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Stupri di guerra in Bosnia ed Erzegovina - di Fatima Neimarlija

Stupri di guerra in Bosnia ed Erzegovina - di Fatima Neimarlija

"Le donne violentate durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina, ancora incontrano per la strada i loro aguzzini, mai condannati..." dall'introduzione di Fatima Neimarlija

Martedi, 03/03/2020 - Stupri di guerra in Bosnia ed Erzegovina
Intervento il 22 febbraio 2020
di Fatima Neimarlija (Comunità della Bosnia ed Erzegovina a Roma “Bosnia nel cuore”)

Altri materiali: noidonne.org, videointervista a Staša Zajović
Le donne stuprate in tutta la Bosnia ed Erzegovina sono state tra 20 e 25 mila. I comuni in cui si sono verificate violenze carnali sono 73. Le donne violentate durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina, tuttora incontrano per la strada, faccia a faccia, i loro aguzzini, mai condannati. Essi spesso le insultano, le minacciano, le deridono.
Nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina esiste una legge che riconosce le donne stuprate come vittime civili di guerra riconoscendo loro un indennizzo di circa 260 euro al mese. Questa stessa legge però non esiste nella Repubblica Srpska, un’altra Entità della Bosnia ed Erzegovina.
Il Tribunale penale internazionale dell’Aja ha stabilito che lo stupro etnico equivale a un crimine contro l’umanità.
Sul numero di donne che al momento usufruiscono del risarcimento mensile previsto dalla legge non ci sono certezze. I dati parlano di un numero compreso tra 800 e 870 beneficiarie, ma è impossibile fare delle stime attendibili perché la stessa legge prevede che è sufficiente un’assenza continuativa di tre mesi dal territorio della Bosnia ed Erzegovina per perdere il diritto a ricevere l’indennizzo.
Vale la pena ricordare che già nel dicembre 1992 il Washington Post denunciava la pulizia etnica e gli stupri di massa nelle cittadine della Bosnia orientale ma nessuno fece nulla. Tutti sapevano, ma si è andato avanti così ancora per almeno due anni.
Le città più colpite erano le città orientali della Bosnia, le città che confinano con la Serbia, la città di Prijedor (a nord) e il quartiere di Grbavica a Sarajevo. La maggior parte dei responsabili erano paramilitari serbi, ma tra essi sono da includere anche la polizia speciale serba e soldati dell’esercito jugoslavo. Furono compiuti degli stupri di gruppo in strada, nelle loro case ed anche di fronte alle loro famiglie. Gli stupri di massa avvenivano per la maggior parte su ordine impartito dagli ufficiali come parte integrante della cosiddetta pulizia etnica.
A Visegrad, nell’albergo di nome “Vilina Vlas” (Capelli di fata in italiano) sono state violentate almeno 200 ragazze. Le ragazze sono state buttate nelle stanze e chiuse a chiave e, per evitare che fuggissero o che si togliessero la vita erano legate ai letti. Tante di loro dopo essere state per tanto tempo violentate e torturate sono state uccise e i loro corpi gettati nel fiume Drina. Tante sono state rinchiuse per mesi fino a che le gravidanze non avessero superato il tempo entro il quale avrebbero potuto abortire. Queste donne dovevano far nascere figli Serbi. Dall’altra parte servivano anche per spaventare la società, far capire a tutte le altre donne che ancora non erano state violentate che cosa le poteva accadere in ogni momento.
Tutto ciò ha causato conseguenze lunghe e dolorose: sindromi post traumatici e altri problemi psicologici come il senso di insicurezza, la vergogna o l’autolesionismo, la depressione, problemi di memoria o concentrazione, incubi, ansia, sfiducia negli altri; problemi fisici come dolori pelvici, mal di testa cronico, disfunzioni sessuali, insonnia, problemi ginecologici.
Terribili conseguenze hanno subito anche i bambini nati da quelle violenze. Per molti essi sono figli del nemico, ne portano i loro geni, i loro tratti, sono figli bastardi. Mentre i figli dei caduti in guerra, orfani di padri che hanno combattuto, godono di agevolazioni di vario genere, ad esempio sussidi, borse di studio, eccetera, i figli delle violenze, spesso in condizioni economiche drammatiche, non hanno diritto a nulla.
Bakira Hasecic è di Visegrad ed è fondatrice e presidente dell’associazione “Zene zrtve rata” (Donne vittime della guerra) con sede a Sarajevo. La prima volta lei e le sue due figlie furono violentate davanti agli occhi di suo marito e padre delle ragazze. La figlia più piccola era minorenne. Bakira venne in seguito più volte portata in diversi luoghi dove venivano violentate le donne e venne a sua volta violentata molte volte.
Nonostante tutto ha avuto il coraggio di ritornare nel luogo di questi orrendi crimini e, nel 2003 con altre donne ha fondato l’associazione. L’associazione fino al 2018 ha raccolto ben cinquemila testimonianze.
Una donna ha testimoniato che durante la stessa notte in cui lei veniva violentata altre cinquanta o sessanta donne subivano lo stesso destino.
Tante donne violentate vivono all’estero e l’associazione cerca di trovarle e di contattarle.
Grazie alla loro battaglia sono riuscite ad ottenere l’approvazione della Legge presso il Parlamento della Bosnia ed Erzegovina che riconosce le donne stuprate come vittime di guerra.
Tante altre donne che vivono in Bosnia, invece, pur di non dover parlare sono disposte a rinunciare anche al risarcimento mensile, tanta è la paura che hanno.
Nel 1993 i risultati emersi dall’esame dei fascicoli resero necessaria l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja per l’ex Jugoslavia, la prima Corte costituita in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, fino all’avvio del primo processo iniziato nel 1994.
Centosessantuno casi vennero giudicati per genocidio, violazione delle Convenzioni di Ginevra, delle consuetudini e delle leggi di guerra, perseguendo in modo specifico i reati di stupro e riduzione in schiavitù sessuale in quanto crimini contro l’umanità. Tale orientamento è stato poi confermato dalla giurisprudenza internazionale ed inserito nel 1998 nell’art. 7 dello Statuto di Roma della nuova Corte Penale Internazionale, che portò alla famosa condanna del 22 febbraio 2001.
“Lo stupro fu usato dalle forze armate e dalle milizie serbe come strumento di terrore” dichiarò Florence Mumba, il giudice incaricato e rivolgendosi a Dragoljub Kunarac, uno degli imputati, aggiunse: “Lei ha mostrato il più totale disprezzo per la dignità della donna e i suoi fondamentali diritti umani, in una dimensione che supera di gran lunga anche quella che può essere considerata la gravità media dei crimini di stupro in una guerra”.
Quattro anni dopo, il Tribunale Internazionale cominciò a trasferire i processi alle corti locali, in gran parte alla Corte di Sarajevo, costituita per giudicare i crimini più gravi commessi durante il conflitto, ma con pessimi risultati. Infatti appena l’1% dei casi di violenza sessuale durante il conflitto è arrivato in tribunale, i procedimenti portati a termine sono stati soltanto centoventitre. Tra le cause delle troppe assoluzioni, pur essendo emerso che gli imputati erano responsabili di violenze sessuali, spesso la motivazione della assoluzione è stata che tale crimine non era presente negli atti di accusa

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