Storie di femminicidi e patricidi giudicate con gli occhi della legge
Quella contemporaneità di due sentenze (un mancato ergastolo per duplice femminicidio e un'assoluzione per patricidio) che scavano nella cultura della violenza e sollecitano innumerevoli considerazioni
Martedi, 14/01/2025 - Il femminile di giornata quarantuno / Storie di femminicidi e patricidi giudicate con gli occhi della legge
Nello stesso giorno, in questo inizio di gennaio 2025, citate nelle prime pagine dei giornali, sono state divulgate e ampiamente commentate le sentenze di due tragiche storie: un femminicidio e un patricidio in difesa della propria madre.
Un femminicidio, quello di Salvatore Montefusco, che uccise la moglie e figlia di lei con un fucile e al quale non è stato comminato l'ergastolo ma “solo” 30 anni di reclusione perchè la Corte d’Assise di Modena lo ha giudicato “meritevole delle attenuanti generiche per la confessione, la sostanziale incensuratezza, il contegno processuale e la peculiare situazione dell’ambiente familiare" e ha motivato il suo gesto con “un black out emozionale ed esistenziale che lo avrebbe condotto a prendere l’arma". Emozione che sarebbe stata causata dalle parole della moglie che gli intimava di lasciare la casa. La sentenza che ha riguardato l’uccisione nell’ottobre del 2022 di Gabriela Trandafir e della figlia Renata, rispettivamente di 47 e 22 anni, ha però scatenato ( fortunatamente a mio parere) una presa di posizione fortissima di rappresentanti del mondo femminile e non solo, della politica (a partire dalla ministra delle Pari Opportunità Eugenia Roccella), della cultura, dell’associazionismo e oltre. Il nodo che emerge con forza in tutte le dichiarazioni è se si possa ritenere accettabile una sentenza che di fatto alleggerisce la responsabilità del duplice omicidio e rinuncia a dare una pena simbolicamente stigmatizzante come l’ergastolo. Questo assume un significato simbolico gravissimo al sentire dei più. Si potrà pensare che, avendo l'assassino 72 anni, con 30 anni di prigione difficilmente avrà un’altra vita fuori dal carcere, ma è proprio questo particolare ad evidenziare più che mai che è stato cancellato il senso dell’ergastolo.
Nella sentenza non solo ricompare così quel quid a favore dell’uomo e a danno della donna che in Italia ha riconosciuto il delitto d’onore, quale azione “giuridicamente accettabile” fino al 1981, ma sdogana un'altra barbarie culturale chiamata “vittimizzazione secondaria”; ovvero il tentativo di scaricare “la colpa” del femminicidio sull’azione, sul comportamento delle donne. Ciò che nel gergo volgare si definisce con l’insultante “se l’è tirata”. Bisogna allora ribadire un concetto tanto schematico quanto essenziale e potente: non c’è giustificazione per chi arriva a compiere un femminicidio, peraltro raddoppiatosi avendo colpito, nel caso specifico, madre e figlia. Ed è per questo che senza l’ergastolo, come cittadini/e percepiamo la pena come una grave sottovalutazione dei fatti in un tempo in cui i femminicidi non solo non si fermano, ma si moltiplicano in modo preoccupante. Il patriarcato, ovvero la cultura di possesso e dominio sulla donna sembra essere tutt’ora un'idea viva e “militante”.
La seconda notizia riguarda l’assoluzione di Alex Cotoia, che nel 2020 uccise il padre Giuseppe Pompa per difendere la madre e il fratello. Dopo un calvario processuale partito da una tragedia è arrivata una sentenza definitiva che propone una lettura nuova. Una legittima difesa passata per tre fasi processuali che hanno visto prima assolvere, poi condannare a sei anni Alex e finalmente arrivare all’assoluzione definitiva. Il giovane, rilasciando alcune interviste, ha ribadito l’enorme sofferenza del delitto che si è sentito costretto a compiere per le ripetute violenze del padre verso la madre in primis, ma ha anche confermato, come già detto più volte che avrebbe preferito morire lui piuttosto che uccidere il padre. Come non soffermarsi a riflettere su Alex, cresciuto con una visione del rispetto della madre, anche della donna, così reale da arrivare, per difenderla, ad uccidere il padre e a carcarsi di una pena, con cui sta imparando a convivere ma che nessun tempo mai cancellerà. Alex, che a conferma di come legge il mondo, ha voluto assumere il cognome della madre con un atto che racconta ciò che pur nella sua tragedia personale è il suo modo di valutare la madre e con lei ciò che può e deve essere il rispetto della donna.
Nell’incrocio drammatico di queste due storie vi è qualcosa che ci parla di come rimanga tragicamente difficile affermare una cultura che affermi una consuetudine maschile di misurarsi con le donne (mogli, compagne, fidanzate, figlie) con parità, uguaglianza, rispetto nella diversità. D'altro canto sono storie che ci dicono come nelle giovani generazioni ci sia il nuovo che si esprime sino alla tragedia di cui Alex è stato l’attore protagonista, tragedia cui sua madre deve la vita e lui il dolore con la fatica di elaborare il suo futuro con il peso che si porterà per sempre dentro.
Ci piace però ricordare come proprio nelle parole delle sue dichiarazioni ci sia l’ottimismo della volontà di progettare il futuro: studiando, preparandosi e guardando alla gente con fiducia. Peraltro, leggendo la sua terribile vicenda, scopriamo come la sua storia, finita bene, la debba, non semplicemente alla giustizia che ha fatto il suo (seppur difficile) corso, ma ai molti che lo hanno sostenuto: dall’imprenditore che ha deciso di offrirgli il sostegno economico per difendersi, dopo aver appreso dai giornali il suo calvario, all’avvocato che è riuscito a convincerlo che il tempo della prigione, dell’attesa poteva riempirlo studiando per darsi le basi di un domani tutto suo.
Senza dimenticare la fidanzata che, come Alex ci tiene a sottolineare, lo ha atteso per sei anni accompagnandolo nel percorso che ha vissuto da prima dei fatti fino alla soluzione. Fidanzata che, insieme alla mamma Maria e al fratello, gli sono stati sempre accanto con l’affetto e la gratitudine di essere vivi. Familiari che l’hanno accolto con un abbraccio infinito fuori dall’Aula in cui ha appreso di essere stato assolto per “legittima difesa”.
Paola Ortensi
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