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SIENA / OLTRE LA GUERRA con Lucia Goracci

SIENA / OLTRE LA GUERRA con Lucia Goracci

Lucia Goracci torna a scuola per raccontare “storie nascoste di disuguaglianza e di persecuzione”

Venerdi, 27/02/2015 -
Testimonia il coraggio e la paura, con voce pacata e un linguaggio immediato narra gli orrori di guerre che i suoi occhi hanno visto da vicino, così si presenta Lucia Goracci all’incontro con gli studenti dell’Università di Siena, tenutosi giovedì 26 febbraio presso l'auditorium del Collegio Santa Chiara. Lei che ha documentato dove le “bambine non vanno a scuola”, filmato le storie di tante Malala, di chi rivendica il diritto allo studio a costo della vita, si è raccontata attraverso filmati e esperienze sul campo.

In una sala gremita, un pubblico attento e assorto ha seguito le storie dell’inviata di guerra per RaiNews24 di ritorno da Kobane e dal fronte ucraino, reporter in Medio Oriente per il Tg2, conduttrice e inviata del Tg3, giornalista d’inchiesta in terre ad alta tensione.

Le sue parole sono introdotte dalle immagini di due reportage realizzati nel gennaio scorso a Kobane, cittadina accerchiata su tre lati e ridotta ormai ad un cumulo di macerie.

Giunta nella città siriana dopo una “transumanza notturna” attraverso un passaggio ai confini con la Turchia, ne ha documentato la forte resistenza civile. Le strade – dice - si somigliano tutte e per percorrerle occorrono “gambe veloci” che possano mettere al riparo dagli attacchi, perché la notizia va data dall’epicentro del conflitto.

Anche se l’attenzione mediatica per il fenomeno delle milizie femminili curde non le sembra incontrare il favore delle protagoniste, con piacevole stupore ricorda quella donna di mezza età a capo dei combattenti. Non solo guerrigliere sul campo ma anche nei sotterranei come infermiere o come maestre, difendono un’appartenenza sotto assedio perché “quella guerra, tutte le guerre attaccano per prima la cultura”. Principale bersaglio diventano proprio le scuole, centri di trasmissione del sapere che ora a Kobane sono “sottoterra” (dove anche il pronto soccorso è ricavato nei sotterranei). “Agli adulti il compito di tirare dal cuore dei bambini gli orrori del conflitto” aggiunge a mo’ di chiosa alla descrizione dei fatti. Tuttavia tiene a precisare che documentare quanto accade sotto le bombe significa restare aggrappati alla vita, perché l’umanità continua a pulsare sotto le rovine.

Per poter mostrare al mondo quelle forme di resistenza occorre però a suo avviso andare all’epicentro del conflitto, avvicinarsi il più possibile perché “la propaganda è ovunque” (particolarmente forte in Russia). Andare a vedere, non fermarsi alla prima risposta, “approfittare” della differenza di essere donna: aspetti che rendono il mestiere dell’inviata una passione al servizio dell’informazione. Anche se al giornalismo italiano rimprovera una memoria corta, la sua libertà non ha conosciuto censure perché del resto “gli esteri poco importano alla politica interna” L’essere una donna reporter è da lei declinato perfino come un vantaggio da saper spendere con astuzia nel mondo arabo, dove l’altro sesso non è preso sul serio, quindi meno insidioso: a lei sono state mostrate cose altrimenti tenute nascoste agli uomini. Un incoraggiamento a non indietreggiare, a non rinunciare ad una vocazione, a coltivarla e inseguirla anche e soprattutto in condizioni storico-politiche avverse.

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