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Stupri = Crimini di guerra, ma...

Stupri = Crimini di guerra, ma...

Balcani - I conflitti nei Balcani degli anni '90 hanno ribaltato la precedente giurisprudenza, che ora riconosce lo stupro non più come “offesa all’onore” delle donne, ma come “crimine di guerra” e pertanto penalmente perseguibile da un tribuna

Cristina Carpinelli Martedi, 21/04/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2009

Quando si parla della storia recente dei Balcani, la violenza è un argomento ineludibile. Essa si è manifestata a diversi livelli e in varie forme. Sono stati soprattutto a rischio adolescenti e donne. Quest’ultime hanno vissutodrammatici episodi di violenza durante i conflitti che hanno sconvolto i Balcani negli anni novanta. Oltre ai casi di stupro, che hanno assunto il profilo di veri e propri strumenti di offensiva interetnica, vi sono state situazioni di sopruso e di sopraffazione che hanno costretto giovani donne a prostituirsi. I casi di stupro e di violenza sono stati decine di migliaia e raramente i colpevoli sono stati condannati. Il conflitto nei Balcani con le sue violenze e i suoi orrori ha scosso la coscienza della comunità internazionale e di riflesso gli interessi dei governi membri dell’ONU. La violenza sistematica e pianificata è stata oggetto di discussione durante la Conferenza sui Diritti Umani tenutasi a Vienna nel 1993. In tale occasione è stato ribadito che i diritti delle donne sono “una parte inalienabile, integrale ed indivisibile dei diritti universali”. Nei Balcani, la pulizia etnica e gli stupri di massa, considerati da sempre come una condotta normale di guerra, hanno portato alla ribalta il gender mainstreaming ed alcuni temi specifici come la violenza, la persecuzione e la perseguibilità di questi crimini. La Risoluzione 802/827 del Consiglio di Sicurezza, in accordo con il Capitolo Sette dello Statuto delle Nazioni Unite, ha costituito un Tribunale Internazionale per giudicare e punire i crimini di guerra, quelli contro l’umanità e i genocidi nell’ex-Jugoslavia (ICTY): una pietra miliare nel riconoscimento dei diritti delle donne. Questo Tribunale Internazionale ha riconosciuto per la prima volta lo stupro come un crimine contro l’umanità consumato durante un conflitto armato (ved. Statuto del 2000) e ha sancito una pena per tre militari serbo-bosniaci colpevoli di abuso sessuale e di riduzione in schiavitù nei confronti di ragazze rapite e segregate, stabilendo così il principio dell’inviolabilità della donna anche in un contesto bellico. Un caso, tuttavia, che costituisce l’eccezione e non la regola, se è vero che la grave e sintomatica lacuna che ha accomunato sia l’accordo di Dayton del 1995 per la pacificazione in Bosnia sia quello di Rambouillet del 1999 che concedeva ampia autonomia al Kosovo è stata quella di aver completamente omesso la questione dei soprusi sulle donne come criterio di valutazione per la stabilizzazione e la normalizzazione delle relazioni interetniche. Tra le cause più probabili di tale “lacuna” diplomatica, vi è quella dovuta alla pressoché totale assenza di rappresentanze femminili

Gli stupri di massa avvenuti in Bosnia tra il 1992 e il 1995 hanno attirato l’attenzione internazionale ed hanno avuto un profondo effetto su tutta l’ex Jugoslavia. È in quegli anni che si diffonde un femminismo “balcanico”, che appare in quel contesto perfino meno radicale del dovuto. Movimenti come le Donne in Nero (Žene u crnom), che nel 1991 si diffondono da Belgrado in tutta la Jugoslavia, o i due gruppi B.a.B.e. (Be Active. Be Emancipated; l’acronimo corrisponde anche al croato Budi aktivna. Budi emancipirana) e Star Network (che aiuta le donne impegnate nelle cooperative locali), entrambi fondati a Zagabria nel 1994, sono alcuni esempi dell’attivismo femminista.



A Beiijng (Pechino), la Quarta Conferenza Mondiale delle Donne (1995) ha sottolineato che “nell’affrontare i conflitti armati una politica di mainstreaming attiva e visibile insieme ad una prospettiva attenta al gender deve essere promossa in tutte le strategie e programmi di azione”. Una breve analisi del Diritto Internazionale Umanitario (DIU) rende evidente il bisogno di integrare i diritti universali delle donne nell’implementazione del DIU. Il DIU si occupa, tra l’altro, della protezione dei prigionieri di guerra e dei civili durante un conflitto. Tradizionalmente, l’impatto di un conflitto armato cade in modo sproporzionato sulle donne che costituiscono la maggioranza dei rifugiati e degli sfollati (IDPs). Nessuna distinzione è fatta tra i civili anche se l’esperienza del conflitto può essere notevolmente importante per l’intensificarsi delle disuguaglianze di genere. Le violazioni che possono essere definite “gender-specific” sono i rischi per la salute, il maltrattamento nei campi, la malnutrizione, le molestie, lo stupro ed altre forme di violenza.



