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Siamo cio' che mangiamo

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Focus - Cibo Ribelle/1 - Tra i tanti modi di ribellarsi ad un sistema fondato sullo sfruttamento di persone e territori ci sono anche le scelte del nutrimento quotidiano

Marta Mariani Sabato, 30/05/2015 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2015

Christopher McCandless (il ragazzo realmente esistito del West Virginia che, nell'immediato postlaurea, decise di devolvere le sue finanze all'Oxfam e lasciare la famiglia per intraprendere un avventurosissimo e pericolosissimo viaggio verso le terre alaskiane) sentiva ormai da tempo i limiti del denaro, della società occidentale, dei supermercati, della vita “artificiale”.

Per questo si mise in marcia, attraversò gli Stati Uniti, determinato a cambiare tutto, regredire alla vita selvaggia: cacciare, difendersi con il fuoco, sopravvivere, diventando l'emblema della ribellione totale contro il consumismo e capitalismo.

La scelta di McCandless non è stata molto imitata, ma negli ultimi anni stiamo assistendo ad altri tipi di ribellione al sistema, decisamente meno estreme e meno solitarie.



Parla da tempo di “decrescita”, infatti, quella corrente di pensiero economico-politico incline alla riduzione controllata degli sprechi e, soprattutto, dei consumi, tesa all'equilibrio ecologico ed ecosistemico, quindi ad un più sapiente bilanciamento del rapporto fra l'essere umano e la natura. Serge Latouche, filosofo ed economista vivente, pioniere francese della 'décroissance', appunto, nel suo 'Breve trattato sulla decrescita serena' scrive: “La parola d'ordine della decrescita ha soprattutto lo scopo di sottolineare con forza la necessità di abbandonare l'obiettivo della crescita illimitata, obiettivo il cui motore è essenzialmente la ricerca del profitto da parte del capitale”. Di qui, si capisce che dire 'basta' al consumismo, ai supermercati, “all'orologio”, ancora non implica né eremitaggio, né solitudine. Anzi.

Ecovillaggi e cohousing (ovvero, soluzioni familiari di coabitazione partecipata), attualmente, fanno rima con: orto e giardinaggio, medicina naturale, crudismo e naturopatia, terapie olistiche, bioedilizia, ecoturismo, discipline orientali di ricerca interiore e di crescita spirituale. Sì, perché il comune denominatore di tutte queste attività è nientemeno che la terapia della più grave malattia del nostro secolo: l'avidità di denaro, quindi lo sfruttamento estenuante e l'ansia del profitto che da essa derivano.

È interessante notare che il fulcro della ribellione al sistema e alla dittatura del dio denaro passi, nella maggioranza dei casi, per una riflessione e per una radicale ridiscussione del valore del cibo.



Queste frange ribelli, cioè, queste comunità di “pacifici dissidenti”, infatti, ripensano e ridefiniscono il senso e il valore della nutrizione, al punto che spesso lo stravolgimento delle tradizioni gastronomiche e alimentari già consolidate diventa il modo privilegiato di indurre al cambiamento il sistema economico-sociale. La cosa non sorprende se si pensa alla centralità del cibo nel quadro delle missioni sanitarie di un soggetto come l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ad oggi così si esprime: “migliorare le abitudini alimentari non è prerogativa del singolo individuo, bensì è una necessità sociale che richiede ormai un approccio interdisciplinare, multisettoriale e culturalmente adeguato”.



Un approccio del genere, ad esempio, viene dalla naturopatia, propaggine disciplinare della medicina complementare, o alternativa, che, mirando al riequilibrio della fisiologia corporea, vede nel cibo il mezzo di rieducazione ad un bioritmo armonioso, quindi ad un equilibrio psico-fisico ed emozionale. Correnti del tutto affini sono, inoltre, l'igienismo e la macrobiotica.

L'igienismo, nato negli States con Isaac Jennings, Sylvester Graham e Russell Thacher Trall già sul tramontare del Settecento, fu sistematizzato solo con Herbert Shelton nel XX secolo. Esso consacra delle leggi comportamentali che regolano la salute della specie umana e inquadrano la stessa entro un campo di dinamiche che fluttuano dall'ordine al disordine. Un àmbito entro il quale il corpo umano avrebbe delle notevoli virtù autoterapeutiche, trascurate dalla medicina tradizionale per focalizzarsi esclusivamente sulla terapia del sintomo.



Georges Ohsawa, il principale divulgatore della macrobiotica, (nato a Kyoto nel 1893) fu un autodidatta giapponese che si pose come intermediario culturale fra l'Occidente e l'Oriente, e in Europa permise la diffusione dell'antichissima teoria cinese dello Yin e dello Yang: le forze antagoniste regolatrici di tutti i fenomeni cosmici.

Ohsawa classificava gli alimenti stessi secondo queste due forze opposte e complementari. Proprio tramite la sua classificazione, la macrobiotica (che categorizza il cibo sulla base di aspetti fisici, chimici e biochimici, ma anche storici, biologici, ecologici e morali), intende bilanciare gli apporti energetici riconducibili ai principi opposti, fino a riorganizzarli entro l'armonia universale.

Come è evidente, il cibo è un grande contenitore di molte istanze di cambiamento, cui spesso sono sottese ideologie rivoluzionarie, per quanto pacifiche e silenziose.



C'è, forse, un trait-d'union importante, allora, tra cibo e stile di vita, quindi tra cibo, orto, ecovillaggio e cohousing. Un sottile filo rosso che collega alcune idee di “decrescita”, di ecologia e, più in generale, di armonizzazione psico-socio-ambientale. Con questa lente, sembrano unificabili le prospettive italiane, per esempio, di innovazione socio-economica che riscontriamo, ad oggi, in Piemonte, Abruzzo, Toscana ed Umbria: regioni capofila e motrici del cambiamento. Se l'associazione torinese CoAbitare ha già messo in piedi un efficace progetto di convivenza e timebanking, e l'Ecovillaggio Habitat toscano ospiterà per il prossimo luglio il diciannovesimo raduno nazionale della Rete Italiana Villaggi Ecologici, possiamo forse rintracciare in queste esperienze, il desiderio di forme di scambio, convivenza e confronto meno aggressive sul versante socio-economico, e più coinvolte nelle urgenti questioni energetiche e ambientali globali.

Insomma, la parola chiave di questi movimenti sembra essere 'l'autosufficienza' nel benessere materiale e corporeo. Gli ecovillaggi, infatti, così come le realtà di cohousing già esistenti, vedono nel cibo, un mezzo indispensabile; nella gruppalità, una risorsa insostituibile, che però sentono autentica solo al di là delle leggi di mercato. “Non si tratta”, dice ancora Latouche, “di sostituire una buona economia ad una cattiva economia, una buona crescita ad una cattiva crescita, o a un cattivo sviluppo, si tratta piuttosto di uscire, senza mezzi termini, dall'economia”.

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