Chiesa e misoginia - Perchè la Chiesa non spiega come mai in un crescendo di follia misogina le guaritrici sono diventate streghe, amanti di Satana?
Stefania Friggeri Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2009
La festa della donna cade l’otto marzo in ricordo della strage avvenuta a New York nel 1908. Stupisce però che, nel commemorare quel tragico evento, se viene tracciata un’analisi di come si è venuta consolidando nel tempo l’immagine servile e disprezzabile della donna, non ci si spinga mai indietro a ricordare una strage secolare: la caccia alle streghe. Una carneficina durata dal XIII al XVIII secolo in tutta l’Europa cristiana, frutto mostruoso della misoginia di un mondo primitivo, violento ed istintuale. Ma se gli ebrei protestano energicamente ogniqualvolta il Vaticano minimizza la sua responsabilità nella formazione dell’antisemitismo, perché le donne non spingono le chiese cristiane a riconoscere di avere giustificato per secoli con argomenti dottrinari o teologici i pregiudizi e i costumi tipici della società patriarcale, nemica della donna? Perché non chiedere un tardivo atto di onestà intellettuale ammettendo che, in una società in cui l’analfabetismo era quasi universale e l’ignoranza scientifica favoriva la superstizione, anche i rappresentanti dell’alta gerarchia ecclesiastica, nonostante il latino, credevano nelle favole e nei riti magici? Le stesse guaritrici, le levatrici e le “erbarie” si affidavano non solo alla loro esperienza ma, seguendo le modalità scaramantiche trasmesse di generazione in generazione, vi aggiungevano formule e rimedi bizzarri ed inquietanti che davano un sapore di prodigio alle loro pratiche. Alle quali, intrise di formule oscure ed incomprensibili, veniva attribuito potere sulla vita e sulla morte: un comportamento inaccettabile per le chiese cristiane le quali non potevano tollerare che la natura obbedisse ad altra forza se non a quella divina. Ma come avviene che, in un crescendo di follia misogina, le guaritrici diventano le streghe, le amanti di Satana? Ce lo spiega M. Mantello nel suo “Sessuofobia, Chiesa cattolica, caccia alle streghe”, ed. Procaccini. Quando, tra il XIII e il XV secolo le misere condizioni di vita, rese più tragiche dal ripetersi di carestie ed epidemie, sfociano in rivolte rurali e in diverse forme di eresia (con accuse all’alto clero ricco e corrotto di tradire il messaggio evangelico), “i gruppi dirigenti, che ben si guardano dal rinunciare ai loro privilegi, cercano facili capri espiatori…In una società ove ignoranza e superstizione sono dilaganti, il bersaglio privilegiato su cui scaricare la responsabilità dei disagi sociali, delle carestie e delle malattie erano sempre stati gli ebrei, a cui si aggiungono gli eretici e poi anche le streghe”. Avviene così che, in una tragica ed inarrestabile escalation di disumanizzazione e di imbarbarimento culturale, si arriva all’organizzazione disciplinata ed efficiente della caccia alle streghe. Che vede il suo apice nella pubblicazione (1486-87), del “Malleus maleficarum”(il martello per lo sterminio delle malefiche) dove la donna è definita “un mostro seducente …dal volto odoroso ma con il ventre di capra, la coda di vipera…Il contatto con la donna è fetido…il suo nome è morte…(nelle donne c’è una cosa) che non dice mai basta: la bocca della vulva, per cui esse si agitano con il diavolo per soddisfare la loro libidine”. Leggendo questo autentico manuale/guida per gli inquisitori (ben 34 edizioni fino al 1670) risulta evidente che i domenicani tedeschi Kramer e Sprenger, definiti dal Papa regnante “diletti figli”, erano persone gravemente disturbate psichicamente che, ossessionate dal sesso, con argomenti dottrinari cercavano di negare a se stessi il loro desiderio/paura della donna. E l’immagine tradizionale di Eva peccatrice forniva il pretesto per soddisfare la loro fantasia malata nel suggerire metodi crudeli d’indagine, a partire ovviamente dall’esplorazione del corpo nudo: si cercava una qualsiasi imperfezione della pelle (macchia o neo) a dimostrazione del contatto carnale col diavolo, mentre una verruca o porro erano interpretati come la mammella con cui allattare i diavoletti (ma poiché la natura demoniaca li rendeva immuni al dolore e magari invisibili, il corpo intero delle poverette veniva infilzato di aghi). Ed inoltre anche se la donna messa alla tortura negava, la sua fine era comunque segnata perché se ne deduceva che la forza di sopportare il dolore le veniva da Satana. Leggendo gli stralci di alcuni processi riportati dalla Mantello la straordinaria somiglianza delle confessioni colpisce, ma non stupisce. Perché l’inchiesta non mirava ad indagare la vita delle accusate, ma a confermare il pregiudizio della donna “porta del diavolo”, a rassicurare il corpo sociale che l’Inquisizione era vigile ed attiva nel controllare e punire con violenza ogni atteggiamento femminile non conformista, per non dire autonomo o ribelle (anche se in vari casi l’accusa di stregoneria nasceva dal desiderio di vendetta o dalla cupidigia di appropiarsi dei beni sottratti alle disgraziate). E’ vero: la tortura negli interrogatori, le esecuzioni in piazza, i roghi degli eretici erano procedimenti considerati accettabili a quei tempi, ma quale blocco mentale ci trattiene dal prendere atto delle conseguenze che ha avuto nelle società europee il fatto che le chiese abbiano sacralizzato la nostra sottomissione al maschio leggendo nella Bibbia l’inferiorità femminile? Se la caccia alle streghe, anche bambine, è andata avanti per secoli, scaricando la rabbia impotente sulle donne, capro espiatorio dei traumi sociali, dimenticare quali conseguenze questa secolare persecuzione ha avuto nell’immaginario collettivo non è solo colpevole verso le vittime, ma anche autolesionista; perché ci priva degli anticorpi necessari contro un clima culturale che, sempre più provinciale e bigotto, anche oggi ricorre all’arma della paura e della tradizione salvifica.
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