Venerdi, 11/09/2020 - La vita accade e l’incontro che genera interesse reciproco tra persone è l’evento che rinnova la vita. A me è accaduto più volte, con varia potenzialità generativa ed esiti imprevisti: questo spettacolo è stato uno dei più imprevedibili.
Le donne sono tessitrici di relazioni, capaci di intrecciare fili e di tagliarli, di immaginare un tessuto e farne un abito.
Questo lavoro comporta una visione, una progettazione, una trascrizione del progetto nel disegno e nel taglio. Poi imbastitura e prova, spesso più di una prova. Infine cuciture e tagli minuziosi intorno alle cuciture e talvolta piccoli aggiustamenti anche dopo averlo indossato la prima volta.
La metafora della tessitura è abusata, anche se non sempre approfondita, ma non saprei trovare una similitudine più precisa per descrivere l’esperienza.
Nel 2012 ho pubblicato un libro, “Racconti di case”, che ha generato incontri (fino al premio di narrativa de Il Paese delle donne nel 2017, assegnato perché “il testo, pur essendo un saggio rigoroso, si legge come un romanzo”).
Questo libro, insieme all’incontro con Adriana Giacchetti e Francesca Varsori, autrici e attrici dello spettacolo teatrale Luna di mele (Luna e l’altra teatro), di Trieste, e con Elisa Forcato, danzatrice e arpista di Bolzano, ha generato un sodalizio, temporaneo e per certi versi straordinario, da cui è nato lo spettacolo “Questa casa non è un’azienda”.
Uno spettacolo ispirato dal libro ma poi interamente scritto, pensato, realizzato attraverso un lavoro collettivo di due anni che ci ha portate alla prima uscita pubblica ufficiale al Teatro Miela di Trieste il 21 aprile 2015.
Lo spettacolo voleva essere anche un regalo per i novant’anni di Lidia Menapace, che infatti viene citata ed era presente tra il pubblico a Trieste, dopo aver assistito alla prova aperta a Bolzano l’anno precedente.
Quattro donne diverse per età ed esperienza, tre luoghi di residenza distanti, nessun finanziamento e nessun privilegio lavorativo, un lavoro serrato che ci ha viste insieme almeno una volta al mese dalla primavera del 2013, con le tappe di varie prove aperte per tutto il 2014 a partire dalla prima, solo con una ventina di amiche e amici, a Trieste, a fine febbraio 2014.
Ho usato la metafora tessile-sartoriale perché niente come questo spettacolo mi ha ricordato il lavoro di mia madre, osservato per anni dall’angolo del tavolo su cui facevo i compiti mentre lei creava abiti.
Racconto questa storia per sommi capi conservando nella memoria l’emozione circolare, collettiva, che mi ha convinta a misurarmi anche con la scena, e non solo con scrittura e collaborazione, dopo dinieghi e titubanze, dovute alla consapevolezza della mia incompetenza in questo campo.
Ci siamo misurate con questioni complesse, domande aperte, intuizioni da sedimentare, studiando, scrivendo e provando provando provando per prosciugare, concentrare, tagliare, tutta la materia che sembrava espandersi per germinazione ad ogni incontro.
Il teatro è fatto anche di allusioni, evocazioni, cenni e accenni, e di continua ellissi.
Un’esperienza che mi ha insegnato molto: sfibrante e divertente, rigorosa e leggera, faticosa e incalzante. Un’esperienza generosa.
Ho imparato moltissimo dalle mie tre compagne di strada, nel lavoro comune e negli incontri, nelle chiacchiere condivise e nelle molte risate che hanno segnato tutto il nostro stare insieme e ancora risuonano, vivificanti, perfino molto molto più delle confidenze e dei pensieri serissimi elaborati nel percorso.
Il video che potete vedere al link sottostante è la registrazione della prima ufficiale dello spettacolo, che ha visto repliche in vari luoghi fino a marzo 2017, quando il gruppo si è sciolto e ognuna ha ripreso la sua strada.
Lo metto a disposizione per testimonianza.
Il testo integrale del monologo finale, pubblicato in un librino autoprodotto nel 2013: “Se dico casa…“
Articolo di Rosangela Pesenti, pubblicato il 10 settembre 2020 nel suo blog
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