Marina Cometto è mamma di una figlia con una grave malattia rara, la sindrome di Rett. Ha fondato l’associazione Claudia Bottigelli, in difesa dei diritti umani e in aiuto alle famiglie con figli disabili gravissimi.
Quale pensa che sia la difficoltà più grande da affrontare per lei e le sue coetanee?
Le difficoltà sono tante. Forse avere fiducia nel futuro, specie per una famiglia con figli disabili gravissimi, è la difficoltà più grande. Confrontandomi anche con le difficoltà degli altri, attraverso internet e i social network, così come nella vita reale, posso dire di aver capito che molti vedono la nostra vita segnata dai sacrifici. Quanti sacrifici ho fatto? La domanda è sbagliata, perché non sono stati sacrifici, non li ho vissuti come tali, ma sono state delle scelte dovute alla nostra tipologia famigliare.
Cosa chiede alle istituzioni?
Io avrei poco da chiedere alle istituzioni, e non certo denaro, anche se l’handicap è un “lusso” sotto molti aspetti. Una cosa però la chiedo: di occuparsi del “dopo di noi”. Per noi la vita è passata, è una questione anagrafica. Quando noi genitori non ci saremo più Claudia deve restare a casa sua, deve essere un suo diritto. Lei non potrebbe essere ricoverata in un istituto, fosse anche il migliore, in quanto le sue necessità sono così impellenti che nessuno potrebbe stare accanto a lei ventiquattro ore su ventiquattro, se non per affetto. Il rapporto uno a uno che richiede Claudia, che costerebbe 200/300 euro al giorno per la gravità delle sue condizioni, non può esserci in una comunità. Non chiedo che quel denaro venga dato alla famiglia, ma che venga dato uno stipendio a delle persone che assistano Claudia mentre la sorella lavora e fa la sua vita come oggi, seguendo la propria famiglia. Quanto alla legge 162, ci sarebbe da approfondire molto non solo per quanto riguarda le risorse (e sempre che non vadano a toccare anche i redditi garantiti). Non si può chiedere alla sorella di Claudia che si è detta disponibile a vivere con lei quando non ci saremo più noi genitori, di sacrificare se stessa per aiutarla.
Inoltre, ci sono tante altre cose che si dovrebbero e potrebbero fare per le persone che iniziano oggi un percorso con la disabilità: le scuole sono senza sostegno adeguato, senza accoglienza… lasciamo perdere i fondi: se ci fosse la volontà, le leggi già ci sono, si potrebbe fare moltissimo sul fronte dell’informazione, della conoscenza e della disponibilità.
Perché è importante parlarne?
Perché le informazioni sono alla base delle soluzioni. Non sono “il miracolo”, ma mettono le famiglie nella condizione di vivere una vita come gli altri, di poter fare quelle cose che gli altri reputano “normali”, anche semplicemente uscire a fare una passeggiata. Non si tratta di ciò che non possiamo avere in più, ma di ciò che non possiamo fare per poterci considerare con le pari opportunità di tutti. Se mia figlia ha una disabilità grave, non posso affidarla a persone che non siano preparate, però queste persone vanno pagate. Io ho fatto la scelta di rimanere a casa con la nascita dei figli, e non sono pentita, lo rifarei. Ma condurre una vita lavorativa normale e contribuire economicamente al benessere della famiglia è importante per una donna. Se Claudia è arrivata a questa età è anche perché ho avuto la possibilità di seguirla, bene, e tantissimo, ma anche questo non è la scelta giusta per tutti. Noi siamo una famiglia monoreddito, ora non ci facciamo più caso, ma in effetti ci sono state rinunce che le nuove generazioni difficilmente possono o vogliono affrontare. Il lavoro delle mamme e delle donne viene già trascurato in generale, ma per una mamma di persona con disabilità tutto è più complicato. Io vado a dormire alle 2 o alle 3 del mattino, pur non avendo un lavoro “vero”!
Per fare un altro esempio di come siano importanti le informazioni, quando vado in ospedale con Claudia è richiesta la mia presenza costante. Devo stare lì perché me lo chiedono,e io comunque non la lascerei, non c’è personale sufficiente a dedicarle l’attenzione necessaria perché le può succedere di tutto. Ma i nostri ospedali italiani, a parte rarissime eccezioni come per i pazienti minorenni, non hanno un letto per la notte né il pasto per chi è un “accompagnatore”. Ce lo dobbiamo portare da casa, e per dormire abbiamo una sedia oppure, dove lo permettono, ci si porta una sdraio. Ecco, di queste cose non si parla quasi mai, io sarei già contenta di poterne parlare di più.
Lei ha detto che ha avuto “L’amore che nulla chiede e tutto dà”. Cosa significa questa frase?
