Intervista a Maria Inversi - L’autrice dell’applauditissimo spettacolo “Io no. Dio conta le lacrime delle donne” racconta la sua esperienza di vita e professionale
Colla Elisabetta Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2007
Rappresentato al Piccolo Teatro Eliseo di Roma, in una serata unica a ingresso libero, lo spettacolo della versatile regista e autrice teatrale Maria Inversi ha riscosso il tutto esaurito, sforando anche la capienza disponibile. In scena il monologo di una donna che, avendo perso la memoria a causa delle violenze subite, ha però il coraggio di guardare in profondità dentro di sé e di far riemergere un drammatico vissuto di violenza e sofferenza che l’aiuterà a ritrovarsi. Lo spettacolo, dal titolo emblematico: “Io no. Dio conta le lacrime delle donne”, ha ricevuto la menzione speciale drammaturgia del Premio Flaiano 2000 ed Aquilegia Blu (Torino, 2000), nonché il primo premio "Piceno" nel 2003. La proposta di questo lavoro ha rappresentato anche un contributo culturale e politico alle mobilitazioni ed al dibattito sviluppatisi negli ultimi mesi sul tema della violenza ad opera del Coordinamento delle parlamentari di Rifondazione Comunista, in contemporanea con analoghe iniziative a Berlino, Atene, Madrid ed altre città europee. Abbiamo chiesto a Maria Inversi di raccontare alle lettrici di Noidonne il significato di questo spettacolo e del suo lavoro di autrice teatrale, anche in relazione con la sua storia umana e artistica.
Com’è nata la sua ricerca artistica ed esistenziale sulle donne?
Ho iniziato come attrice ed ho lavorato per anni in Italia, poi sono andata in Francia dove ho studiato teatro alla Sorbonne, danza e acrobatica, fino al primo lavoro di scrittura teatrale. Lo stimolo della mia ricerca è un percorso nato fra me e me e la società, in maniera indipendente rispetto al percorso fatto dalle femministe in quegli anni. Mi sono resa poi conto che i risultati raggiunti da quel movimento e dalla mia ricerca in realtà coincidevano. Ho iniziato a scrivere per portare fuori i pensieri delle donne, le donne avevano bisogno di parole, di spazi in cui esprimerle, i miei spettacoli necessitano infatti di ampi spazi che assicurino un buon respiro teatrale. C’era bisogno di ridare la parola alle donne ed i miei primi spettacoli sono stati molto criticati per questo: un tempo venivano solo le donne a vedere i miei lavori in teatro ma poi, col tempo, le cose sono cambiate, ci sono molti uomini sinceri che hanno voglia di riflettere su certi temi ed anche io ho fatto un grosso lavoro su me stessa, costruendo differenti equilibri. Comunque scrivo perché voglio servire le donne, la loro causa, e voglio “restituire” tutta la speculazione che ho fatto nel mio percorso. La donna parte da sé stessa e si racconta come vuole, quando vuole ed io voglio restituire alle donne questo immaginario molto forte acquisito attraverso l’esperienza artistica.
L’identità e la violenza sono al centro del tuo spettacolo “Io no. Dio conta le lacrime delle donne”. Da dove ha origine l’idea e perché questo titolo?
Nasce dall’esperienza del timore, della paura e dalla consapevolezza della differenza. Io personalmente non ho mai subito una violenza in senso stretto ma ogni donna sa che esistono molti modi per subire violenza. Inoltre alcune amiche mi hanno raccontato le loro drammatiche storie. Ho deciso di realizzare uno spettacolo e di far partire la mia narrazione teatrale da uno stato di shock, da un trauma che ha portato una donna alla perdita della memoria. Poi, a poco a poco, la protagonista, attraverso ricordi, immagini e frammenti di un diario, ricostruisce gli eventi. E’ qui che si parla di un’altra donna, anch’essa vittima di terribili abusi, e la protagonista inizia a ripetere “io no”, e il senso profondo di questa espressione le darà la forza di andare avanti. Ho pensato all’invenzione di una donna che perde l’identità perché il senso della perdita riguarda tante donne e, in generale, molte persone. Per questo lo spettacolo, che per il carattere stesso del tema non ha alcuna connotazione geografica, vuole avere un senso universale, come il teatro in genere dovrebbe fare, offrire contenuti universali. La seconda parte del titolo è un verso del Talmud ebraico ed mi sembrava che, insieme all’ “io no”, questa frase avrebbe reso bene gli aspetti principali dello spettacolo.
