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Social come parenti serpenti

Social come parenti serpenti

Versione santippe - Sì, lo dichiaro ufficialmente. Io i Social li detesto. Ne riconosco la necessità, intesa come ‘inevitabilità’, ma mi agitano....

Camilla Ghedini Domenica, 02/11/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2014

Sì, lo dichiaro ufficialmente. Io i Social li detesto. Ne riconosco la necessità, intesa come ‘inevitabilità’, ma mi agitano. Sì, mi agitano. E non poco. Sono diventata ormai una drogata, lo riconosco, altro che metadone. La notte, se mi sveglio a fare la pipì, controllo sullo schermo del cellulare se ho delle notifiche. Lo faccio automaticamente, senza pensarci. Semmai devo pensare a non farlo. E questo è un guaio. La mattina, prima ancora di uscire dal letto, verifico gli i like sul mio status, più per compulsività che per desiderio di consenso. Poi, alzatami, eccomi davanti allo schermo del pc, con in mano la tazza del caffè, ad aprire la pagina di Facebook, che posso finalmente visualizzare a 18 pollici! Ma come mi sono ridotta? Eppure, giuro, c’è stato un tempo in cui li rifiutavo in nome delle relazioni normali, del vis à vis. Preistoria. A mia discolpa posso affermare che Twitter e Linkedin li uso pochissimo. Ma è solo perché non mi convince la disposizione caotica delle ‘conversazioni’, mica per altro. Perché ho ceduto? Ho fatto bene? Cosa ci ho guadagnato? Me lo chiedo di continuo. È inutile negarlo, qualche virtù l’hanno. Professionalmente, chi li gestisce bene può fare circolare il proprio brand, può crearsi una reputazione, puoi farsi conoscere a zero spese. Le aziende possono utilizzarlo per promuovere i loro prodotti, mettendoli in vetrina. C’è un marketing che in tempi di crisi economica va valutato per la velocità con cui raggiunge persone, quindi clienti. Poi, arrivano in tempo quasi reale notizie linkate ai quotidiani on line. Talvolta si trovano spunti importanti, fosse anche che un cittadino arrabbiato fotografa la buca di una strada e il giornalista attento può recuperare materiale. E sono certa che molto mi sfugge, se penso ad esempio ai nativi digitali, per cui rappresentano un binario fondamentale della comunicazione. E per il resto? È questo il dilemma. E lo affermo, appunto, da ‘dipendente’ che vorrebbe ‘smettere’. Ma invece che evitare di assumere la ‘sostanza’, sotto mia responsabilità, vorrei che la sostanza fosse tolta dalla circolazione! Comodo!! Con la mia amica Cecilia, che pure come me naviga un bel po’, condivido questa ‘avversione’ per i Social e ci auguriamo spesso che prima o poi esplodano. Questa mattina, ad esempio, lei li ha definiti ‘tristi’. Io ho risposto ‘speriamo che scoppino’. Eppure questo scambio è avvenuto nella chat di Facebook, che rinneghiamo ma di cui riconosciamo evidentemente la validità strumentale. E infatti quel che farò nei prossimi giorni - più volte segnato in agenda - sarà acquisire maggior dimestichezza con i suddetti Twitter e Linkedin. Incoerenza? Forse. Ma la verità è che non usarli o usarli male, come faccio io, equivale a non esserci. E in questo ‘nuovo mondo’ esisti solo se sei con un tuo profilo nella ‘bolla’ e nelle sue community. Poi, soltanto poi, se hai anche la ‘carne’ sulle ossa. Per questo né li combatto né mi adeguo. Li subisco. O meglio li coltivo come i parenti serpenti con cui devi condividere il pranzo di Natale. Eppure, eppure, eppure … mi spaventano. Tutti su Facebook scriviamo dove e con chi siamo: a un convegno, al lavoro, in pizzeria e via così. Siamo tutti rintracciabili e vogliamo esserlo. Ma perché? Nell’illusone dell’assoluta libertà, la libertà la perdiamo e acquisiamo semmai la possibilità di controllare il prossimo. Oltre che al prossimo di controllare noi. Ma io il prossimo non lo voglio controllare, è l’unica cosa che so. Eppure, eppure, eppure…senza social, oggi, che vita c’è?



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