Intervista/Elena Paciotti - "Siamo di fronte ad una riforma anticostituzionale della Costituzione". "Sui diritti fondamentali il principio dell'ugualglianza è stato tradito"
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2005
“Siamo di fronte ad un fenomeno inedito di una classe politica priva di senso istituzionale che a colpi di maggioranza e praticamente impedendo il dibattito ha realizzato una riforma anticostituzionale della Costituzione. Quella votata al Senato è di fatto una violazione della Costituzione e una violazione dei principi moderni dello stato di diritto basati sulla divisioni dei poteri, sul sistema delle garanzie e sui diritti fondamentali, che devono essere garantiti nella nazione allo stesso modo per tutti i cittadini. Ma se questi diritti fondamentali quali il diritto allo studio, al lavoro e alla salute cambiano da regione e regione, allora il principio dell’uguaglianza è tradito”. Elena Paciotti, già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed europarlamentare, ora presidente della Fondazione Basso, mette a fuoco i numerosi paradossi che questa ‘controriforma’ pone in essere. “L’articolo 138 della nostra Costituzione prevede la possibilità di apportare modifiche, ritocchi marginali. Insomma si può intervenire su aspetti specifici e il referendum è previsto se tali modifiche non ottengono l’approvazione dei due terzi del Parlamento. In questo modo porre un quesito ha senso perché si chiede un si o un no ad una domanda precisa su un aspetto definito”. Non è questo lo scenario che ci prepariamo ad affrontare, invece, dopo il voto del Senato?
Sono stati approvati oltre cinquanta articoli che riguardano gli aspetti più disparati. Si va da un preteso federalismo alla riforma del Parlamento, dall’invenzione del “premierato assoluto” al cambiamento dei poteri del Presidente della Repubblica, alla nomina del Consiglio Superiore della Magistratura e della Corte Costituzionale. Nella sostanza si tratta di una nuova Costituzione, che non può essere adottata con la procedura dell’art. 138. Siamo di fronte ad un tale stravolgimento che non può essere oggetto di referendum: i cambiamenti sono talmente tanti da rendere difficile una valutazione unica. Quali sono i pericoli più gravi che lei ravvisa?
Davvero tanti. Uno, ad esempio è il fatto che si costituzionalizzi il sistema maggioritario senza aver previsto i necessari meccanismi di garanzia. Quando per alcune figure che dovrebbero essere di garanzia, come quella del Presidente delle Repubblica, si ritiene sufficiente il voto della maggioranza, quel Presidente non potrà più rappresentare l’insieme del Paese, ma sarà il Presidente della maggioranza. Il passaggio dal sistema proporzionale a quello maggioritario avrebbe richiesto per logica un rafforzamento delle istituzioni di garanzia. Invece è successo esattamente il contrario. Organi come la Corte Costituzionale che avrebbero dovuto essere rafforzati nella loro indipendenza sono invece maggiormente condizionati da nomine politiche. Il sistema legislativo è posto in seria crisi sul piano della ripartizione delle competenze, sicché, oltre che tra regioni e Stato, si verificheranno conflitti anche tra Camera e Senato. Altra questione delicatissima è il cosiddetto sistema federale (chissà perché dobbiamo chiamarla devolution un assetto istituzionale che è solo italiano). I sistemi federali non prevedono mai il potere esclusivo delle Regioni di legiferare anche su materie essenziali. Quello approvato delinea piuttosto un sistema confederale composto di regioni indipendenti. Il punto essenziale è che è stata di fatto intaccata la prima parte della Costituzione, quella che tutela le regole fondamentali della convivenza civile tra i cittadini e che garantisce per tutti l’uguaglianza dei diritti fondamentali: attribuendo alle regioni il potere di dettare ciascuna regole diverse non solo in materia di commercio, agricoltura, artigianato, industria, ma anche in materia di scuola, sanità, assistenza e polizia regionale, il principio di uguaglianza è messo a rischio. Poi c’è questa nuova figura di premier...
Giustamente Prodi ha lanciato l’allarme sulla dittatura del Premier, gravissima perché non ha paragoni nel mondo. Tutto il nostro sistema democratico si riduce all’espressione di un voto per questo premier, che nomina i ministri, che mette la fiducia sulle leggi da lui proposte e ottiene obbedienza dalla sua maggioranza perché può sciogliere il parlamento. Questo premier ha il potere di ricattare la sua maggioranza. I cittadini hanno solo il voto iniziale, dopo il parlamento non può contrastare il premier e addirittura la sfiducia è efficace solo se è votata dalla sua stessa maggioranza. Un vincolo di mandato che rende vana per il Parlamento la possibilità di esprimere un diverso orientamento. Il principio della democrazia partecipativa, previsto anche nella Costituzione europea, è ignorato. L’esercizio della democrazia si esaurisce il giorno del voto, e in questo modo davvero vi è una dittatura del premier. Nessun primo ministro al mondo ha questi poteri e in nessun paese un premier eletto direttamente può essere anche padrone del Parlamento. C’è di che essere preoccupati per le sorti della nostra democrazia?
Decine di costituzionalisti sono allarmati e purtroppo va riconosciuto che questa battaglia non è passata nell’opinione pubblica. Ci siamo trovati all’ultimo momento a contemplare una rovina già in atto, avendo fatto l’errore di non coinvolgere il Paese intero in una questione di fondo come le regole fondamentali della convivenza civile. Ma secondo lei la Costituzione non aveva bisogno di essere aggiornata, dopo sessanta anni?
Io non credo ci fosse bisogno di cambiarla. C’era un problema di eccessiva frammentazione, ma bastava adottare un sistema proporzionale più stabile. Nel momento però in cui si è accettato il maggioritario, allora certo occorrevano dei ritocchi nel sistema delle istituzioni di garanzia, che dovevano essere rafforzate e rese più indipendenti per garantire le minoranze e una maggiore imparzialità. Ormai il danno è fatto. Quali strumenti abbiamo per contrastare l’entrata in vigore della nuovo Costituzione?
L’unica salvezza è una grande battaglia politica a sostegno del referendum, che dovrebbe partire dai partiti. La sinistra ha delle gravi colpe, è in ritardo e sconta un suo imbarazzo. L’errore fu fatto quando in bicamerale si è messa in discussione la Costituzione senza investire il Paese con un’informazione capillare sulle ragioni del processo che si avviava. Io credo che i cittadini italiani siano affezionati alla loro Costituzione, molto più di quanto non si creda. Questa base della nostra democrazia ha retto per tutti questi anni, ha consentito di superare fasi anche durissime. E’ stato possibile perché la Carta costituzionale è nata dalla convergenza di tante forze che, sebbene differenti, erano unite dalla ricerca di valori comuni in cui riconoscersi. Lo sfascio odierno della Costituzione è opera di forze (ex fascisti, lega, affaristi) che non hanno partecipato a quella fase e non la riconoscono come valore unificante. Continuando a difendere la Costituzione la sinistra non rischia di passare per nemica della modernità?
Occorre mantenere un po’ di razionalità e dire che non sempre è bello ciò che cambia e che certi cambiamenti sono peggiorativi. Certo, in un mondo in forte evoluzione la conservazione dei principi deve trovare degli strumenti nuovi. Da questo punto di vista c’è un ritardo e alla sinistra è mancata la capacità di inventare nuovi strumenti per garantire principi e diritti tradizionali, tuttora validi.
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