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Storia di un matrimonio perfetto

Storia di un matrimonio perfetto

Media/ Raffaella Mauceri e il giornalismo - “Ippocrate” era un piccolo tabloid, oggi è diventato una rivista lussuosa, femminista e un po' “barricadera”

Angela Adamo Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2005

Raffaella Mauceri, a Siracusa, festeggia le sue nozze d’argento con il giornalismo. Noidonne ha voluto incontrarla per farsi raccontare la storia della sua passione per questo lavoro.
Venticinque anni di giornalismo, non sono bruscolini! Un matrimonio con alti e bassi o un’unione felice?
Sicuramente un matrimonio felice, a parte l’aspetto economico che è sempre stato profondamente mortificante e deludente, per me come per tutti i colleghi siciliani visto che gli editori non vogliono sentirne di rispettare il tariffario. E la colpa è nostra che non ci ribelliamo come dovremmo. Devo riconoscere però che è stato proprio questo il motivo propulsore che mi ha spinto, quattordici anni fa, a fondare un giornale tutto mio.
Come e quando è nato il tuo amore per il giornalismo?
Io faccio la giornalista fin da quando andavo alle elementari, solo che allora non me ne rendevo conto. Voglio dire che già nei temi avevo il taglio della giornalista perché raccontavo i fatti veri o inventati con l'andamento del cronista. In famiglia , poi, quando c’era un’occasione ufficiale per cui si doveva scrivere qualcosa, lettere, biglietti augurali e dintorni (inclusa anche al lista della spesa!), chiamavano sempre me: ero la piccola ‘scrivana’ di casa.
Negli anni 60 - 70, in Sicilia, il mestiere di giornalista, per una donna non doveva essere una faccenda molto semplice.
Al contrario, era una difficile e travagliata faccenda perché le donne che facevano giornalismo dovevano scegliere se omologarsi allo stile e all’ottica maschile, in tal caso avevano qualche chance di andare avanti, oppure scegliere la nostra ottica di genere e il nostro stile, rischiando così di bruciarsi subito la carriera.
Tu hai scelto di fare la giornalista per servire la causa del femminismo.
Sì, e non ho certo avuto vita facile. Fare la giornalista, per di più senza rinnegare la mia identità, mi creava problemi con i colleghi, con i caporedattori, e anche con una parte dei lettori. Sicché tutti tendevano a scoraggiarmi con il classico paternalismo, con il boicottaggio, lo scherno, le molestie sessuali… di tutto un po’.
E tu come reagivi?
Di sicuro non mi lasciavo intimidire, al contrario, ho sempre avuto un temperamento assertivo, per cui sono andata avanti per la mia strada affrontando a testa alta le difficoltà, conquistandomi la fiducia e la stima di colleghi, superiori e lettori senza abdicare a nessuna, ma proprio nessuna delle mie idee. E così ho collaborato con tutte le testate siracusane praticando il giornalismo in tutte e tre le sue forme: carta stampata, radio e tv. Per non parlare delle conferenze che ho fatto a dozzine.
E qual è stata l’esperienza più significativa?
Importante è stata la collaborazione con il quotidiano "La Sicilia" durata quasi nove anni, dove ho compiuto la fetta più grossa della mia formazione professionale, grazie anche al direttore di allora, Pino Filippelli, che è sempre stato un gran signore con me e anche un maestro. Dal punto di vista tecnico infatti, mi ha insegnato tante cose. Per quanto riguarda lo stile invece, le mie maestre sono state le più grandi scrittrici e giornaliste italiane, da Oriana Fallaci a Elena Giannini Belotti, da Lidia Ravera a Natalia Aspesi: una stella di prima grandezza! La sua ironia colta e 'soave' è stata una scuola impareggiabile per me. Ma il mio primo approccio formativo con la scrittura femminile risale sicuramente al glorioso mensile femminista "Noi donne" e al settimanale di cronaca e attualità politica "Vie Nuove". Il primo ha costituito l’input nella mia formazione non solo di giornalista ma di donna. Il secondo alla mia formazione politica. Lo leggevo a 16 anni in tempi in cui era inconcepibile che una ragazza si interessasse a certi argomenti. E la firma di ‘Vie nuove’ che amavo di più era quella di Mario Meloni che teneva una rubrica firmandosi con lo pseudonimo "Fortebraccio". Non a caso, il secondo dei miei figli si chiama Diego Fortebraccio!.
Tu hai sempre fatto delle scelte radicali e coraggiose. Per esempio quella di diventare un’editrice schierata dalla parte delle donne.
Di fatto per le giornaliste impegnate nel movimento femminista, non poter scrivere liberamente sulle donne, il loro mondo, i loro talenti, i loro problemi, era una frustrazione quotidiana. Io non ne potevo più. Lasciai da un giorno all’altro ‘La Sicilia’ e tutte le testate per le quali avevo collaborato e mi buttai in quest’esperienza editoriale. Non avevo la più pallida idea di dove mi avrebbe portata. All’inizio, "Ippocrate” era un piccolo tabloid di otto pagine, senza arie e senza pretese, con una tiratura di appena mille copie. Non saprò mai come e perché ebbe successo sin dal primo numero, so soltanto che ne fui sbalordita io per prima. E ovviamente andai avanti.
Questo giornale, insomma, si promuoveva da sé?
Ci puoi giurare. Il mio periodico non ha avuto altri promotori che la mia passione, il mio impegno professionale e, dopo, le mie collaboratrici.
Ma da dove nasce questa denominazione 'sanitaria’?
