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Storia di Nazarena, monaca anacoreta

Storia di Nazarena, monaca anacoreta

Profili - Con Carla Lonzi e Luisa Muraro per comprendere un esempio di libertà femminile

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2006

Le grate, che la separavano dal resto del monastero e rivestite di telo, le consentivano di comunicare “solo il necessario”. Invece la finestra, da cui entravano i rumori del mondo in un periodo storico che ha visto incredibili trasformazioni nei costumi e nelle abitudini di uomini e donne, era sempre aperta. E queste due componenti, da una parte di deserto e silenzio e, dall’altra, di apertura massima al mondo, si colgono bene in ciò che è rimasto di lei: lettere scritte alla madre superiora e al padre spirituale, e ricordi di poche monache con cui talvolta condivideva – separata dalla grata - il lavoro manuale della preparazione delle palme. E' la storia di Nazarena, nata il 15 ottobre 1907 nel Connecticut e morta a Roma nel 1990, nella stessa cella dove ha vissuto da reclusa gli ultimi 45 anni della sua intensa vita.
In un periodo storico in cui le donne hanno raggiunto la liberazione attraverso il femminismo, Nazarena sceglie un percorso di libertà molto differente, perseguendo una ricerca spirituale assoluta, non solo eremitica, ma da anacoreta, come lei stessa specificava.
“Sgombrare il cuore da tutto”, nutrirsi solo con acqua e pane con qualche goccia d’olio, dormire sopra una croce su una tavola di legno, vestire con abiti di sacco cuciti alla bene e meglio e ricoperti di velo bianco, stare sempre senza calze, intrecciare palme per almeno 10 ore al giorno e fare uso di “strumenti di penitenza”, è stato il modo che Nazarena ha trovato per essere libera, dedicandosi solo all’essenziale, e amando con tutta se stessa: “disposta ad accettare con amore forte e generoso, checché possa essere”. Nel 1988 così si rivolgeva, attraverso la grata, ad una sua consorella: “È quello che desideravo, qui: soffrire tanto. Io l’accetto ben volentieri. È essenziale perché dia frutto la mia vita. Il pensiero che Dio guarda il mondo, che guarda con compiacenza all’anima, è una grande consolazione, e mi aiuta a distaccarmi da tutto e a seguire questo cammino fedelmente... Si diviene sempre più poveri. In ogni momento o si va avanti o si va indietro – dipende dall’intensità con la quale si agisce. E si deve ricordare che ogni piccola cosa ha il suo valore. Ma poi, quanta pace!” .
Ma perchè raccontare, in una rivista come 'noidonne', lontana da afflati religiosi, la storia di una monaca camaldolese, che assomiglia più a una mistica medievale che a una nostra contemporanea? La risposta non risiede soltanto nell’indiscutibile interesse che suscita la storia di Nazarena: al secolo, Giulia Crotta, figlia di contadini, emigrati dalla provincia di Piacenza, negli Stati Uniti d’America, dove, promettente musicista, diplomata al conservatorio e laureata in lettere, vive i primi trenta anni della sua vita. Una giovane donna attiva, emancipata e istruita, che, per mantenersi agli studi, aveva persino lavorato come ballerina in un locale di New York. “Tutt’altro che predisposta all’estasi mistica e alle visioni”, come ci informa Thomas Matus, il suo biografo, intorno ai ventisei anni Giulia fa un’esperienza che le avrebbe cambiata la vita: nella notte tra il venerdì ed il sabato santo del 1934 rimane sola nella cappella buia del collegio universitario da lei frequentato. Dopo molte ore di silenzio e di buio, sente chiamare il suo nome, e voltandosi alla voce che la invitava a seguirla nel deserto: “vide l’amore – un amore così grande non l’aveva mai conosciuto in vita sua”.
Dopo questa esperienza Giulia inizia a frequentare la chiesa con più assiduità e a praticare gli esercizi spirituali. In seguito, sempre più decisa a intraprendere la via monacale che porta al deserto, inizia una estenuante ricerca, irta di ostacoli e grandi incomprensioni. Ritenuta “dalla mentalità non normale e lo spirito facile alla illusione”, come recita la relazione negativa trasmessa al vaticano da parte del Convento delle Carmelitane scalze di Newport, Rhode Island, da cui viene cacciata via per la prima volta nel 1937, viene (dopo essersene dovuta andare altre volte da altri conventi sia americani che italiani) infine accolta, nel 1945, in una Roma affamata e occupata, nel poverissimo convento camaldolese dell’Aventino, in cui la sua presenza silenziosa e amorevole viene ancora oggi ricordata come uno dei maggiori contributi alla crescita spirituale della comunità.
