/ 1 - ...gli studenti saranno ostaggio dell’indottrinamento del familismo territoriale; i docenti esautorati della libertà d’insegnamento
Mantello Maria Martedi, 08/09/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2009
Mentre si cominciano a sperimentare i pesantissimi tagli alla scuola pubblica del Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in Parlamento sta viaggiando la proposta di legge di Valentina Aprea: ex maestra elementare (diploma magistrale alle scuole cattoliche di Bari), ex direttrice didattica (laurea in Pedagogia al Magistero di Bari), oggi in forza nella squadra di Berlusconi.
Il disegno di legge n. 953 presentato alla Camera dei Deputati il 12 maggio 2008 titola: “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti”.
Già nell’enunciato sono fissati i punti cardine di questo progetto che ha come obbiettivo lo smantellamento della scuola statale, nel particolare “autogoverno delle istituzioni scolastiche” che introduce. Queste infatti, trasformate in Fondazioni private, saranno gestite in nome della “libertà di scelta educativa delle famiglie” da vere e proprie lobby di familismo territoriale, con buona pace della libertà di ricerca e d’insegnamento che è la linfa vitale di ogni processo di formazione in un paese democratico. Il ddl 953, pur richiamando costantemente la centralità degli studenti, li blinda in una concezione di famiglia-clan, dove ai figli si chiede conformismo ‘in nome del padre’ ostacolando così quel sano processo educativo di emancipazione culturale e sociale, che passa anche attraverso l’irrinunciabile ruolo dello Stato (art. 3 della Costituzione) per rimuovere gli ostacoli (familiari compresi), perché ciascuno si autodetermini, libero di pensare e scegliere. Insomma di realizzare la propria appartenenza nel pluralismo della cittadinanza.
Il ddl. Aprea, al contrario, vorrebbe perpetuare la stasi del localismo territoriale, a cui è consegnato uno straordinario potere di gestione, progettazione e controllo sulle scuole statali: “Gli organi di governo concorrono alla definizione e alla realizzazione degli obiettivi educativi e formativi, attraverso percorsi articolati e flessibili” (art.1.5). Lo Stato, privato del suo compito costituzionale di istituire scuole pubbliche per ogni ordine e grado (art. 33 Costituzione) diviene così un semplice erogatore di fondi: “La sussidiarietà diventa la stella polare di questo cambiamento” recita il ddl nell’introduzione.
Le nuove scuole saranno governate da un Consiglio di Amministrazione - si legge sempre nell’introduzione del ddl - che è “l'organo di gestione della scuola”. Ogni scuola statale, trasformata in ‘fondazione’, proprio come un’azienda, può “avere partner pubblici e privati che la sostengano, disposti a entrare nell'organo di governo della scuola”. Tutto ovviamente allo scopo di “innalzare gli standard di competenza dei singoli studenti e di qualità complessiva dell'istituzione scolastica”. Peccato che subito dopo si affermi, che “attraverso la trasformazione in fondazioni si vuole anche favorire una maggiore libertà di educazione che poggia sulla natura sociale dell'educazione: un'opera da svolgere entro quella società civile e quegli enti pubblici e privati più vicini ai cittadini, che devono essere riconosciuti a pieno diritto come espressione dell'azione pubblica”. Insomma il governo della squadra Berlusconi vuole giocare la partita dell’insegnamento e dell’apprendimento sul campo dei gruppi di tendenza prevalenti nel quartierino, “i rappresentanti delle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi”( art.1.2), che potranno finalmente avere una scuola pubblica a loro asservita.
Il democraticissimo e funzionalissimo Consiglio d’Istituto attuale, dove tutte le componenti della scuola sono già rappresentate, sarebbe sostituito così da un verticistico strumento politico-economico di controllo e gestione della scuola, formato da 11 persone, “compreso il dirigente scolastico, che ne è membro di diritto”. Ma in quali rapporti proporzionali i magnifici 11 sarebbero, non è dato sapere. L’assise governativa dovrà comunque avere al proprio interno (art.6.1): “l'ente tenuto per legge alla fornitura dei locali della scuola” (come se il padrone di casa di un affittuario dovesse poi prendere, di diritto, parte alla gestione della famiglia), “esperti in ambito educativo, tecnico o gestionale” (chi sono?, quali titoli hanno?), “una rappresentanza dei docenti”, “dei genitori” e “negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, degli studenti”.
