L'articolo è di Nicoletta Sassu ed è tratto dal n. 41 del 19 ottobre 1975. La riforma del diritto di famiglia è entrata in vigore da meno di un mese e si racconta cosa sta accadendo all'anagrafe di Roma.
Sabato, 23/05/2015 - All'anagrafe di Roma, stanza 82, la coda è lunghissima: il nuovo codice familiare permette finalmente di risolvere il problema di molti illegittimi "per forza".
"Adozione, affiliazione, riconoscimento": così si legge sulla porta della stanza 82 dell'anagrafe di Roma. La fila è lunghissima: donne, uomini, bambini, coppie non più giovanissime, intere famiglie. Un via vai concitato, nomi urlati per la sala d’attesa, la porta della stanza che si apre e chiude in continuazione. Un unico impiegato, purtroppo, sommerso dalle nuove pratiche, dalle sempre più numerose domande di riconoscimento, unico responsabile di un compito così delicato. Per lui quelle pratiche sono solo dei numeri, dei nomi stampati e, certamente, nella confusione di questi primi giorni, non avrebbe il tempo per saperne di più. Siamo noi invece che vogliamo sapere, che vogliamo valutare, nei limiti del possibile, i primi risultati di questa legge sul Diritto di famiglia entrata in vigore il 21 settembre 1975. “Finalmente è fatta!!! È stata dura, ho aspettato, ho lottato fiduciosa ed ora ecco…”. E mi mostra il certificato di riconoscimento col quale la legge italiana le conferma, e sembra un paradosso, che i figli avuti da suo marito possono finalmente portare il cognome del padre. “La mia storia è lunga”, dice Gina Carmassi sorridente ma con una punta d’ironia nella voce. “Tre figli nati più di 30 anni fa da una unione cosiddetta illegale, quindi figli illegittimi. Ma legalizzata questa unione, i disagi e di ordine psicologico e di ordine pratico, non furono per niente risolti; un contributo di 2500 lire al mese “offertomi” dall’Onmi* per il mantenimento dei bambini e la avvilente definizione di “figliastri” per poter usufruire delle varie forme di assistenza a carico del presunto padre. Sì, è stata dura, molto dura”. E nelle sue parole c’è ancora la rabbia per un passato così assurdo e un rancore profondo verso una legge che per anni l’ha avvilita come donna, come madre, come persona.
E qui, questa mattina, le donne sono veramente numerose: chiedono chiarimenti, prendono moduli, scrivono fogli e fogli di carta. Alcune di loro hanno saputo per caso della legge, l’hanno letta sui giornali (così mi dicono) e si sono precipitate qui per risolvere, risolvere subito. “Scriva, scriva, questo lo devono sapere tutti…Ma sa che volendo, potendo e soprattutto avendo…avendo molto, si poteva riconoscere un figlio prima che entrasse in vigore la legge? A me un milione avevano chiesto, un milione pulito pulito…”. È una giovane che mi parla abbastanza vivacemente, Maria Adele C., ligure, madre di un bambino di 6 anni. “già tante sofferenze con questo figlio, già tante spiegazioni da dare negli uffici, nella scuola, a lui stesso; già tanta forza per superare tutti quei falsi sensi i colpa, quel marchi di illegittimo stampato sui certificati; già tanto dolore nel padre che non poteva dargli quel suo nome…e pure un milione….scriva che non è giusto “cacciare” un milione per riconoscere un figlio. Noi siamo operai, i soldi sono quelli che sono, ma la tentazione è stata forte, molto forte. Ti succhiano il sangue per i loro interessi!”. E certamente molti “interessi” sono stati di ostacolo per una riforma più rapida del vecchio ordinamento. Persino alcuni giuristi cattolici ci si misero in mezzo, inventando “strani contrasti con i postulati di fondo riconosciuti dalla nostra carta costituzionale alla famiglia”. “Interessi che vanno al di là dei sentimenti, della giustizia, dell’umanità”, aggiunge una giovane madre romana, Gabriella Pinci. “Io vivo da dieci anni con un uomo sposato con quattro figli avuti dal precedente matrimonio. Noi, due anni fa, abbiamo avuto una bambina. Ora quest’uomo mio si è ammalato di un male incurabile. Una disgrazia tremenda. “Voglio dare il nome alla bambina”, mi ha detto. Ma la legge ancora non c’era e la sua vecchia famiglia non gli dava il permesso per via di alcune proprietà, per soldi insomma. Ora però la legge c’è e perciò ogni impedimento è superato. Finalmente questa figlia avrà il nome di suo padre. È una gran gioia per noi. Grazie, grazie di cuore”. E questo grazie di una donna felice, il grazie di Gabriella Pinci va a tutte le centinai di migliaia di donne che per anni dietro striscioni, bandiere, slogan sono state sempre in prima linea per l’affermazione dei nostri diritti. Gridavano allora: “Basta, siamo stanche! Diritto di famiglia: approvazione subito”. Abbiamo vinto.
*L'ONMI, acronimo di Opera nazionale maternità e infanzia, è stato un ente assistenziale italiano fondato nel 1925 allo scopo di proteggere e tutelare madri e bambini in difficoltà. L'Opera è stata sciolta nel 1975.
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