Nasce dal fatto che il povero giornalino parlava, per l’appunto, di salute, medicina e scienze varie.
E come mai da giornalista femminista ti venne in mente di occuparti di questi argomenti?
Ebbene, è giunta l’ora che io lo confessi pubblicamente: ho usato il nome di "Ippocrate" come un cavallo di Troia. Mi sono camuffata da giornalista della salute, che in quegli anni andava tanto di moda, e sono entrata così, nelle edicole e nelle farmacie, in punta di piedi, proprio come la pantera rosa. Ma ti immagini che cosa sarebbe successo se lo avessi chiamato, chessò, ‘Noi femministe’? Me lo avrebbero boicottato immediatamente! E così, per entrare nelle case delle donne, ho sfruttato l’astuzia di Ulisse, ho indossato i panni del giornalino giudizioso che si occupava della loro salute e della salute dei loro cari. Poi, sempre con estrema prudenza e gradualità, ho cominciato ad inserire ben altri argomenti, finché, grazie ad un imprevisto e crescente successo, è diventato una rivista lussuosa, femminista e un po' barricadera.
Come testimonia il pubblico, infatti, 'Ippocrate' assolve un prezioso e coraggioso lavoro d’informazione e di controinformazione, perché spesso affronta argomenti su cui altri giornali tacciono. Per esempio, l’ingerenza del Vaticano nel nostro paese, le violazioni dei diritti umani in genere e la violenza sulle donne in particolare, gli integralismi, il pacifismo, l’animalismo… Un’autentica concentrazione di posizioni battagliere che ti hanno dato certamente problemi.
Aver dato al mio giornale un taglio di militanza e quindi di coerenza con tutto ciò che sono-faccio-dico-penso, mi costa un sacrificio non indifferente. Mi riferisco per esempio alla pubblicità elettorale che non ho mai ospitato e mai ospiterò per scongiurare qualunque larvato, remoto compromesso, nonché a tutti i temi che tu hai elencato e che per lo più tratto con tono ironico e provocatorio. Ma mi ha anche procurato l’affetto e la stima di moltissime lettrici e di moltissimi lettori (maschi!). E sempre più spesso la gente mi ferma per stringermi la mano, per complimentarsi e per ringraziarmi di dare loro l’opportunità di leggere ciò che non trovano altrove, dal momento che la mia è l’unica testata siracusana che esprime una precisa identità di genere: il genere femminile e il punto di vista delle donne.
Insomma, hai fatto un bel po’ di storia nell’informazione di questa città.
Nel DNA io porto il sigillo genetico ereditato da tutte le mie antenate: una fame insaziabile di giustizia. Usando il giornalismo, dunque, cerco sempre di affermare, come posso, le ragioni dei più deboli, i quali, checché se ne dica, sono ancora le donne e i bambini.
E i cosiddetti diversi. Difatti tu hai esordito, ben 25 anni fa, con un’inchiesta che destò molto scalpore, un’inchiesta in cui si parlava nientemeno che di omosessualità, argomento che incuteva quasi un sacro terrore.
Già, ricordo che allora la parola ‘lesbica’ non si poteva nemmeno pronunciare, e quanto ai gay, chi avrebbe mai potuto parlare d’orgoglio omosessuale? Ho dovuto infrangere dei veri e propri tabù dell’informazione siracusana! Ho attraversato tutti i campi di questo mestiere: dalla cronaca politica alla cronaca di costume e a quella dello spettacolo. Per anni ho seguito gli spettacoli del Teatro Greco dove ho conosciuto e intervistato attori e attrici celebri, da Turi Ferro a Gigi Proietti a Michele Placido a Valeria Moriconi. Sono stata anche corrispondente per dieci anni del premio Hemingway di Lignano Sabbiadoro dove ho incontrato le più grandi firme del giornalismo italiano, dalla Fallaci a Vittorio Zucconi, da Sandro Ciotti a Forattini, tantissimi. Ho fatto interviste speciali ed esclusive, come quella lunga (e pericolosa) intervista al giudice Severino Santiapichi, allora il giudice più famoso d’Italia, dal momento che si occupò dei processi alle Brigate rosse, del rapimento di Aldo Moro, dell’attentato al Papa e così via. Altra intervista eccellente la feci a Leonardo Sciascia, pubblicata postuma. E …beh, lasciamo perdere sennò mi viene il magone....
E adesso?
Adesso, oltre a produrre il mio amato ‘Ippocrate’, l'anno scorso sono stata cooptata come addetta-stampa per una società cinematografica, ed da qualche mese ho iniziato una collaborazione con il celebre ‘Noi Donne’ quello che quando ero ragazzina guardavo come un mostro sacro. Niente male per una giornalista di provincia con sessant’anni suonati, no?”.
Invece, conoscendoti, siamo sicuri che hai altri programmi per il futuro…
“Le cose più sorprendenti e interessanti che mi sono capitate nella vita, sono proprio quelle che non ho programmato. Quindi, niente programmi. Come sempre, sono aperta a tutte le esperienze e a tutte le novità senza pregiudizi, anche perché il lavoro di giornalista è davvero particolare: non si va mai in pensione! Montanelli ne è stato un esempio magistrale: ha scritto fino all’ultimo giorno della sua vita. Perché essere giornalisti è un modo di essere, è una carta di identità. Per me scrivere è come respirare, se non lo faccio, soffoco! L’importante è essere leali con i lettori, e dire con chiarezza e onestà da che parte si è scelto di stare. E io sto e starò sempre dalla parte delle donne, incluse quelle che per incoscienza storica o per squallore personale, sono nemiche delle donne”.

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