Intanto alle private (paritarie) andranno i danari sottratti alle scuole pubbliche: “resta la sfida di riallocare le risorse finanziarie destinate all'istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie”. Vale appena sottolineare che in queste scuole di tendenza, che in Italia sono al momento soprattutto cattoliche, tutto sarà tranquillo, visto che chi comanda è l’ente gestore, di cui già per contratto i docenti sono tenuti ad abbracciare l’ideologia: “Nelle scuole paritarie la responsabilità amministrativa appartiene all'ente gestore” (art.1.7). Forse per tutelare il personale docente da eventuali associazioni professionali, non conformi, e presenti sul territorio?
Maestri e professori delle statali, intanto, dovranno finché ne avranno le energie, e finché l’art. 33 della Costituzione Repubblicana non verrà cambiato, rivendicare che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Un principio, nato proprio dallo spirito resistenziale e antifascista, ma che se passerà il ddl Aprea sarà sempre più svuotato anche grazie alla ‘nuova’ ridefinizione della funzione docente. E’ inquietante infatti, come questo disegno di legge si preoccupi di sostituire abilmente libertà d’insegnamento con libertà didattica (art.5.1). Ognuno sa - e una pedagoga-pedagogista come la dott. Aprea non può non sapere -, che questa riguarda le strategie d’insegnamento di obbiettivi e contenuti prefissati.
E nel ddl di cui ci stiamo occupando, è proprio la libertà d’insegnamento ad essere sottoposta a vincoli, come si legge fin dall’introduzione: “La legge, nel dare attuazione al principio costituzionale della libertà di insegnamento, non può limitarsi alla mera definizione della libertà, ma ha il compito di stabilire regole precise con riferimento ai vari aspetti che incidono su di essa, come, ad esempio, il modo con cui si identificano le attività del docente, l'eventuale tipologia della funzione docente, i rapporti fra il docente e la scuola, i rapporti fra la scuola e gli altri pubblici poteri, le procedure di assunzione, la stabilità del rapporto, i princìpi su eventuali “carriere” eccetera. (…) In tale prospettiva il concetto di “stato giuridico” include, tra l'altro: l'identificazione (in che cosa consiste) e la configurazione (identica o differenziata) della funzione docente; i contenuti e i limiti della libertà di insegnamento”.
Insomma una libertà limitata e ben vigilata! Sottoposta a diversi controllori come abbiamo visto, a molti dei quali, per altro, nessuno chiede titoli culturali e professionali, quelli che i docenti hanno ovviamente, per parlare di scuola, progettare scuola, e fare scuola ogni giorno!
Eppure saranno i clan del familismo che maggiormente detteranno legge, visto che il docente deve procedere nella “sua funzione educativa… in collaborazione con la famiglia di ciascun allievo, e i relativi risultati educativi costituiscono l'oggetto della specifica responsabilità professionale del docente.” (art. 12.3). Poiché poi tale ‘responsabilità’ sarà valutata e costituirà anche elemento di progressione di carriera (anche economica) - ”le procedure per la valutazione e il controllo dell'attività dei docenti rientrano nella esposta nozione di “stato giuridico” e, dunque, nell'ambito riservato al legislatore statale. In tale contesto il Parlamento potrebbe introdurre, andando a colmare un vuoto attualmente esistente nell'ordinamento, forme di valutazione e di responsabilità del docente, che dovrebbero essere improntate alla predeterminazione dei criteri della valutazione medesima (quale, ad esempio, il raggiungimento di obiettivi formativi predefiniti)” - si capisce bene a quali meccanismi perversi si andrà incontro. Tanto più che il ddl prevede che si potrà arrivare, in caso di formulazioni di giudizio negativo sul docente “alla sospensione temporanea della progressione economica automatica per anzianità del docente. Le valutazioni periodiche costituiscono credito professionale documentato utilizzabile ai fini della progressione di carriera e sono riportate nel portfolio personale del docente”.
Una vera e propria schedatura, dunque. E chi non supera l’esame, magari perché ne rifiuta anche il meccanismo perverso dei continui concorsi che il decreto prevede, perché ha fatto già durissimi concorsi a cattedra ordinari, perché ha già anni ed anni d’esperienza, e certamente potrebbe lui insegnare ai novelli ‘esperti’ di nomina ministeriale? Intanto, per blindare l’autonomia professionale del docente, nel suo cardine della libertà d’insegnamento contro eventuali vertenze sindacali, il ddl Aprea prevede: “Al fine di garantire l'autonomia della professione docente e la libertà di insegnamento, è istituita l'area contrattuale della professione docente come articolazione autonoma del comparto scuola”. Una libertà a trattativa che già è preoccupante, ma come se ciò non bastasse: “le materie riservate alla contrattazione nazionale e integrativa regionale e di istituto sono individuate secondo criteri di essenzialità e di compatibilità con i princìpi fissati dalla presente legge.” (art. 22).
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