L’Associazione culturale “Alfabeti Comuni”, alla quale ha dato vita con altre donne, si batte per promuovere l’arte femminile: pensa ci sia attenzione da parte delle istituzioni in questo senso?
L’Associazione s’ispira alla scrittura o riscrittura di figure femminili le quali, nel momento in cui sono state rappresentate, erano completamente sconosciute al pubblico teatrale, sottratte all' immaginario maschile che ha storicamente collocato la donna nell'estrema fragilità o nell'estrema negatività. Nella scrittura e negli allestimenti dai linguaggi multimediali (danza, musica dal vivo jazz o contemporanea, canto), nella visione filosofica e ideativa si ha la trasmissione dei valori inerenti il femminile dal punto di vista femminista, dove della donna si narra coraggio, capacità di cura, accoglienza, determinazione, intuizione in una concezione di vita capace di relazione positiva con se stessa e il mondo femminile. In generale è difficile trovare contributi per l’arte femminile e questo spettacolo ha avuto il sostegno della Regione Lazio e di Alessandra Tebaldi, cui sono molto grata per la sensibilità e l’attenzione dimostrate verso il lavoro dell’Associazione e mio, così come lo sono verso le altre donne che mi hanno sostenuto. Sono stata molto contenta di sapere che la Ministra per le Pari Opportunità presenterà entro dicembre in Parlamento un disegno di legge contro le violenze continuative sulle donne: mi sembra un buon segno.
Quali sono i suoi progetti futuri? Cosa consiglierebbe ad una donna che vuole diventare autrice teatrale?
Sto lavorando a un testo sulle donne e la mistica, dal titolo: “Europa. I linguaggi della mistica femminile”, ho fatto tradurre dal tedesco un’opera di 450 pagine, si tratta di lettere che rappresentano l’universo femminile in un ambito filosofico particolare. Sto lavorando anche sul concetto di “sorellanza”, al quale credo molto, e sul significato più profondo del parricidio. Alle giovani donne direi di stare attente alle trappole, di lavorare con e per le donne, di studiare tanto perché la società non è preparata ad accoglierci e non tutti hanno alle spalle una riflessione per comprenderci, di cercare di scoprire e sviluppare parti della nostra soggettività, per metterci in gioco al meglio.
MARIA INVERSI, autrice e regista teatrale, è vissuta in diverse città italiane e straniere e ha frequentato i corsi di teatro presso la Sorbonne-Censier III, Parigi. Ha studiato tecniche recitative, acrobatica e danza con maestri italiani e stranieri. Dal 1990 si dedica alla regia teatrale. Tra i suoi testi ha allestito: Camille C…, segnalato nel Patalogo di Franco Quadri, Judith (Artemisia Gentileschi) menzione speciale Aquilegia Blu, Al di là del filo (incontro ipotetico tra I. Bachmann e E. Hillesum -1992-94), finalista al festival internazionale di Bruxelles; Un uomo senza ambizioni, dal canovaccio del testo con clown, Oggi voglio essere felice-Sabina Spielrein, Jung, Freud (1999), Symphoníai Medea (2000). Di autori contemporanei ha diretto: La voce umana (Jean Cocteau), Incontri segreti, racconti di Margherite Dumas, Simone Weil e Quel ch'è vero da Ingeborg Bachmann, La Tomba di Antigone di Maria Zambrano, due versioni (1997-2002). Tanti Baci, da Sylvia Plath (collage-2004-2005). Ha insegnato presso scuole professionali di teatro ed è stata direttrice artistica di alcune rassegne teatrali e del Teatro La comunità - Roma (1990-91).
(4 gennaio 2007)
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