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Sperimentazione, delocalizzazione e reclutamento di “corpi”

Sperimentazione, delocalizzazione e reclutamento di “corpi”

Parliamo di Bioetica - I paesi in via di sviluppo hanno un diverso approccio nei confronti del sapere scientifico, della ricerca e delle applicazioni della medicina

Fabbri Alessandra Mercoledi, 12/09/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2012

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito, nel Preambolo all’Atto Costitutivo del 1946, e poi nella Carta di Ottawa del 1980, la salute come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia. La salute è considerata, così, come bene primario e, dunque, come diritto fondamentale.
Oltre le definizioni, nella vita quotidiana, è possibile per ogni persona, indipendentemente dalla posizione sociale e dalla zona di provenienza, usufruire del diritto alla salute? Il trattamento e la considerazione della salute è uguale nei paesi Occidentali e nei paesi in via di sviluppo? E in particolare, la sperimentazione farmacologica con quali modalità è condotta nei paesi in via di sviluppo? Nei documenti internazionali sono denominati paesi in via di sviluppo quegli stati o quelle popolazioni cosiddette “vulnerabili”; vulnerabilità intesa qui come particolare condizione vissuta da alcuni popoli che per ragioni culturali, sociali, politiche, giuridiche, religiose, riconducibili al sotto-sviluppo economico che rallenta il progresso scientifico e/o tecnologico, hanno un diverso approccio nei confronti del sapere scientifico, della ricerca e delle applicazioni della medicina.

La vulnerabilità riguarda anche quei paesi, certamente non sotto-sviluppati economicamente, eppure non abituati alla sperimentazione e inconsapevoli delle regole etiche e giuridiche che la governano.

Questa “fragilità” si traduce in diversi modi, basta pensare al fenomeno della delocalizzazione e al reclutamento di “corpi”. Fortunatamente, negli ultimi anni sono aumentate le denunce riguardanti questo tipo di “pratica” nei paesi più poveri, sia per un positivo aumento della sensibilità culturale, sia per un negativo intensificarsi di fenomeni di sfruttamento, dovuti a un notevole incremento degli interessi economici su tutto ciò che riguarda il “capitale biologico’: dalla ‘pirateria genetica’ a scopo di brevetto, alla raccolta di materiale genetico per le biobanche, alla ricerca di ‘corpi’ su cui effettuare sperimentazioni con consensi fittizi o estorti per effetto dell’ignoranza o della povertà. Molte sperimentazioni vengono condotte nei Paesi più arretrati al fini di ridurre i costi e abbreviare i tempi della ricerca, data la maggiore facilità nel reclutamento dei volontari, la minore burocrazia e la diversa regolazione per l’approvazione dei protocolli di ricerca. Recentemente le sperimentazioni sono effettuate, prevalentemente nell’Europa orientale, nell’America latina e nei paesi asiatici. In luoghi dove ci sono condizioni particolarmente disagiate non sono garantiti principi etici che tutelino l’individuo o la popolazione soggetti di ricerca. A tal proposito è opportuno sottolineare che la sperimentazione sull’essere umano in questi paesi, come anche in quelli del Nord, si può giustificare solo se si traduce in un autentico progresso conoscitivo nella capacità di curare gli esseri umani e se tale progresso viene realizzato attraverso un autentico percorso etico che minimizzi i rischi per i soggetti coinvolti nella sperimentazione.

In questa prospettiva, il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica La sperimentazione farmacologica nei paesi in via di sviluppo(maggio 2011) precisa che la sperimentazionedeve rispondere in ogni paese a principi etici che garantiscano il rispetto dei diritti umani fondamentali ponendo però attenzione al contesto in cui si attua la ricerca: condizioni di vita oggettive, come la povertà, la mancanza di accesso a servizi di base per la sopravvivenza e la salute, investono anche il campo dello sviluppo delle capacità intellettuali, ponendo le popolazioni in situazioni di analfabetismo, carenze educative, scarso livello di conoscenza, che non consentono una qualche forma di elaborazione etica.