Perchè raccontare? Non è solo curiosità. Mi interessa il portato simbolico, caro al femminismo, di ricerche di vita, e di libertà femminile, così radicali.
Certamente il primo riferimento dovuto è a “Il dio delle donne” di Luisa Muraro, che individua nella mistica femminile (da lei definita teologia in lingua materna) “pensiero di donne che avevano (e hanno) con Dio un rapporto di straordinaria confidenza e di suprema libertà”. Il secondo è a Carla Lonzi che in “È già politica” si dichiarava attratta dall’esperienza della clausura: “astratta come l’amore, concreta come la sofferenza”. Scrive Lonzi: “non vedevo limiti alla loro capacità di indagare e dubitare: le risorse erano cercate dentro di sé pur nella coscienza che non esistono risorse adeguate.... sebbene sembra che rinuncino a tutto, mi è chiaro che non hanno rinunciato all’essenziale. Anzi, mi hanno rivelato qual è questo essenziale”.
Leggendo le lettere di questa monaca, ho capito che ci voleva il femminismo per comprendere che l’insistente ricerca di svolgere la propria vocazione in maniera così intensa, “prendendo l’abitudine di vivere con tutte le forze solo il momento presente, gettando in questo tutto l’amore di cui si è capace..., cercando solo il necessario e ricominciando continuamente da capo” (Nazarena), non era frutto di una mente malata e “facile alle illusioni”. Era piuttosto l’esperienza di una donna in grado di “raccapezzarsi nelle sottigliezze che distinguono l’inganno dalla verità in un vissuto” e di dare “senso all’hic et nunc di qualsiasi scoperta” (Lonzi). Per Nazarena, come per Carla Lonzi, l’essenziale sta nella libertà e autenticità dell’essere: nello stare sempre al limite, in pienezza di libertà e amore.
Uno dei capitoli del libro di Muraro si intitola “L’intelligenza dell’amore”, intesa come ciò che sta alla base della disponibilità al continuo cambiamento di sé, al far spazio al desiderio piuttosto che alla volontà, ed al dare primato alla relazione, all’apertura all’altro. Tale “intelligenza”, diviene uno strumento prezioso di trasformazione, per la sua capacità di cogliere l’interconnessione tra me e l’altro/a ed il valore di ogni piccola azione.
In una lettera del 1977 Nazarena scrive: “forse la mia povera vita nascosta, sterile e sprecata in apparenza, ha aperto e apre le porte eterne a tante anime la cui vita fu trascorsa in stato di peccati mortali, appunto perchè, ben consapevole che tutto ciò che faccio è difettoso e merita di essere rigettato, io lo valorizzo e divinizzo, mediante una fede vivissima, una speranza sconfinata e un amore ardente...”.
Soffrendo, umiliandosi, e facendo vuoto dentro e fuori, Nazarena tocca le parti più profonde e dolorose di sé, entrando così in contatto con il dolore di ciascun essere umano: “viveva nel proprio corpo la condizione dei poveri, degli sfruttati, degli emarginati, delle vittime di ogni guerra”, scrive il suo biografo. E Nazarena stessa: “Più mi ritiro in Dio, nel silenzio più profondo, in Lui e con Lui, più mi sento vicina a tutti; più trovo tutti; più desidero di fare i miei piccoli sforzi per aiutare tutti secondo la mia vocazione, senza che si veda qualsiasi frutto. Deve essere una vita di fede pura e nuda: devo dare tutto senza vedere nulla, senza sapere nulla di quella donazione per amore”.
Io credo che quello di Giulia-Nazarena assomigli a una sorta di viaggio vissuto, dopo la scelta anacoretica, tutto all’interno della circonferenza esistenziale. Come se dopo aver girato intorno volesse scoprire cosa ci fosse dentro l’universo esistenziale di una donna: e ci avesse trovato una relazione privilegiata con dio. Attraversando la sua biografia, ci si accorge che Giulia-Nazarena aveva come una sorta di dono suo particolare: un misto tra caparbietà e umiltà, determinazione e sottomissione, in conciliazione tra loro invece che in opposizione. Un dono che l’ha aiutata a creare una possibilità altra per la sua vita, ad essere fondatrice di un nuovo ordine monacale, come lei stessa si proponeva nelle sue lettere. E anche a dare a tutte noi una possibilità ancora di “allargare l’orizzonte, alzare il cielo” (come dice Luisa Muraro). E un esempio in più di libertà femminile.



Bibliografia
Thomas Mathus, Nazarena, una monaca reclusa nella comunità camaldolese, Ed. Camaldoli-Pazzini, Camaldoli, 1998; Luisa Muraro, Il dio delle donne, Milano, Mondadori, 2003; Carla Lonzi, Itinerario di riflessioni in É già politica, Milano, Rivolta femminile, 1977.

(30 settmbre 2006)

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