Il conflitto nei Balcani ha ribaltato l’impianto giuridico ed istituzionale del DIU. La Res. A/48/13 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite stabilisce, infatti, che lo stupro e altre forme di abuso nei confronti delle donne costituiscono un crimine di guerra e, pertanto, sono penalmente perseguibili da un tribunale internazionale. In precedenza, nella giurisprudenza emersa in seguito al processo di Norimberga e al Tribunale Militare di Tokyo si faceva esclusivamente uso del concetto di “protezione” della donna. L’art. 27 (comma 2) della “Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra” (1949) afferma che “Le donne saranno specialmente protette contro qualsiasi offesa al loro onore e, in particolare, contro lo stupro, la coercizione alla prostituzione e qualsiasi offesa al loro pudore”. È evidente che in quel periodo i crimini di natura sessuale erano trattati come una “offesa all’onore” e non come “gravi violazioni” (elencate nell’art. 6 dello Statuto del Tribunale Militare Internazionaledi Norimberga - 1945). Attualmente è in discussione se lo stupro sistematico e pianificato possa essere considerato una forma di genocidio utilizzato per distruggere la vita familiare e la comunità di un particolare gruppo etnico. A tale proposito, lo Statuto dell’ICTY determina un importante precedente, poiché gli atti di stupro, riconosciuti come crimini contro l’umanità (art. 5), possono essere qui intesi anche come genocidio, vale a dire come azioni commesse con l’intento di distruggere, completamente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso (art. 4). Pure nello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (2002) la “gender persecution” può essere interpretata come una forma di genocidio. Non rientrano tuttavia in essa la violenza nei confronti degli omosessuali e quella consumata dentro le mura domestiche. Un chiaro compromesso verso gli Stati più conservatori e meno tolleranti.



La ricostruzione nei Balcani ha portato ad un aumento della tratta delle donne (e dei bambini) facilitata dalla presenza militare e civile internazionale che ha creato un florido mercato del sesso, facendo circolare valute forti in una grande area geopolitica impoverita dai conflitti armati. È possibile ancora oggi vedere snodarsi lunghe file di donne che offrono i loro servizi. La loro destinazione prioritaria sono le zone delle basi militari Nato sorte durante le guerre in Bosnia e in Kosovo. Città come Pristina hanno industrie del sesso molto fiorenti. Un lascito della guerra nei Balcani è l’alto numero di donne rimaste vedove, che hanno incontrato difficoltà di ordine materiale, dovendo supplire alla mancanza di reddito e supporto familiare. Oggi, i centri donna (es: la Bosnian Women Initiative a Sarajevo) sostengono queste donne attraverso la realizzazione di progetti tesi innanzitutto a favorire il dialogo interetnico, coinvolgendo nei propri programmi rappresentanti delle diverse etnie, con l’obiettivo di avviare percorsi condivisi. È chiara, infatti, la consapevolezza che il processo di riconciliazione e di ricostruzione del paese passa soprattutto attraverso le donne. Questi progetti mirano, inoltre, ad aiutarle a inserirsi nei circuiti produttivi ed economici, a renderle indipendenti all’interno dei propri contesti familiari e a svolgere un ruolo propositivo nei confronti dei governi in tema di predisposizione di strumenti legislativi a loro tutela. In Albania, in Serbia e nel Montenegro esistono leggi speciali per i casi di stupro, ma non c’è nessun tipo di normativa che tratti la questione delle violenze domestiche e delle molestie sessuali. In Bosnia-Erzegovina le leggi speciali valgono sia per gli episodi di violenza domestica, che per gli stupri, mentre non sono contemplate misure legislative per i casi di molestia sessuale; in FYR-Macedonia sono previste pene per i casi di stupro e molestia sessuale, ma non per le violenze tra le mura domestiche; la Croaziadetiene leggi speciali per tutti e tre i casi ed, infine, la Serbia ha approvato nella seconda metà del 2005, una nuova legge di famiglia che prevede la trasformazione della violenza sulla donna in reato penale. Ciò che accomuna tuttavia questi Paesi è che la magistratura applica con difficoltà e lentezza la legislazione sulla violenza, soprattutto quella relativa alla violenza domestica in riferimento a ordini di protezione, che non vengono emessi entro i termini previsti dalla legge, e che pertanto non proteggono le donne da ulteriori violenze.



(20 aprile 2009)

 


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