viaggio personale, forse dedicando questa storia propria alle due donne più importanti della sua prima vita, fino all’arrivo della terza donna, Usha, conosciuta all’Università, e che diventerà sua moglie nella vita successiva.
Per chi ha Netflix, e forse su altre piattaforme, vale la pena di guardare questo film, seguendo tre generazioni attraverso le loro eccezionali battaglie.
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