Lunedi, 02/04/2012 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Quando un sindaco donna di un piccolo paese del reggino si dimette perché subisce nel giro di pochi mesi due attentati, l’intero Paese deve interrogarsi su quale siano i motivi per i quali non è riuscito a garantire ad una propria rappresentante istituzionale la sicurezza e la serenità necessaria a poter adempiere al suo ruolo. Il coraggio dimostrato da Maria Carmela Lanzetta allorquando nel 2003 si candidò alla guida di Monasterace(RC) e vinse le elezioni in un comune commissariato per infiltrazioni malavitose, la determinazione nell’abbattere il muro di rassegnazione di una terra governata e sfruttata dalle organizzazioni criminali, la voglia di ribellarsi ad un “sistema” contagiata non solo alle tante donne che lavorano nelle serre ma anche alle altre “femmine di ‘ndrangheta” si sono dileguate al suono di quei tre colpi di pistola calibro 7,65 sparati contro la sua automobile. Il messaggio, fin troppo chiaro, lei lo ha compreso, come pure ha sentito fortissima la richiesta che giungeva da centinaia di compaesani, scesi in piazza venerdì scorso per manifestare la propria solidarietà alla sindaco e per richiedere che restasse al suo posto. Tutto l’impegno che Maria Carmela Lanzetta ha profuso a favore della legalità in questi ultimi nove anni non può essere assorbito dal lezzo acre della polvere da sparo di quei tre proiettili.
E’ noto agli inquirenti ed alle forze dell’ordine che i gruppi criminosi temono le donne perché non facilmente prevedibili e condizionabili: le vicende delle ultime collaboratrici di giustizia sono sintomatiche del desiderio che da esse promana di tutelare i loro figli e conseguentemente di non essere più strumento nelle mani dei loro uomini, intrisi di malavita fin dentro l’anima. Proprio l’altro giorno si è concluso con sei condanne il processo contro i colpevoli della morte di una di esse, Lea Garofalo, processo in cui la figlia, Denise Pardo, si è costituita parte civile contro il padre assassino. Ad una vittoria dello Stato, che è stato vicino a quelle donne che vogliono emanciparsi dalla ‘ndrangheta, deve necessariamente conseguire un suo più forte sostegno a favore della sindaco di Monasterace, perchè il suo urlo di legalità non può essere lasciato cadere nel vuoto del silenzio delle istituzioni. Domani, giorno in cui si riunisce il comitato della provincia di Reggio Calabria per l’ordine e la sicurezza pubblica, è fuor di dubbio che si attendano specifiche misure a tutela della tranquillità e della incolumità di Maria Carmela Lanzetta. Se esse verranno decise, allora potrà anche ritirare le dimissioni, altrimenti quella che a prima vista si appalesa come una sconfitta personale si riverserà sull’Italia, incapace di far proprio il coraggio di quella donna per farlo divenire l’emblema di un riscatto nuovo dell’intero Paese contro la malavita organizzata.
Quella frase, pronunciata mestamente nell’immediatezza degli spari alla sua automobile, “mi hanno distrutto l’anima, non posso continuare a combattere a mani nude”, deve fondare l’obbligo morale dello Stato ad esserle vicino con ogni mezzo perché, insieme ad Elisabetta Tripodi e Carolina Girasole, entrambe sindaco di Rosarno ed Isola Capo Rizzuto, Maria Carmela Lanzetta rappresenta degnamente quella rete di “solide donne del sud che lavorano per una Calabria più giusta”.
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