Claudia non chiede nulla perche non può chiedere verbalmente, la patologia non glielo consente, ma quando mi guarda con gli occhi riconoscenti anche solo perché dopo averle dato da mangiare le sorrido e le do un bacio e mi sorride riconoscente, colgo nel suo sguardo l’amore puro e innocente di chi si fida e si affida. Le bambine e le donne Rett parlano con gli occhi e con il sorriso. Claudia quando sta bene ha gli occhi che le brillano, quando non sta bene sono velati, hanno un’altra espressione, come un’ombra che li offusca, sembra ci sia qualche fase chimica del suo corpo che esprime i suoi sentimenti e bisogna cercare il motivo, potrebbe essere male ai denti, male alla schiena, potrebbe essere semplicemente tristezza, dopo aver escluso qualche malessere allora inizio a parlarle dolcemente, accarezzandola e spiegandole quanto le voglio bene, il suo sorriso colmo d’amore mi fa sentire al settimo cielo.
Quello che ci ha dato e insegnato Claudia non potrebbe darcelo nessun altro figlio. Anche se io sono orgogliosa di tutti e tre i miei figli, attraverso le sue difficoltà abbiamo imparato ad apprezzare le piccole cose della vita, già se respira da sola è un successo, o se non ha crisi epilettiche per un mese, o se passa l’inverno senza malanni.
Io sono fatalista. Se capitano delle situazioni difficili mi viene in mente subito il pensiero di come trovare una soluzione. Se un problema è arrivato, tocca a noi volgerlo in positivo e trovare il modo di affrontarlo. Vista da fuori, può sembrare che una persona con una rara malattia genetica non abbia nulla da dare, invece lei ha dato tutto. Perché ci dà un’altra visione della vita, che è una visione universalmente valida, anche per gli altri figli. Noi capiamo quanto la vita sia fragile, noi abbiamo capito quanto sia preziosa, noi abbiamo imparato ad affrontare i veri ostacoli e a distinguerli dalle piccole avversità di una vita “normale”. La vita non va sprecata e questo ce lo ha insegnato lei con le sue difficoltà.
Quali iniziative state portando avanti adesso?
Stiamo distribuendo l’opuscolo sulla sindrome di Rett che parla dell’esperienza della diagnosi tardiva e ne parleremo anche questa settimana in occasione della raccolta per TELETHON che abbiamo organizzato sul territorio in cui viviamo. È importante che si conosca questa sindrome e per questo abbiamo chiesto di partecipare alla maratona. La strada è ancora lunga, molto lunga, ma fra gli scopi della mia vita c’è anche questo, fare cultura della disabilità. La gente sa tutto del grande fratello, io vorrei che sapesse tutto anche della sindrome di Rett, perché io sono rimasta sconvolta dal fatto che i medici abbiano impiegato 38 anni per fare una diagnosi. Capisco che è difficile, che le sindromi rare sono tante, ma se anche un solo medico avesse avuto un dubbio e avesse ascoltato ciò che una madre già intuiva, avrei avuto fiducia, avremmo potuto fare di più, meglio e prima.
Come sta Claudia?
Sta bene, nel complesso delle sue difficoltà. Ma non cammina, non parla, deve essere alimentata e purtroppo iniziano a esserci importanti problemi respiratori che possono presentarsi in maniera brusca, improvvisa e dolorosa. È una malattia complessa, che ha diverse tipologie d’evoluzione, in Claudia è stata devastante.
Cosa sta facendo la ricerca?
Va avanti, e come per tante altre malattie ha necessità di maggiori fondi per andare ancora più velocemente. Il dottor Hayek di Siena, con altri specialisti internazionali, ha riscontrato recentemente nelle donne con sindrome di Rett sopra i 40 anni problemi al miocardio, che possono causare morti improvvise. Inoltre si è scoperta un’incidenza della sindrome anche nei bambini maschi, cosa che prima non risultava. Non sono dettagli, occorre fare un quadro il più possibile completo per capire se ci sono esami particolari, comportamenti e terapie più idonee da adottare. Anche la cura non è facile da determinare perché si intrecciano vari apparati e complicanze.
Come è nata l’associazione Claudia Bottigelli?
L’associazione è nata nel 2003, Claudia aveva 30 anni, dopo l’ennesimo scontro con la burocrazia ottusa. Mi sono detta: se dopo trent’anni la situazione non è cambiata, qualcuno deve darsi da fare per assistere le famiglie con figli disabili gravissimi, per sapere a chi rivolgersi e cosa fare. Sono convinta che ognuno di noi abbia uno scopo naturale nella vita e debba lasciare qualcosa dopo di sé, un segno su questa terra. Claudia non avrebbe potuto lasciare nulla del suo passaggio perché non è in grado di fare nulla se non ispirare amore. Lo faccio io per lei.
La Sindrome di Rett è una patologia genetica rara che influisce sullo sviluppo neurologico ed è causata dalla mutazione del gene MECP2; colpisce in particolare le bambine, ma non solo, con un’incidenza di circa 1 caso su 10.000. Insorge dopo un periodo variabile di 6-18-24 mesi dalla nascita e si manifesta con un arresto dello sviluppo, seguito da una regressione sia motoria che cognitiva e del linguaggio. La deambulazione spesso non è più autonoma e possono comparire scoliosi , crisi convulsive e osteoporosi precoce.
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