Questo non significa accettare un doppio “standard etico”: al contrario, esso deve essere ‘unico’ a livello di principi. Ciò che si rileva sul piano etico è che la contestualizzazione e interpretazione specifica dei principi generali non deve determinare una riduzione delle esigenze fondamentali e imprescindibili di tutela dell’essere umano. Questo implica un particolare riguardo delle specificità locali, culturali e sociali, rispettando i bisogni differenti nei diversi contesti, senza ledere i diritti umani in una kantiana considerazione dell’uomo come fine e mai semplicemente come mezzo.

Ogni sperimentazione farmacologica necessita, quindi, di una giustificazione scientifica: i prevedibili benefici ottenibili devono essere superiori ai rischi ai quali si espongono i soggetti sui quali è effettuata la sperimentazione.

Sotto il profilo etico, la programmazione di una ricerca da parte di un ricercatore, équipe di ricercatori o organizzazioni di ricerca è pienamente giustificata se ha per oggetto patologie presenti solo nella popolazione sulla quale si effettua la sperimentazione, oppure quando tali patologie sono presenti sia nel Paese promuovente, sia nel Paese ospitante. Inoltre per garantire correttezza durante la sperimentazione sono fondamentali: un processo di consultazione tra gli sperimentatori e chi partecipa alla ricerca, l’accertamento delle modalità opportune per il consenso informato, la garanzia di protezione della sicurezza e della salute dei partecipanti, attraverso il bilanciamento rischi/benefici, preliminare all’accesso alla sperimentazione, che va riferito alle condizioni di base della popolazione (ivi comprese quelle nutrizionali, epidemiologiche e sanitarie). È importante inoltre, che la ricerca eviti forme nascoste di coinvolgimento che ‘approfittino’ della scarsa consapevolezza o della condizione di bisogno, considerando l’‘ecologia sociale. Un elemento da non sottovalutare è, infatti, “costituito dalla corretta valutazione dell’influenza sui risultati della ricerca sia dei differenti profili genetici che delle diversità economiche e sociali. Per quanto riguarda il primo aspetto, sono sempre più numerosi gli studi che mettono in luce l’incidenza dei profili genetici nella reazione ai farmaci per cui non è opportuno prescindere dalla considerazione dell’ascendenza (africana, asiatica, europea) dei soggetti sottoposti a sperimentazione (Glickman et al. 2009). Allo stesso modo, non si può ignorare, sotto il secondo aspetto, che vi è una profonda differenza nella valutazione del quadro clinico tra soggetti sottoposti sin dalla nascita a terapie farmacologiche multiple e soggetti che non hanno mai o quasi mai avuto accesso sistematico e costante alle terapie”.

Una particolare attenzione richiedono, quindi, i bisogni di salute della popolazione al fine di garantire ai partecipanti della ricerca e, possibilmente alla popolazione nel complesso, un’adeguata assistenza anche dopo la sperimentazione. Per quanto riguarda l’uso del placebo esso è ritenuto di norma ingiustificabile quando esiste un trattamento disponibile. La costituzione e il ruolo dei comitati etici sono fondamentali per valutare la correttezza della sperimentazione. In altre parole, è auspicabile un’incentivazione della ricerca, al fine di garantire la salute e la giustizia globale, riducendo le ineguaglianze, purché essa sia orientata secondo criteri etici indispensabili per evitare ogni forma di sfruttamento e discriminazione.

Da quanto sopra esposto, si evince come la questione della sperimentazione farmacologica sia complessa e delicata. Questo rende necessario uno sguardo bioetico particolarmente attento al ben-essere o meglio al ben-vivere di ogni persona, nel rispetto della dignità, indipendentemente dal luogo di nascita e dalla condizioni individuali, sociali, economiche e culturali.



Alessandra Fabbri, Istituto italiano di Bioetica

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