Lo “status” dell’arte - Sembra uno di quei quesiti dalla risposta ovvia: “Ma certo! Anzi, se è gratis tanto meglio, no?”.
Pennello Alessandra Lunedi, 28/09/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2009
Oggi l’arte costa cara, un concerto può raggiungere prezzi elevatissimi (allo scorso tour di Madonna l’entrata ai fans era garantita alla modica cifra di 100-120 euro) e se si tratta di teatro, balletto o opera le cifre possono salire ulteriormente. Ma se lo stesso spettacolo ci fosse regalato riusciremmo davvero a gustarcelo o siamo forse arrivati al punto in cui il denaro condiziona perfino i nostri gusti artistici? Quanto conta nella riuscita di una pièce teatrale lo stare seduti su una poltroncina rossa? Quanto ci interessano musica, coreografia, ritmo e quanto invece il contesto che i nostri soldi sono riusciti ad acquistare? Arte o status?
Ricordate la storia di Joshua Bell? Si tratta di uno di quegli aneddoti che si leggono sui giornali di tanto in tanto e che sul momento colpiscono il lettore con la violenza di uno schiaffo, poi però si vanno ad accatastare non si sa dove nei meandri della sua mente e, infine, si dimenticano. Ci sono troppe cose a cui pensare e il signor Bell è sicuramente meno rilevante della crisi petrolifera, delle gaffes di un Presidente del Consiglio o dell’Inter che vince il campionato.
Joshua Bell, musicista vincitore di ben due Grammy Awards, fece nel 2007 il “busker”, un modo come un altro per dire “suonatore di strada”, nella stazione Enfant Plaza di Washington. L’artista si era vestito in maniera dimessa e si era collocato all’ingresso della metro nell’ora di punta, proprio davanti a un cestino dei rifiuti. La sua esibizione avvenne tra l’indifferenza di molti. Il fatto che stesse eseguendo alcuni pezzi di Bach fra i più complessi mai scritti con uno Stradivari da 3 milioni di dollari e con grande bravura sembrava passato in secondo piano: dopo un’ora di concerto e migliaia di persone passate senza degnarlo di uno sguardo le mance raggiungevano i 32 dollari, cifra irrisoria considerando che due giorni prima Bell aveva fatto il tutto esaurito al teatro di Boston, dove i posti erano costati una media di 100 dollari. L'esecuzione di Joshua Bell in incognito nella metro fu organizzata dal Washington Post come esperimento sociale sulla percezione, il gusto e le priorità delle persone: "In un ambiente comune ad un'ora inappropriata percepiamo la bellezza? Riconosciamo il talento in un contesto inaspettato?".
L’apparenza conta e il contesto vale buona parte dei soldi che destiniamo all’arte. Non siamo sempre in grado di riconoscere il talento quando si mostra in un palcoscenico atipico, o meglio in un luogo che come palcoscenico non riconosciamo.
Così come Bell hanno fatto altri artisti di nota fama quali Sting. Eppure non credo sia un problema di ignoranza perché il punto in realtà è un altro: siamo abituati male. Il nostro indice di valutazione è diventato il prezzo. Costa poco? Beh, allora non vale niente. L’hai pagato una fortuna? Come ti invidio, potessi permettermelo anch’io!
Sarà colpa della crisi economica, tema ormai sulla bocca di tutti e nelle tasche della maggioranza della popolazione. Sì, sarà la crisi che ci fa ragionare basandoci più sul denaro che sulla sostanza, ormai siamo abituati a fare attenzione al prezzo di ogni singola merce, ogni servizio, del nostro tempo, di tutto. Ma così abbiamo finito col dare un prezzo all’arte, al talento, alle emozioni. Ebbene sì, potendo scegliere, preferiamo pagare. Oppure sarà la crisi che ci farà cogliere il senso delle cose. Forse allora anche per la maggior parte delle donne, quelle più legate al dono, verrà qualche riconoscimento vero.
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