Scatti d’autrice - Donne, prima e dopo i conflitti, nelle foto di Simona Ghizzoni che hanno vinto il Word Press Photo nel 2008 e nel 2012
Dalla Negra Cecilia Venerdi, 11/05/2012 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2012
Ha appena vinto un premio prestigioso, che sorrida è naturale. Ma quello di Simona Ghizzoni è uno sguardo vivo sempre, trasferito dagli occhi all’obiettivo di una macchina fotografica con la quale, in giro per il mondo, cerca di incontrare lo sguardo di altre donne. La incontriamo al museo di Roma in Trastevere, mentre l’esposizione degli scatti che si sono aggiudicati i premi del Word Press Photo 2012 è appena cominciata, e tra storie che parlano di rivoluzioni, primavere arabe, miracoli della natura e volti segnati dalla vita, c’è anche la foto con cui si è aggiudicata il 3° premio della categoria “Contemporary Issues”. Solo un frammento, profondo e intenso, di un lavoro di lungo periodo fatto di viaggi, incontri e ricerche, tutto dedicato alle donne e alle conseguenze che guerre e conflitti nel mondo hanno sui loro corpi e dentro loro anime. È “Afterdark”, lo studio che Ghizzoni, giovane professionista dell’agenzia Contrasto ha avviato per comprendere, immortalare e raccontare quello che rimane, quando i riflettori si spengono su un conflitto e per chi resta inizia una strada tutta in salita. “Siamo abituati a titoli di giornali che ci raccontano di guerre finite, o di operazioni militari concluse con successo. Ma dopo? Chi racconta quello che accade quando bisogna affrontare gli echi di sofferenza che hanno lasciato, il duro lavoro di affrontarne, per anni, le conseguenze?”. E se è vero che, nella storia, il corpo delle donne è sempre stato terreno di scontro e strumento di offesa, è tragicamente scontato che a pagare il prezzo più alto per una ricostruzione prima umana che materiale, prima psicologica che fisica, siano proprio loro. “È stato così anche nella Striscia di Gaza, abbandonata a se stessa dopo l’attenzione mediatica suscitata dall’operazione ‘Piombo Fuso’ (l’offensiva militare israeliana che, tra il dicembre 2008 e il gennaio 2009 ha causato oltre 1.500 vittime civili, ndr). In Medioriente in modo particolare la donna considera se stessa il cuore della casa e della vita familiare: gli uomini che sono sopravvissuti agli attacchi hanno fatto ritorno alle proprie famiglie gravemente menomati, piegati dalla disoccupazione e dall’assedio. “La responsabilità della vita domestica, anche dal punto di vista economico, è ricaduta sulle donne, costrette a prendersi cura di ogni aspetto del quotidiano. Un carico di lavoro aumentato, un insieme di doveri da assolvere che è andato ad aggiungersi ai loro stessi traumi, tutti ancora da affrontare”. Tra le vittime innocenti anche i bambini, segnati da ferite ineliminabili: “In questo contesto è come se le donne cercassero di non vedere il proprio dolore, di metterlo da parte per assorbire quello di mariti, parenti, figli. Ma tutte, senza distinzione, alle ferite fisiche devono aggiungere quelle psicologiche, lo stress post-traumatico lasciato dai bombardamenti”. È questo che racconta il ritratto di Jamila, la donna dal volto coperto fermata nella foto che ha vinto il premio. Seduta in un angolo spoglio della sua casa, poggiata al bastone che l’aiuta, è l’inclinazione leggera del corpo a rivelarne il dolore. È stata colpita alle gambe dalle schegge di un missile durante i raid: ha rifiutato l’amputazione, ma da allora ha perduto la propria autonomia. “E anche la sua identità di donna araba: da questo deriva la sua sofferenza. È come se si sentisse una donna a metà, perché non è più in grado di prendersi cura degli altri, costretta ad accettare che siano gli altri a curarsi di lei”. Il lavoro sulla Striscia di Gaza è solo un capitolo del progetto di lungo periodo raccolto in “Afterdark”, che ha portato Ghizzoni a viaggiare per il mondo, in Medioriente e Nord Africa, toccando anche il Western Sahara e i campi profughi dell’Algeria del Sud, tra altre donne dimenticate dalle cronache e segnate dai conflitti, come le sahrawi. Una passione per il reportage sociale e per la fotografia documentaristica che ha caratterizzato il suo lavoro di sin dal debutto e che ha visto decollare il suo talento con un viaggio a Sarajevo 10 anni dopo la fine della guerra. “Mi sono appassionata di storia della fotografia sin dall’università, ma ho capito presto che il reportage sociale era ciò che mi avvicinava a questo lavoro e a quello che desideravo fare”. Inizia così, nel 2007, uno studio lungo quattro anni sui disturbi alimentari, che la porta a vincere il suo primo Word Press Photo (3° premio 2008 della categoria Ritratti) con uno scatto che racconta il male interiore di Chiara, la giovane ritratta nel fumo di una sigaretta. “Volevo raccontare l’anoressia dal suo interno, da un punto di vista che non fosse legato all’aspetto esteriore del corpo, ma all’anima”. Perché il disturbo alimentare è sempre legato a un trauma subito e “volevo sfatare il mito dell’anoressica che cerca la bellezza, o una forma di perfezione fisica. Le donne che soffrono di questo male vogliono piuttosto sparire, farsi tanto piccole da non essere più viste, lanciando insieme un grido d’aiuto”. Per questo motivo, sono le dita di una mano troppo magre a suggerire il problema, e la foto non indugia su corpi scheletrici o volti segnati: “Non volevo gettare in pasto all’osservatore una tragedia, ho cercato di raccontare gli effetti che la malattia ha sull’anima”. Originaria di Reggio Emilia, dove è nata nel 1977, Simona Ghizzoni è una fotografa dell’agenzia Contrasto e ormai dal 2005 il suo lavoro di ricerca è dedicato alle donne, e agli effetti che i conflitti hanno su di loro.
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