Martedi, 01/06/2021 - Lo abbiamo notato inizialmente in poche, poi in tante, infine praticamente tutti: la modalità di lavoro da remoto che si svolge diffusamente sin dall’ inizio della prima chiusura a causa del Covid non è lavoro agile o smart working ma lavoro da casa.
Insomma, una riedizione inusuale e (s)corretta nonché dilagante del vecchio lavoro a domicilio.
Non si sottovaluta qui, ovviamente, la grande novità della digitalizzazione, ma l’innovazione non dovrebbe riguardare solo gli strumenti, non dovrebbe contrarsi senza investire relazioni e contenuti, senza riflettersi nella qualità dei prodotti e delle prestazioni , lasciando inalterate le procedure. Relazioni rinsecchite in un luogo fisico necessitato non costituiscono la nuova frontiera.
Certo, la diffusione del lavoro da remoto è stata utilissima e necessaria durante l’emergenza sanitaria, e la buona volontà di tutti ha costituito un ingrediente fondamentale per consentire la continuità delle prestazioni e di quasi tutte le attività, esito non scontato. Anche la confidenza con gli strumenti ai quali nel futuro non si rinuncerà più è da annoverare tra le eredità positive di questo difficile e complicato periodo. Ora, però, bisogna avviare una fase del tutto nuova interrogandoci anche sulle caratteristiche dello smart working del futuro, sulla base delle esperienze effettuate e delle nuove consapevolezze raggiunte.
Nella pubblica amministrazione sarebbe stato non solo semplicistico, ma anche sbagliato, continuare a ragionare aprioristicamente in termini di percentuali obbligatorie di lavoratori e lavoratrici da impegnare nell’attività da remoto, senza ripensare le relazioni di lavoro, l’impatto sulle prestazioni per i cittadini e le cittadine, l’evoluzione nell’ambito dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Soprattutto per queste ultime il lavoro da casa è stato carico di insidie, siamo stati obbligati dai fatti a riconoscere che sotto le pretese sembianze dell’innovazione si è rivelato terreno fertile per la riproposizione dei consueti ruoli e stereotipi di genere. Questi ultimi sono come il virus, difficilissimi da abbattere, ricorrono a numerosi varianti per riemergere forti e vincenti. Il lavoro da casa ha rivestito una di queste vittoriose varianti.
Sino a qui, immagino saremmo d’accordo, ho sintetizzato valutazioni oramai ricorrenti volte a recuperare anche lo spirito e gli obiettivi del vero smart working, finalizzato a conseguire risultati al di là di rigidi adempimenti e a prescindere dal luogo fisico in cui sono effettuate le prestazioni.
Era questo l'intendimento esplicito del legislatore del 2017 ( legge n 81 del 22 maggio), che ha disposto in materia di lavoro agile. L’intervento normativo dovrebbe, però, essere rivisitato perché anche in questa occasione lo stesso legislatore è stato inconsapevole veicolo di stereotipi di genere. A risentirne non sono solo le donne, ma la modernità della disciplina dell’istituto. Leggere per credere.
Il comma 1 dell’articolo 18 include tra gli scopi del lavoro agile «la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro»: abbiamo visto nel concreto cosa significhi per le donne e come il lavoro agile non abbia affatto favorito la condivisione del lavoro di cura. Inoltre, il vigente articolo 18, nel comma 3 bis, dispone per i datori di lavoro pubblici e privati l’obbligo di riconoscere la priorità «alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità previsto dall’articolo 16 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità ...».
E qui vi è davvero da chiedersi perché la priorità non debba riguardare anche i lavoratori, non solo le lavoratrici, dopo che è terminato il periodo in cui queste ultime possono usufruire del congedo per le sole madri.
In definitiva, il quadro normativo sul lavoro agile dovrebbe essere non solo completato ma anche rivisto per configurare soluzioni che favoriscano condivisione del lavoro di cura, libertà dei comportamenti, affrancamento dagli antieconomici e fuorvianti stereotipi di genere.
Occorre farlo oggi, proprio per le caratteristiche che ha assunto la crisi pandemica e per i preoccupanti segnali che contraddistinguono pure la ripresa. Su questo punto specifico, purtroppo, non si trae conforto neppure dalla lettura del Pnrr, che pure individua nelle pari opportunità un’asse portante e trasversale, aspetto di grande importanza, come Noi rete donne ha riconosciuto. Peccato che, nella missione prima, includa nelle politiche per le pari opportunità di genere e per le donne «le misure dedicate al lavoro agile nella Pa (che) incentivano un più corretto bilanciamento tra vita professionale e vita privata».
Anche qui, perché per le sole donne?
* Daniela Carlà, dirigente generale Pubblica Amministrazione. Promotrice con Marisa Rodano da oltre un decennio di Noi rete donne e dell’accordo comune sulla democrazia paritaria, che ha riunito oltre 60 associazioni.
- - - - - -
Articolo pubblicato anche in https://27esimaora.corriere.it/21_giugno_01/smart-working-testi-norme-vita-pratica-non-facciamoci-ricacciare-casa-nome-conciliazione-3552a1ac-c2de-11eb-8124-01fce1738742.shtml
Lascia un Commento