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Susanna Camusso - La Segretaria generale del più grande sindacato italiano, dialoga con una platea femminile durante un incontro alla Casa Internazionale delle Donna a Roma

Bartolini Tiziana Martedi, 11/01/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2011

Opinioni a tutto campo, dialogo in diretta, riflessioni attente e battute sull’attualità. La serata organizzata in onore di Susanna Camusso dalla Casa Internazionale delle Donne di Roma (9 dicembre) è stato un appuntamento denso di politica e umanità. Prima di tutto la felicità collettiva, perchè “una di noi è arrivata lì, erede di Di Vittorio” (Lidia Campagnano), manifestata con musica, applausi e sorrisi. Poi l’attenzione della platea, numerosa, sulle sollecitazioni delle giovani precarie, delle studentesse che difendono l’università pubblica, del mondo delle migranti, sul diritto alla salute e sul welfare del futuro.

“La CGIL ha sottovalutato l’impatto del precariato e noi abbiamo sbagliato a delegittimare il sindacato perchè non abbiamo più strumenti per negoziare nel mondo del lavoro. È giunto il momento di dialogare cercando spazi di condivisione e connessioni”. (Teresa Di Martino, Diversamente occupate). L’ammissione di una sottovalutazione per la CGIL è un passo verso il dialogo e la Segretaria generale osserva. “Mi interrogo ogni giorno sulle profonde differenze che le tante precarietà hanno, mi interrogo su come è successo che abbiamo creduto positiva la libertà di scelta, dell’autogestione del tempo senza renderci conto delle contraddizioni che si aprivano con la riduzione dei diritti. Il tema oggi è come le tante singolarità che la precarietà definisce si possono trasformare in una vertenza collettiva. Il 27 novembre abbiamo provato a dire che la nostra ambizione sarebbe quella di favorire un movimento di giovani ‘non più disposti a tutto’, a partire da un punto per cui ognuno deve provare a porre dei limiti. È una campagna che la Cgil propone in modo che in ogni luogo si costruiscano dei punti di discussione. La precarietà ci interroga, soprattutto come donne, nel rapporto con la famiglia e l’altra questione è che, se vogliamo combattere questa precarietà innovando, dobbiamo pensare a qual è l’organizzazione del lavoro che parla e guarda alle donne. Forse serve un’operazione molto dissacrante, cioè immaginare che il modello sul quale decidere come si negozia e si organizza il mondo non può essere l’operaio della catena di montaggio, perchè quella figura concreta e simbolica che è stata centrale nella costruzione del sindacato oggi non risponde più a far identificare tutti. È evidente che gli operai esistono, ma va preso atto che quel modello organizzativo non risponde alle cose che sono successe. Penso che siamo in una fase di straordinaria transizione in cui bisogna ridare significato alla parola rappresentanza, individuare quale è l’obiettivo intorno al quale situazioni diversissime tra di loro possono di nuovo identificarsi indipendentemente dal luogo in cui si è e si lavora”. Idea facile a dirsi ma estremamente complessa nell’attuazione. Ecco il punto che marca subito la differenza della Camusso in quanto donna. “La mia ambizione è che quella figura su cui costruire il nuovo riferimento e trovare nuove parole non sia una figura maschile”. Il passo avanti è epocale: un cambio di prospettiva che, diventando strategia, può ridefinire i parametri. Così dovrebbe essere anche per i migranti. “La vera scommessa la giochiamo sulle seconde generazioni. Per rompere con le separazioni credo che la battaglia più importante sia quella dello ius soli: chi è nato in Italia deve avere la cittadinanza perchè l’incontro può avvenire se c’è il riconoscimento di essere della stessa terra, superando l’idea di sentirsi ospiti. È anche attraverso il diritto di cittadinanza che deve passare l’idea che ci sono principi inviolabili che vanno oltre le leggi. Nel rispetto delle opinioni e delle religioni dobbiamo affermare il principio della nostra inviolabilità, dei corpi e delle donne”. Quindi i cambiamenti più impellenti sono anche quelli che richiedono un lavoro più profondo, che incide nella cultura diffusa e condivisa. È dai luoghi decisionali che si può provare ad imprimere cambiamenti e quindi “le donne devono prendere il potere e devono provare a cambiarlo creando un diverso modello di potere, un potere ‘insieme’, basato sulla condivisione e sull’ascolto” (Elena Monticelli, www.linkroma.net). Il valore di un percorso, vissuto anche come metodo delle relazioni in una grande organizzazione sindacale, è prezioso. “Il sindacato è per definizione un’organizzazione collettiva. Considero il fatto che oggi una donna diriga la CGIL non un successo personale ma il frutto di una lunga storia di anche complicata e conflittuale delle donne nel sindacato. Poi certo, le donne sono più disponibili all’ascolto e a mettersi in discussione. Però non avere mai certezze è anche molto faticoso. Il messaggio che manderei alle giovani - e che ripeto spesso anche a mia figlia - è che un esercizio collettivo è di per sé un cambiamento e che non è vero che parole come ‘femminismo’ sono vecchie. Noi appariamo vecchie perchè vi illudono che non ci sono discriminazioni. Invece vi scontrate con gli stessi problemi con cui ci siamo misurate noi. La realtà non è cambiata e richiede parole già usate e solo apparentemente usurate”. Infatti il clima è minaccioso e i passi indietro sono tangibili sul piano dei diritti sanciti o attuati (Costanza Fanelli). Parla di “vendetta sociale” Susanna, verso le donne e verso i lavoratori, che aleggia nel contesto europeo come “pentimento” su questioni decisive come il welfare. “Occorre fare prima di tutto un’operazione di pulizia culturale e delle parole. Occorre cancellare l’idea che il welfare sia uguale ad assistenza, che sia costo e non crescita e sviluppo. Occorre separare ciò che è diritto incomprimibile e ciò che può essere legato alle risorse”. Entra in gioca la politica, quella che dovrebbe “saper ascoltare e fare sintesi” e che invece litiga e si divide (Tiziana Bartolini). “La politica ha perso l’orgoglio di se stessa e della sua storia, impantanata in un leaderismo senza leader”. Per concludere, Susanna, risponde alla domanda sul futuro, dell’Italia e delle donne. “La prima idea che associo al futuro sono i giovani: non esiste un domani se lasciamo dopo di noi meno opportunità di quelle che abbiamo trovato: penso agli studi, al reddito, ai diritti. Il grande tema per questo Paese e per l’Europa è di non diventare una regione per vecchi, pur nel rispetto che dobbiamo loro. L’altra parola che associo al futuro è uguaglianza: contrastare chi pensa che continuare a dividere sia utile, in realtà è un modo di uccidere ogni prospettiva”. La Segretaria della CGIL Susanna Camusso è ottimista o pessimista? “L’Italia è ad un punto bassissimo e, siccome penso che le donne sono il metro di una democrazia, dico che siamo messi male. Nello stesso tempo ogni giorno incontro tante cose che mi fanno pensare che tra ciò che viene rappresentato e la realtà c’è una grande distanza. Abbiamo tutti commesso un il drammatico errore di provare a rispondere al liberismo sul piano economico senza accorgersi degli effetti sociali che produceva: la logica del più forte che schiaccia il più debole, la furbizia. Senza un pensiero che tenesse insieme economia politica e sociale si è frantumato tutto e gli egoismi hanno prevalso. Non è stato messo in conto, però, che c’è un limite oltre il quale le persone non sono più disposte a farsi schiacciare. È cominciata una parabola discendente di un impero pericoloso, come tale in grado avere colpi di coda molto velenosi”.



(11 gennaio 2011)

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