Venerdi, 01/02/2013 - Studio d’artista per Luigi Pirandello
Fino al 1984, in occasione della ricorrenza della morte, il 10 dicembre, portava in questa casa un mazzo di fiori. Chi? Marta Abba. In memoria di chi? E’ evidente, di Luigi Pirandello.
Roma nasconde piccole oasi immerse nel verde, luoghi benedetti dal trascorrere del tempo di chi vi ha vissuto lasciando segni indelebili nella storia della nostra cultura.
All’altezza di Villa Torlonia, in una piccola traversa della via Nomentana, in Via Bosio, 13/b-15, si trova il palazzo degli anni dieci, in cui il grande drammaturgo italiano, Luigi Pirandello, ha trascorso, all’ultimo piano, gli ultimi anni di vita.
Già negli anni 1913-1918 Luigi Pirandello aveva abitato nel villino insieme alla sua famiglia. Dal 1933 al 1936 vi abitò da solo, occupando i locali tuttora conservati integri all'ultimo piano; nella stanza attigua al suo appartamento viveva il suo autista-factotum Francesco Armellini, mentre al piano inferiore abitava il figlio Stefano con la famiglia. In questa casa nel 1934 Luigi Pirandello riceveva la notizia del conferimento del Premio Nobel. Alla morte dello scrittore, avvenuta il 10 dicembre 1936, i figli subentrarono nel contratto di locazione ma, quando il 10 novembre 1938 l'intero villino fu acquistato dallo Stato e adibito a sede dell'Ufficio Centrale Metrico, il Ministero delle Corporazioni ne intimò l'immediato sgombero. Fu allora che gli Eredi Pirandello, pur di non veder distrutta tale memoria, si dichiararono disposti a donare allo Stato quanto era contenuto nello Studio (mobili, quadri, libri, manoscritti, oggetti personali), purché lo Stato a sua volta si impegnasse a consegnare lo Studio al Ministero dell'Educazione Nazionale affinché il tutto venisse mantenuto nel modo in cui si trovava. L'impegno (siglato il 28 dicembre 1942) fu mantenuto ma non si provvide poi a predisporre un'adeguata manutenzione con il risultato di un progressivo degrado. Oggi, il centro versa in gravi condizioni finanziarie. Soltanto nel 1961, ricorrendo il XXV anniversario della morte di Luigi Pirandello, il Ministero della Pubblica Istruzione, ancora una volta dietro sollecitazione dei figli dello scrittore oltre che di un gruppo di intellettuali, decise di affidarne la custodia all'Istituto di Studi Pirandelliani e sul Teatro Contemporaneo. Costituito nel 1961, l'Istituto ha lo scopo statutario di «promuovere ricerche e studi sulla vita e sull’opera di Luigi Pirandello e sul teatro contemporaneo e di svolgere ogni altra attività idonea per la loro conoscenza e diffusione». All’Istituto è affidata la custodia dello Studio, e in particolare la conservazione e la catalogazione della Biblioteca di Luigi Pirandello e dei preziosi documenti donati dagli Eredi ed oggi custoditi negli archivi. Lo Studio è aperto al pubblico anche per visite guidate; gruppi organizzati, associazioni culturali e scolaresche si ricevono su appuntamento.
Con emozione e rispetto, entro nel salone-libreria che fu lo studio di Pirandello. L’appartamento è infatti costituito da un ampio soggiorno-studio, da una camera da letto e da una terrazza. L’arredo è quello originale: risale al 1933, quando lo scrittore vi si trasferì al suo rientro in Italia, dopo gli anni trascorsi a Berlino e a Parigi. Parte della mobilia, in stile fiorentino, risale al 1910 e proviene da precedenti abitazioni dello scrittore (una scrivania, due librerie a vetrine, due savonarola). Acquisti successivi furono invece il grande divano, le poltrone, una seconda scrivania, alcune scaffalature e l’intera camera da letto, in stile razionale. La biblioteca comprende circa 2.000 volumi appartenuti allo scrittore. Lo studio conserva inoltre gli oggetti d’uso, compresa la piccola macchina da scrivere portatile divenuta un inseparabile strumento di lavoro. Tra i quadri figurano quattro opere del figlio Fausto. Numerosi i manoscritti relativi a poesie, romanzi e drammi.
Lo Studio, oltre ad essere il luogo della scrittura (nei primi anni della permanenza in via Bosio, Luigi Pirandello portava a compimento Pensaci Giacomino! e Così è (se vi pare), era anche luogo di conversazione e ritrovo: il divano e le poltrone accoglievano i suoi incontri con i familiari e con le personalità a lui vicine; ricordiamo, tra gli altri, i nomi di Lucio d’Ambra, Silvio d’Amico, Eduardo De Filippo.
Sommessamente, in punta di piedi, mi avvicino alla scrivania: c’è la foto di Marta Abba, una piccola scultura, due preziosi regali di D’Annunzio, il calendario fermo al giorno precedente alla morte che porta scritto: “Sempre a letto”, il pennino e l’inchiostro, il cui strato è rimasto immobile al tempo in cui Pirandello scrisse i suoi capolavori in questa stanza.
Dalla luminosità e dall'ampiezza dello Studio si passa alla sobrietà di una stanza da letto dalle linee essenziali con un terrazzo dal quale, allora, si potevano scorgere i pini di Villa Torlonia. Gli abiti, i cappelli, il bastone, la divisa della Reale Accademia d’Italia sono ancora conservati nell’armadio. È in questa stanza che il 10 dicembre del 1936 Pirandello muore.
Non c’è cucina perché si tratta appunto di un atelier, di uno studio, abitato da un pittore prima di Pirandello, e quindi lo scrittore prendeva i suoi pasti giornalieri dal figlio che abitava al piano di sotto.
Molte pagine pirandelliane alludono a questa abitazione, come nel seguente racconto:
“Il mio studio è tra i giardini. Cinque grandi finestre, tre da una parte e due dall’altra; quelle, più larghe, ad arco; queste, a usciale, sul lago di sole d’un magnifico terrazzo a mezzogiorno; e a tutt’e cinque, un palpito continuo di tende azzurre di seta. Ma l’aria dentro è verde per il riflesso degli alberi che vi sorgono davanti.
Con la spalliera volta contro la finestra che sta nel mezzo è un gran divano di stoffa anch’essa verde ma chiara, marina; e tra tanto verde e tanto azzurro e tanta aria e tanta luce, abbandonarvisi, stavo per dire immergervisi, è veramente una delizia” (Visita).
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