La Donna del mese - La prima donna araba Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite
Angelucci Nadia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2007
“Sono la prima donna, proveniente dal mondo arabo, a prestare servizio come Presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. E, parafrasando Gandhi, sono il primo dei servitori degli Stati Membri”. Già nelle battute iniziali del suo intervento, alla Conferenza "Verso una cultura dell'eguaglianza di genere nel XXI secolo", organizzata dalla Fondazione Camera dei Deputati, Sheikha Haya Rashed Al Khalifa sottolinea i temi a lei più cari, quelli per i quali si è impegnata e grazie ai quali ha conquistato notorietà e un incarico prestigioso: i diritti delle donne, la cultura e la tradizione araba, la coscienza di ricoprire un ruolo per prestare un servizio alla comunità. Una carriera di rilievo, soprattutto nelle istituzioni, caratterizza questa donna che è stata una delle prime due a esercitare la professione di avvocato nel suo paese, il Bahrain. Prima dell’attuale incarico all’ONU, che svolge da giugno dello scorso anno, Al Khalifa ha creato uno studio legale specializzato in diritto commerciale, la Haya Rashed Al Khalifa Law Firm, che è il più grande nel suo paese. Dal 2000 al 2004 è stata ambasciatrice in Francia e ambasciatrice non residente per Belgio, Svizzera e Spagna, è una delle poche donne che abbiano mai avuto accesso sia alla Corte di Cassazione che alla Corte Costituzionale, è stata la rappresentante permanente del Bahrain presso l’UNESCO ed è diventata membro della World Intellectual Property Organization Arbitration Committee, ente delegato ad arbitrare e risolvere le dispute sui brevetti e sui diritti d’autore. La tentazione di descrivere la Presidente come una femminista radicale, però, si scontra proprio con questo suo percorso completamente dentro alle istituzioni e la sensazione che la sua battaglia per i diritti delle donne si svolga tutta all’interno di un establishment consolidato. “Per creare una cultura delle pari opportunità nel 21° secolo sempre più donne devono assumere posizioni di leadership nelle Nazioni Unite e in altre organizzazioni multilaterali” ha infatti dichiarato in conferenza stampa a Roma e la sua battaglia si è concentrata nelle alte sfere del suo paese avvalendosi della sua posizione come membro delle Corti di Cassazione e Costituzionale per far si che la competenza dei diritti di famiglia e delle donne passasse dai Tribunali islamici a quelli civili. La sua forte preparazione giuridica le ha permesso di accostarsi alla questione femminile nel mondo arabo attraverso il punto di vista dell’interpretazione dei testi religiosi che, nella sua opinione, deve essere più aperta: “Le tradizioni culturali e religiose hanno continuato a perpetrare le ineguaglianze. Alcune interpretazioni dei testi religiosi sono state trasportate nelle tradizioni culturali e hanno dominato le donne arabe. La riproduzione di queste tradizioni culturali da una generazione all’altra ha dissuaso le donne dalla ricerca di una educazione non tradizionale e di una carriera professionale. Questo spiega la natura conservatrice delle leggi matrimoniali che impediscono alle donne l’esercizio dei loro diritti”. Ma la sua abilità diplomatica è stata quella di comprendere che per rendere possibile la presenza delle donne arabe sulla scena sociale, politica ed economica fosse necessario mantenere un contatto forte con l'identità della religione islamica e con la cultura che su di essa si è sviluppata. Ed è su questa base che Al Khalifa fonda la sua argomentazione quando rivendica la necessità di una educazione di qualità per le donne: “I curricula scolastici devono incoraggiare la creatività, il pensiero critico e offrire una grande varietà di prospettive culturali e religiose. Se non investiamo in una educazione di qualità, che metta in discussione le implicazioni culturali di alcune dottrine religiose, continueremo a negare alle donne pari opportunità”. E fermamente ci invita a riflettere sul fatto che “il dibattito deve andare al di là delle tensioni tra identità nazionale basata sulla civiltà e la cultura islamica e gli appelli per i diritti civili e politici che qualcuno considera come importazioni occidentali. Le femministe islamiche, le donne arabe riformiste e moderne devono sfidare i valori tradizionali per mostrare che il cambiamento è inevitabile e salutare”. Interpellata da 'noidonne' su come le donne occidentali possano inserirsi in questo corso ed aiutare l’avanzamento di questo processo di cambiamento, la Presidente ha risposto garbatamente, e con la moderazione che le è connaturale, che possiamo “partecipare alla discussione, informare ed informarsi, stimolare il dibattito su questi temi, creare delle reti e costruire degli esempi di emancipazione” e ha sottolineato in particolare l’apporto dei mezzi di comunicazione nel trasmettere modelli virtuosi. Il discorso di Al Khalifa è rivolto sicuramente alle donne islamiche appartenenti alle classi sociali più alte e già inserite in un tessuto economico e politico che vedono nella sua affermazione un esempio fondamentale per uscire dagli aspetti più retrogradi del diritto islamico. Non è certo una pasionaria, ma la sua eleganza e determinazione non avranno effetti meno incisivi.
(11 aprile 2007)
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